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venerdì 27 febbraio 2009

Scioperi, Come è Regolamentato Il Diritto Nel Resto d’Europa

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- Nella maggior parte dei paesi europei, il diritto di sciopero e in generale la libertà di adottare azioni collettive sono garantiti dalla Costituzione. Fanno eccezione Austria, Belgio, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Irlanda e Regno Unito, mentre in Germania e in Finlandia tale diritto deriva dalla libertà di associazione. E’ una sfera giuridica che in molti paesi (considerata la mancanza di legislazione specifica in materia) si è per lo più sviluppata tramite la giurisprudenza dei tribunali: è il caso di Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi. Mentre in 12 Stati non esiste ancora una vasta giurisprudenza in tema di azioni collettive, che sono regolamentate esclusivamente per legge. La regolamentazione tramite la contrattazione collettiva è, poi, una caratteristica specifica di Danimarca, Finlandia, Svezia e Irlanda. In alcuni paesi - come Belgio, Italia e Francia - quello di intraprendere azioni collettive è un diritto individuale, mentre in altri - quali Germania, Grecia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Svezia - deve essere esercitato dai sindacati. Quanto ai diversi tipi di azioni collettive, l’Europa offre un quadro molto variegato e neppure lo stesso termine è sempre utilizzato per descrivere lo stesso tipo di azione. Inoltre, alcuni tipi di azioni collettive sono legali in alcuni sistemi giuridici, ma vietati in altri. Nella maggior parte dei paesi, per lo meno in teoria, gli scioperi squisitamente politici sono vietati, ad eccezione di Danimarca (se brevi e per ‘ragionevoli motivi’), Finlandia, Irlanda, Italia oltre alla Norvegia. Attualmente, in molti paesi, le azioni di solidarietà (a sostegno delle azioni ‘primarie’ adottate da altri lavoratori) sono considerate legali a certe condizioni, ad eccezione di Lettonia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Regno Unito, mentre in Spagna la loro legalità o meno deve essere stabilita caso per caso. In questo ambito, il picchettaggio prende in considerazione soltanto la persuasione verbale: in questo caso, è legale in tutti quei paesi che hanno contemplato questa forma di azione, ad eccezione della Francia. Al contrario, è costantemente vietata la violenza fisica. Il boicottaggio è consentito in Danimarca, Paesi Bassi, Norvegia, Portogallo e Svezia, e il blocco del lavoro in Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia. Il rallentamento del lavoro, quale forma legale di azione collettiva, si ritrova in Finlandia, Germania, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Norvegia, Portogallo, Svezia e Regno Unito, mentre è proibito in Belgio, Danimarca e Francia. Lo sciopero bianco è illegale in Danimarca, Francia e Norvegia, ma può essere utilizzato a Cipro, in Finlandia, Germania, Grecia, Ungheria, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Spagna, Svezia e Regno Unito. Lo sciopero dimostrativo è consentito in Bulgaria, a Cipro, in Estonia, Germania, Ungheria, Lituania, Polonia e Romania. Nella maggior parte di questi paesi tale forma di azione viene limitata in termini di durata. La situazione in Irlanda e nel Regno Unito è molto specifica, nel senso che tutte le azioni collettive sono, in linea di principio, illegali ma, dato che si contempla l’immunità in alcune circostanze, le rispettive forme di azione sono state considerate legali. Le azioni di tipo secondario a livello internazionale sono considerate legali in Belgio, Grecia (a certe condizioni), Irlanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia e Svezia, ma a patto che le azioni ‘primarie’ intraprese all’estero siano lecite e legali. In generale, in tutti i paesi, si ritrovano restrizioni del diritto di intraprendere azioni collettive: dall’obbligo di mantenere la pace alla necessità di adoperarsi per una soluzione pacifica delle vertenze prima di adottare azioni collettive o l’esigenza di assicurare servizi minimi esenziali in alcuni settori durante lo sciopero. Inoltre, alcune categorie di lavoratori - ad esempio i dipendenti pubblici o le forze armate - possono essere escluse dal diritto di intraprendere azioni collettive e queste ultime devono poter essere considerate proporzionate o costituire una sorta di ‘ultima ratio’. A volte, deve essere rispettata o utilizzata, prima di poter intraprendere un’azione collettiva, una certa procedura di composizione delle controversie: è il caso di Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Ungheria, Islanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Norvegia, Polonia, Romania e Slovenia. Può rendersi necessario, poi, rispettare un periodo di notifica o effettuare una consultazione prima di intraprendere l’azione collettiva. I periodi di notifica da rispettare sono molto diversi a seconda dei vari paesi e variano dall’obbligo di annunciare un’azione collettiva fra le 24 ore e i 7 giorni o persino i 14 giorni precedenti. L’obbligo di effettuare una consultazione prima della proclamazione di uno sciopero può esistere sia in fase di registrazione che, come in Danimarca, nell’accordo collettivo; oppure, come nel caso di Germania e Olanda, deve essere sancito nello statuto sindacale. In pochissimi paesi un’azione collettiva può essere posticipata per un certo periodo di tempo: ciò è possibile in Estonia, Finlandia, Norvegia, Spagna e Svezia e può essere effettuato dal governo, dal ministero del Lavoro o dal Parlamento a seconda delle norme nazionali vigenti; il differimento varia dai 14 giorni della Svezia e della Finlandia, fino al mese dell’Estonia. E in nessuno dei paesi possono essere utilizzati in alcun modo ‘crumiri’ per sostituire i lavoratori in sciopero. Nella maggior parte dei paesi europei, il fatto di interrompere il lavoro per prendere parte a un’azione collettiva non è più considerato violazione del contratto di lavoro. Infatti, il contratto - e, pertanto, i due principali obblighi che ne derivano, vale a dire quello di lavorare e di essere retribuiti - sono sospesi. Il fatto di partecipare a un’azione collettiva è ancora considerato una violazione in Austria, Danimarca, Irlanda e Regno Unito. Uno sciopero illegale può portare al licenziamento dei lavoratori che hanno preso parte all’azione o all’obbligo di corrispondere un risarcimento per danni (da parte del sindacato o del singolo lavoratore, o da parte di entrambi).
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IO PENSO KE COME SI E' GIUNTI ALLA MONETA UNIKA EUROPEA , SI DOVREBBE AVERE ANKE UNO STIPENDIO UGUALE IN OGNI PAESE DELLA COMUNITA' EUROPEA , SE NO E' UN PASSO A META' E LE AZIENDE OVVIAMENTE SI SPOSTANO DOVE LO STIPENDIO E' MENO COSTOSO ..........
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giovedì 26 febbraio 2009

SALUTE:RISCHIO DEMENZA PER CHI LAVORA PIU'DI 55 ORE/SETTIMANA

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SALUTE:RISCHIO DEMENZA PER CHI LAVORA PIU'DI 55 ORE/SETTIMANA

- ROMA, 25 FEB - Lavorare troppo fa male, ormai e' scientificamente provato. Secondo uno studio finlandese, con il passare degli anni, chi lavora piu' di 55 ore a settimana e' a rischio di declino mentale che puo' portare anche alla demenza. La ricerca, guidata da Marianna Virtanen dell'Istituto finlandese di Medicina Occupazionle di Helsinki, Finlandia, e' stata pubblicata sulla rivista American Journal of Epidemiology. I ricercatori hanno preso in considerazione 2214 funzionari inglesi di mezza eta' che sono stati sottoposti a cinque diversi test per valutare le loro funzioni mentali. Il primo test, per avere un livello di partenza, e' stato fatto tra il 1997 e il 1999, il secondo test e' stato fatto a distanza di cinque anni. Gli uomini inglesi che lavoravano piu' di 55 ore a settimana hanno avuto un punteggio peggiore in due dei cinque test, quello sul ragionamento e quello sul vocabolario. L'effetto, inoltre, e' risultato cumulativo, per cui piu' era lunga la settimana lavorativa e peggiore era il risultato del test. Secondo Mika Kivimaki, uno dei collaboratori dello studio, ''sara' ora importante esaminare se gli effetti osservati durano a lungo e se possono portare a declino mentale piu' serio come la demenza''. (ANSA).
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Produttività del lavoro pubblico: sì definitivo del Senato al ‘’Ddl Brunetta’’

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Produttività del lavoro pubblico: sì definitivo del Senato al ‘’Ddl Brunetta’’



Con 154 voti favorevoli e 1 contrario, l'Aula ha dato il via libera definitivo al ddl 847-B (cosiddetto "ddl Brunetta") recante "Delega al Governo finalizzata all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonché disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e alla Corte dei conti", di cui è primo firmatario il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, Renato Brunetta.
Come riferito in Aula nella seduta di martedì 24 febbraio dal relatore sen. Vizzini, la Camera ha introdotto «alcuni elementi di novità, soprattutto per quanto attiene, in primo luogo, alla riforma del lavoro pubblico, poi alla valutazione delle strutture e del personale delle amministrazioni pubbliche e alle norme sulla funzione della Corte dei conti, con particolare riferimento ai nuovi e incisivi poteri di controllo sulle gestioni pubbliche e statali che il disegno di legge le ha attribuito».
Gli obiettivi della delega sono precisati dall'art. 2 del provvedimento:

a) convergenza degli assetti regolativi del lavoro pubblico con quelli del lavoro privato, con particolare riferimento al sistema delle relazioni sindacali;
b) miglioramento dell'efficienza e dell'efficacia delle procedure della contrattazione collettiva;
c) introduzione di sistemi interni ed esterni di valutazione del personale e delle strutture, finalizzati ad assicurare l'offerta di servizi conformi agli standard internazionali di qualità e a consentire agli organi di vertice politici delle pubbliche amministrazioni l'accesso diretto alle informazioni relative alla valutazione del personale dipendente;
d) garanzia della trasparenza dell'organizzazione del lavoro nelle pubbliche amministrazioni e dei relativi sistemi retributivi;
e) valorizzazione del merito e conseguente riconoscimento di meccanismi premiali per i singoli dipendenti sulla base dei risultati conseguiti dalle relative strutture amministrative;
f) definizione di un sistema più rigoroso di responsabilità dei dipendenti pubblici;
g) affermazione del principio di concorsualità per l'accesso al lavoro pubblico e per le progressioni di carriera;
h) introduzione di strumenti che assicurino una più efficace organizzazione delle procedure concorsuali su base territoriale, conformemente al principio della parità di condizioni per l'accesso ai pubblici uffici, da garantire, mediante specifiche disposizioni del bando, con riferimento al luogo di residenza dei concorrenti, quando tale requisito sia strumentale all'assolvimento di servizi altrimenti non attuabili o almeno non attuabili con identico risultato;
i) previsione dell'obbligo di permanenza per almeno un quinquennio nella sede della prima destinazione anche per i vincitori delle procedure di progressione verticale, considerando titolo preferenziale nelle medesime procedure di progressione verticale la permanenza nelle sedi carenti di organico.


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martedì 24 febbraio 2009

LAVORO - IMMIGRATI

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Dal lavoro degli immigrati
un decimo del Pil italiano
Si tratta di oltre 165.000 società, il triplo rispetto al 2003. Trentamila solo in Lombardia
I romeni preligono l'edilizia, i marocchini il commercio, i cinesi il settore manifatturiero
di ROSARIA AMATO

ROMA - Pressy, immigrata filippina da vent'anni in Italia, lavora a ore come colf di mattina poi, insieme al marito, gestisce un call center per immigrati il pomeriggio e, di sera, una pizzeria nel quartiere più animato di vita notturna a Roma, Trastevere. Un esempio di rara industriosità? Non proprio. Le imprese costituite da immigrati in Italia nel giugno del 2008 erano già 165.144. Una ogni 33 registrate nel nostro Paese. Garantiscono occupazione a un decimo dei lavoratori dipendenti, italiani e stranieri, e contribuiscono alla formazione di circa un decimo del prodotto interno lordo. Lo attesta un'indagine della Fondazione Ethnoland, realizzata in collaborazione con la Caritas e con diverse organizzazioni economiche, dall'Abi a Confartigianato e Unioncamere.

Uno studio di Unioncamere e dell'Istituto Tagliacarne, infatti, utilizzando dati relativi al 2006, ha accertato che è dovuto agli immigrati il 9,2% del valore aggiunto, corrispondente a una quota di 122 miliardi del Pil. Solo nel 2006 le imprese appartenenti a immigrati hanno assicurato un gettito fiscale pari a 4 miliardi di euro. Nel 2007 era già arrivato a 5,5 miliardi. Senza contare che anche i lavoratori dipendenti stranieri hanno un peso ormai rilevante nella nostra economia: l'Inps ha accertato che gli immigrati assicurano, annualmente, un ammontare di 5 miliardi di euro come contributi previdenziali e, al contrario, percepiscono ancora un numero molto limitato di pensioni, essendo per lo più lavoratori giovani.

Sono numeri strabilianti per un Paese che solo recentemente ha preso atto di quella che da molti è ancora considerata una realtà economica nascente, però marginale, forse tutto sommato anche un po' folkloristica: quella dell'immigrato imprenditore, accanto al molto più comune vu cumprà e all'esercito di badanti e di clandestini che delinquono. Invece, nel giro di pochissimi anni, i numeri dell'imprenditoria straniera si sono triplicati: nel 2003 risultavano registrate appena 56.421 imprese guidate da immigrati.

Si va dalle 30.000 aziende in Lombardia alle circa 1000 esistenti nelle regioni più piccole. Ma ci sono regioni, soprattutto meridionali, come la Sardegna, la Sicilia e la Calabria, nelle quali gli immigrati hanno eguagliato il tasso di imprenditorialità degli italiani, mentre in diverse Regioni del Nord e del Centro, tra le quali Piemonte, Emilia Romagna e Toscana, il "pareggio" appare molto vicino.

Non bisogna pensare che si tratti solo di negozi di frutta e verdura o di abbigliamento cinese low cost. Il settore più privilegiato dagli imprenditori immigrati è quello dell'industria con 83.578 aziende, circa la metà (50,6%). Prevalgono le aziende edili, 64.549, pari a 4 su 10 di quelle gestite da immigrati, per lo più provenienti dall'Est Europa. Seguono quelle del comparto tessile, abbigliamento e calzature (10.470 aziende) e qui, com'è noto, prevalgono i cinesi. Segue il settore dei servizi, con 77.515 aziende, a prevalenza commerciali.

La vocazione imprenditoriale, osservano i curatori del Rapporto, non è distribuita in modo uniforme tra tutte le nazionalità. Appare molto spiccata negli immigrati dal Marocco (sono i titolari del 67,5% delle imprese dedite al commercio) e dalla Romania (più dell'80% dei titolari di aziende edili) mentre la Cina si ripartisce l'industria manufatturiera (46%) e il commercio (44,6%).

Il fenomeno dell'imprenditoria straniera sfugge ancora al cittadino comune e, circostanza più grave, allo Stato. "Chi si dichiara disponibile all'accoglienza di un'mmigrazione di qualità - osserva Otto Bitijoka, presidente della Fondazione Ethnoland - deve essere aiutato a capire che tale immigrazione si trova già sul posto. Bisogna adoperarsi, perciò, perché gli immigrati contino più come lavoratori, come imprenditori e come cittadini". Oggi, uno straniero che intenda aprire un'impresa è ostacolato da una burocrazia ancora più pesante che per gli italiani, e da costi non indifferenti: per aprire un'attività autonoma, ricorda il Rapporto, sono necessarie un paio di settimane durante le quali bisogna rivolgersi ad almeno nove uffici diversi, con una spesa di 3.587 euro.

In Italia, ad aver capito forse prima di altri che gli imprenditori stranieri sono una risorsa sono state le banche: in media 7 imprenditori immigrati su
10 sono clienti degli istituti di credito italiani. Clienti ambiziosi: a spingere un immigrato ad avviare un'impresa è il maggior guadagno, visto che da dipendenti la loro paga è appena il 60% di quella di un italiano. E poi, rileva il rapporto, gli immigrati vogliono "scrollarsi di dosso i pregiudizi dando di sé un'immagine più veritiera".

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lunedì 23 febbraio 2009

CONSIGLIERE D'AMMINISTRAZIONE

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Consigliere d’amministrazione

Ecco se siete un membro del consiglio d'amministrazione di una società siete praticamente arrivati, siete al top, sopra di voi c'è solo il presidente e comunque anche lui ha dei poteri limitati dai vostri...


Voi siete uno di quelli che decidono cosa deve fare la società, che votano insieme ai colleghi l'entità del proprio stipendio ma anche che devono rispondere del futuro di centinaia e a volte di migliaia di dipendenti.

L'amministratore di un'azienda guadagna in media circa 250 mila euro l'anno. Si tratta di una cifra che dipende dalla grandezza della società e che comunque non considera i vari vantaggi connessi al potere e al fatto che spesso, soprattutto in Italia, si è amministratori di più società contemporaneamente e magari anche proprietari di qualcuna di esse.

Poi si può discutere sulla differenza fra amministratori che quei soldi non hanno neanche il tempo di spenderli e amministratori che passano il pomeriggio in palestra mentre i loro portaborse e sgobbini portano avanti la baracca: ma questo è un altro discorso.

In genere per accedere a un posto come questo serve almeno una laurea e magari un MBA, ossia un master in business administration che costa tanto ma apre molte porte. Giacca e cravatta sono d'obbligo.

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MEDICO

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Medico

Se la vostra ragazza studia medicina a trent'anni e dice che il settore ormai è saturo e che ha sbagliato tutto mostratele questa classifica (e consigliatele magari di imparare una lingua straniera che non si sa mai).

Un medico in media guadagna in un paese occidentale quasi 118 mila euro l'anno.

Non è uno scherzo e d'altra parte è meglio che non pensi ai soldi (si spera) mentre fa un'operazione al cervello o al cuore.

In media un chirurgo guadagna molto più di un pediatra e di certo alla fine per arrivare a questo traguardo si deve studiare tanto.

Poi però s'incassa un bel malloppo, tanto che nella classifica dei posti meglio pagati di Forbes, che assegna un posto diverso a ogni tipo diverso di medico, i vari dottori occupano ben otto dei dieci posti disponibili.

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BROKER

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Broker

Il terzo mestiere più pagato del mondo è proprio quello del broker. Il broker è un intermediario finanziario e cura quindi degli accordi fra varie società e/o persone fisiche.


Si tratta di un mestiere molto articolato che richiede una elevata competenza del settore.

Se infatti volete che qualcuno vi affidi un milione di euro da investire e che per giunta vi paghi anche se l'affare va male o non abbastanza bene, vi conviene sicuramente evitare di dare dei consigli a casaccio.

Un brocker gestisce per esempio i rischi di cambio della valuta per le grandi compagnie o l'acquisto di petrolio o carbone per una compagnia energetica o ancora gli investimenti consigliati dalle grandi banche d'affari in azioni, obbligazioni o in altri prodotti finanziari.

In media si guadagnano 115 mila euro l'anno.

Un consiglio per chi abbia voglia di diventare un broker è quello di avere buone frequentazioni e orecchie lunghe: è un mondo dove le informazioni sono tutto.

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DIRETTORE DI UNA SOCIETA'




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Direttore di una società

Vi ricordate il Mega Direttore Generale di Fantozzi, quello con i sedili in pelle umana e gli impiegati nell'acquario?


Ecco, il direttore di una società è quello che è immediatamente sotto i consiglieri d'amministrazione e che cura aspetti più specifici dell'attività del gruppo.

Il direttore finanziario si occupa di cose come la gestione del debito del gruppo o dei cambi, mentre il direttore amministrativo cura la contabilità, il personale e la normale amministrazione.

È una figura che insomma può riferirsi a carriere anche molto diverse fra loro. In media i direttori di una società guadagnano circa 114 mila euro l'anno e spesso è difficile sostituirli perché, essendo molto vicini al lato gestionale, conoscono la società come pochi altri.

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FUNZIONARI PUBBLICI



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Funzionari pubblici

Al quinto posto della classifica dei lavori meglio pagati si trova la vastissima categoria dei dipendenti pubblici.


Ovunque - come in Italia - spazia dal presidente di un colosso internazionale e pubblico come l'Eni o Finmeccanica al bidello o al lavoratore socialmente utile.

Difficile dire se questa media di uno stipendio da 103 mila euro sia quindi davvero rappresentativa.

Di certo i continui scioperi dei dipendenti pubblici per il rinnovo del contratto in Italia lasciano supporre che non sia proprio così.

Oppure che ai piani alti si guadagni troppo.

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AVIATORE




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Aviatore

Se da bambini volevate fare il top gun o pilotare allegramente passeggeri e merci con il vostro luccicante aeroplano in giro per il mondo ma poi la dura realtà vi ha convertito a una professione più convenzionale, forse non dovevate mollare.


I piloti di aeroplani e altri veicoli in volo compaiono al settimo posto della classifica di Forbes per gli Stati Uniti e al sesto della classifica di Government's Office for National Statistics britannico.

Secondo quest'ultimo essi guadagnano circa 88 mila euro l'anno in media.

Nel Belpaese alcuni ex piloti di Alitalia hanno fondato delle compagnie aeree proprie e sicuramente quindi guadagnano (o guadagnavano) almeno quanto i loro colleghi inglesi o americani.

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CONSULENTE FINANZIARIO



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Consulente finanziario e gestionale

I consulenti sono dei superesperti che le società (ma anche gli enti pubblici) chiamano e pagano profumatamente per i loro consigli.


In genere operano in un settore specifico e possono essere degli esperti del settore aeronautico come di quello alimentare oppure gestire aspetti del business che accomunano società anche molto diverse fra loro.

È questo il caso dei consulenti che curano aspetti più specificamente finanziari, come la ristrutturazione del debito di una società, la gestione degli investimenti o i modi per salvaguardare il gruppo da oscillazioni dei cambi e da un eccessivo carico fiscale.

In media questo genere di consulenti guadagnano 75 mila euro l'anno, ma occorre dire che spesso questi sono dei benpagati lavoratori a progetto e che quindi il numero e la durata delle consulenze accumulate è molto variabile.

Di solito serve un curriculum di tutto rispetto con studi economici, master e magari persino una laurea ad honorem. Le amicizie fra politici e manager non guastano.

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AVVOCATO



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Avvocati

C'è una vecchia barzelletta in cui un tizio chiede a un altro: "Sai cosa fanno otto avvocati in fondo all'Oceano?". "Che cosa?". "Un ottimo inizio".


Ora questa barzelletta americana rivela un certo malanimo verso i difensori legali che anche in Italia è senz'altro diffuso.

In compenso (è proprio il caso di dirlo) sia secondo Forbes, che secondo il Government's Office for National Statistics britannico quello dell'avvocato è l'ottavo lavoro più redditizio.

In media un rappresentante di questa categoria guadagna 74 mila euro.

Certo bisogna considerare che, se buona parte del Parlamento italiano è composto di avvocati, moltissimi laureati in legge in Italia fanno una dura gavetta negli studi legali guadagnando poco o niente.

E in America non va meglio.

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UFFICIALE DI POLIZIA


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Ufficiale della polizia

È molto spesso un lavoro pericoloso, ma lo stipendio poi alla fine non è così male, anzi...


La classifica britannica rispolvera il vecchio mito di Scotland Yard e pone al nono posto della classifica dei lavori meglio pagati l'ispettore e i suoi superiori con uno stipendio medio di circa 74 mila euro (da noi è ispettore nella polizia, mentre nei carabinieri si chiama maresciallo ordinario).

Gli americani di Forbes mettono invece al nono posto i programmatori sistemisti ossia coloro che progettano grandi sistemi informatici. Forse negli Stati Uniti in molti casi visto il potere della National Security Agency (il servizio segreto americano che controlla telefonate e informazioni di mezzo mondo) le due cose coincidono.

D'altra parte anche in Italia ai vertici di Telecom c'erano fino a poco tempo fa degli agenti del Sismi.

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MANEGER


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Manager del marketing

Vendere, vendere, vendere. Per guadagnare bisogna vendere e per vendere ci vuole un esperto di marketing...


Così al decimo posto della classifica britannica spunta questa figura: il manager che gestisce marketing e vendite guadagna in media quasi 72 mila euro l'anno.

D'altra parte, finché riesce a vendere, la società ci guadagna e quindi il suo stipendio rappresenta un buon investimento.

Il marketing è un settore complesso in cui la comunicazione è fondamentale, bisogna sostenere e valorizzare i marchi di cui ci si occupa, fare complessi calcoli sui budget disponibili, organizzare eventi e incontri e gestire fin nel dettaglio le reti di vendita e i loro funzionamenti.

Per esempio se al supermercato il vostro detersivo è all'altezza della testa e non in fondo sommerso da altri mille è probabile che quello non sia un caso, ma una vittoria del direttore di marketing di quell'azienda.
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I dieci lavori più pagati del mondo

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I dieci lavori più pagati del mondo

Se state per iscrivervi all'università oppure per pubblicare un annuncio con l'idea di trovare un lavoro forse la seguente classifica può esservi utile.


Chi è che guadagna di più? Cosa serve per arrivare così in alto?

Dalla classifica dei lavori più pagati naturalmente bisogna togliere i grandi ereditieri, perché se sei il proprietario di Coca Cola o di Fiat il tuo problema non è più lo stipendio (te lo assegni da te), ma le tasse (e lo yacht): comunque hai dei problemi che tutti ti invidiano.

Dalla classifica vanno anche tolti i campioni ossia sono i migliori nel lavoro che fanno.



Se è vero che Al Pacino guadagna una barca di soldi, in media un attore fa la fame, così come un giocatore di calcio. Togliamo quindi anche cantanti e musicisti famosi e scopriremo che nel mondo chi guadagna di più è il consigliere di una società ed è seguito da un medico (specialmente se chirurgo) e da un broker, ossia da uno che media fra chi vende e chi compra azioni, materie prime o qualunque altra cosa.

Le fonti sono due: una britannica (il Government's Office for National Statistics) e l'altra americana (Forbes).

L'Istat inglese rende noti anche i valori assoluti degli stipendi, mentre Forbes, poiché considera i vari tipi di medici, ne mette 8 fra i primi dieci posti.

Ovviamente si tratta di stime medie sullo stipendio della categoria per cui se siete un medico e guadagnate di meno dovete considerare che quel calcolo conta anche chi guadagna molto più di voi.

Sperando che non ci sia una catena di omicidi tra i primari proseguiamo.
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Consigliere d’amministrazione


Medico



Broker


Direttore di una società


Funzionari pubblici


Aviatore


Consulente finanziario e gestionale


Avvocati


Ufficiale della polizia


Manager del marketing



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