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domenica 2 agosto 2009

Repubblica delle scarpe contro dittatura delle banane

Repubblica delle scarpe contro dittatura delle banane




Le multinazionali delle scarpe sportive scrivono una lettera alla Casa Bianca condannando il governo di fatto.
Nike, Adidas e Gap, le principali multinazionali manifatturiere presenti in Honduras, si schierano "per la democrazia". Da un mese, da quando i militari golpisti destituirono il presidente legittimo Manuel Zelaya, le loro fabbriche nelle maras honduregne, dove il lavoro costa poco e i diritti dei lavoratori ancora meno, sono ferme. E la produzione multimilionaria cala.

Così, le mega aziende sportive hanno scelto di unirsi e scrivere una lettera ufficiale alla Casa Bianca, la loro casa madre, per condannare apertamente il golpe e pressare per un intervento più diretto nella reinstaurazione di Zelaya. Fatto raro che delle multinazionali prendano posizione politiche così chiare e ufficiali, meno raro che mettano il naso nella politica degli Stati in cui operano. Anzi, l'Honduras è da molti definito la Repubblica delle banane, per l'influenza devastante che da sempre hanno avuto le grandi aziende della frutta. Che, invece, tacciono, probabilmente perché tanto, troppo vicine a quelle dieci famiglie oligarchiche che il presidente Zelaya accusa di aver architettato il golpe per mantenere ricchezze e privilegi, trasformando quella repubblica in una dittatura.

Repubblica delle scarpe contro dittatura delle banane, dunque? Vedremo. Intanto, una copia della missiva di Gap, Adidas e Nike è arrivata sulla scrivania del Segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, del segretario Osa, Jose Miguel Insulza, e del segretario di Stato americano per gli Affari dell'Emisfero occidentale, Thomas Shannon. Il contenuto è un appello perché sia restaurata la democrazia in Honduras.

I conti son presto fatti, dato che le cifre parlano chiaro. La manifattura honduregna esporta circa 3 miliardi di dollari all'anno e la maggior parte delle compagnie manifatturiere in Honduras sono statunitensi o asiatiche. La paga oraria per i disgraziati che non hanno altra scelta se non lavorare lì è da semischiavitù: 93 centesimi di dollaro all'ora. Per turni devastanti: dodici ore a 34 gradi, sempre in piedi e con un sola pausa di 30 minuti. Il tutto con la spada di Damocle del licenziamento, se solo un lavoratore osa iscriversi al sindacato.
E' evidente dunque che se sfruttatori simili sono arrivati a schierarsi con la democrazia, è perché i golpisti hanno deciso di non stare dalla loro parte. E quindi, via con le belle parole. Ma, ironia della sorte, questa lettera avrà molto più peso dei manifestanti morti e feriti, della gente in piazza nonostante il coprifuoco, e degli appelli veri e sinceri in nome dello Stato di diritto. Il diritto del business vince ancora.

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