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sabato 24 luglio 2010

LA FINE DEL POSTO STABILE

La fine del posto stabile
Solo al 6% dei neolaureati

Scende a minimi assoluti la quota dei giovani che entrano in azienda con un contratto a tempo indeterminato. Sei anni fa erano più del triplo. Lo stage diventata la prima modalità di inserimento. Per chi viene assunto, la prima paga oscilla tra i 22 mila e i 26 mila euro. La migliore retribuzione nel chimico e farmaceutico. I risultati dell’indagine di Gidp sul rapporto tra imprese e giovani che escono dagli atenei italiani. TABELLA: i contratti proposti. LA RETRIBUZIONE: dall’inserimento a 3 anni

E’ ormai una fortuna. Rara e preziosissima. Tanto che quando viene proposto, dal direttore delle risorse umane, viene quasi da non crederci. O pensare di avere inteso male. Quest’anno hanno avuto la possibilità di firmare un contratto a tempo indeterminato solo il 5,46 per cento dei neolaureati entrati in azienda. Un’involuzione sempre più marcata che sembra non arrestarsi. Solo sei anni fa, erano più del triplo (il 20 per cento). Ora, invece, al termine della selezione, quando si è stati scelti, a quasi il quaranta per cento dei giovani capita di vedersi offerto un tirocinio. E a chi va bene, un contratto a tempo determinato. Le evidenze sono quelle dell’indagine di Gidp, l’associazione di responsabili delle risorse umane, che verrà presentata questo pomeriggio a Milano nella sede di Assolombarda.

Dopo l'introduzione negli anni di norme che hanno favorito forme atipiche di lavoro, il contratto a tempo indeterminato sembra diventare sempre più raro come prima opportunità. La crisi economica, reale causa di un ulteriore restringimento delle chance per posti fissi o, almeno in parte, occasione da cogliere per ridurre i costi a scapito delle risorse umane, sembra stia rendendo sempre meno frequente quello a cui molti guardano ancora come a un legittimo bisogno. Mentre altri, spesso da posizioni di privilegio, lo considerano un mito da superare e alcuni, anche tra chi governa, sembra oscillare tra posizioni contradditorie (come la dichiarazione di Tremonti a ottobre dell’anno scorso).

Ricerche sempre più brevi. Le selezioni per un neolaureato in questi mesi, almeno quelle che ancora ci sono, non durano molto. Secondo i dati dell’indagine, che ha coinvolto un focus group di 120 direttori del personale, una buona parte di queste viene chiusa in meno di un mese. E’ immaginabile che sia soprattutto perché, di questi tempi, non è di certo difficile per un datore di lavoro riuscire a intercettare un numero corposo di candidature. Quasi un’azienda su dieci, non impiega neppure quindici giorni. Solo una percentuale molto esigua (meno del due per cento) ha bisogno di un periodo che può oscillare tra tre e sei mesi.

Università e candidature. Il bacino a cui attingono con più frequenza le imprese sono gli uffici di placement universitari. Ritenuti anche gli strumenti più efficenti. Circa il sedici per cento seleziona e valuta i curriculum che arrivano attraverso le candidature spontanee. Da qui però non sempre le aziende riescono a pescare il candidato ideale tanto che nessun responsabile delle risorse umane indica questa modalità come quella più efficace. Cresce la quota delle aziende che utilizza le “vetrine” dei career site realizzati nell’ambito del sito aziendale. Così come sembra prendere sempre più piede la scelta dei siti internet specializzati nella pubblicazioni di annunci e recruiting. Poco meno di un'azienda su dieci preferisce partecipare ad eventi e fiere lavoro.

Titoli preferiti. Più della metà delle imprese al momento di svelare quale titolo di laurea deve possedere la figura da assumere, risponde ingegneria o economia. A conferma che i due titoli di laurea, seppure indeboliti anche loro rispetto agli anni scorsi, continuano a mantenere almeno un poco di spendibilità sul mercato. Quanto meno maggiore di quella di altri titoli. Dietro i due, seguono informatica (8 per cento) e giurisprudenza (5,5 per cento).

Lingue e motivazioni. Tra i requisiti che possono colpire l’attenzione del datore del lavoro, c’è soprattutto la conoscenza delle lingue straniere (lo indica quasi un direttore del personale su quattro). Decisiva sembra anche essere, almeno per il dieci per cento delle imprese, una certa disponibilità alla mobilità territoriale. Tra gli aspetti più di natura psicologica sembra avere un peso rilevante la motivazione (lo dice il 20 per cento delle imprese). Importanti anche la rapidità con cui si raggiunge il titolo di laurea meno invece il voto conseguito e il titolo della tesi. Così come non sembra essere decisivo, o lo è per pochi, il fatto che il titolo sia stato conseguito in un ateneo particolare. Avere fatto un master può essere decisivo per l’8 per cento dei selezionatori mentre l’Erasmus piace al 4,7 per cento dei datori di lavoro.

La lunga stabilizzazione. Nell'ultimo anno, scrivono gli autori dell'indagine, il 38% delle imprese campione ha assunto oltre la metà dei neolaureati in stage. Il sedici per cento non ne ha assunto nessuno. A chi avrà superato positivamente il periodo di stage verrà proposto nel 30% dei casi un contratto a tempo determinato, mentre il contratto di inserimento sarà offerto al 17,45%, la stessa percentuale presenterà l’opzione di apprendistato professionalizzante e ancora il 17,45% il contratto a tempo indeterminato. Un alto nove per cento passerà per un altro contratto di collaborazione mentre l'8 per cento per un contratto temporaneo tramite un'agenzia d lavoro.

Le aree più dinamiche. Le funzioni aziendali che mostrano maggiore dinamismo occupazionale per chi esce dagli atenei, sono soprattutto l’area dell’amministazione, finanza e controllo. Complessivamente viene indicata dal più del 15 per cento dei datori di lavoro. Seguono il commerciale, la progettazione e il marketing. Nelle prime posizioni ci sono anche la produzione, la ricerca e sviluppo, l’It e le risorse umane.

Poco accompagnamento. E’ alquanto composito lo scenario che viene restituito dall’indagine in merito al tema del percorso di inserimento per le nuove figure assunte. Se è vero che quasi il 30 per cento lo prevede in azienda da almeno un anno, è altrettanto vero che il 35 per cento non ha alcun percorso di inserimento e che un altro 13 per cento lo ha introdotto da appena un anno.

Stipendi e confronti. La paga d’entrata invece oscilla tra i 22 mila euro e i 26 mila. Più bassi i livelli retribuitivi dei metalmeccanici e più alti quelli del chimico e farmaceutico. Con l’andare del tempo le retribuzioni legate al settore del commercio sembrano guardagnare un poco di terreno. Dopo tre anni raggiungono i 27.839 euro e quasi chiudono il divario in particolare in rapporto agli stipendi dei loro coetanei che lavorano nel credito che dopo tre anni sono arrivati a una retribuzione lorda annua pari a 29 e 300 euro. Più elevato di tutti invece lo stipendio lordo per chi lavora in aziende attive nel chimico e nel farmaceutico con più di 34 mila euro.

FONTE

Grazie ai governi di centrodestra e centrosinistra ci ritroviamo in questa situazione.
invece di tifare per il bipolarismo della precarietà perchè non raccogliamo le firme per dei referendum per abolire le norme che hanno prodotto questo schifo?
Dopo l'acqua, il lavoro!
di FEDERICO PACE
Fonte : Controlacrisi


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