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domenica 31 ottobre 2010

Sono sempre più soli i cassintegrati dell'Asinara





Ci sono quattro offerte per lo stabilimento Vinyls. Ma sull'isola dei Cassintegrati sta arrivando l'inverno e dopo 246 giorni di protesta, gli operai sardi si sentono sempre più abbandonati dal governo




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Ci sono quattro buste appena aperte, ma adesso arriva il freddo. Forse non gliene frega nulla a nessuno, in questo paese, perché gli operai della Vinyls di Porto Torres, volontariamente autoreclusi nell’isola dell’Asinara, non praticano il Bunga Bunga, ma casomai lo subiscono, per il gioco delle trattative e delle beffe realizzato sulla loro pelle. Adesso arriva il freddo, l’inverno, che si abbatte gelido sulle colline brulle dell’Asinara e la protesta dopo 246 giorni di stenti può diventare persino drammatica, ed è appesa al filo di un’asta che si chiude questa settimana. Oggi si toccano 246 giorni di occupazione delle celle della diramazione carceraria di Formelli. In questa lunga stagione di stenti sull’isola si sono celebrati compleanni di bambini, un primo maggio di musica e di festa, svariate dirette televisive. Si sono visti succedere, nella terra vista dall’isola – cioè l’Italia – tre presunti ministri dello Sviluppo economico. Tutti sanno che Claudio Scajola si è dimesso travolto dallo scandalo della casa “a sua insaputa”, non tutti ricordano che quella mattina aveva un appuntamento al ministero in cui avrebbe dovuto “risolvere” la vertenza e favorire l’acquisto da parte di una ditta araba, la Ramco, l’unica che fino a quel momento avesse fatto un’offerta di acquisto seria. Ma quel giorno Scajola non prese mai parte a quell’incontro, l’Eni tenne alto il prezzo delle sue materie prime (che sono il punto decisivo di questa trattativa), la Ramco fece un passo indietro e scomparve. Poi è stata la volta del ministro ad interim, Silvio Berlusconi. Mesi di limbo in cui nulla è accaduto e nulla è stato fatto. Adesso tocca a Paolo Romani, che non ha ancora ritenuto opportuno fare passi ufficiali su questa vicenda.
La Sardegna è sempre più il luogo simbolo della rabbia: pastori in rivolta, industrie dimesse e poi loro, l’Isola dei Cassintegrati, raggiunti nei giorni scorsi persino da una delegazione che è partita in barca dall’Australia per conoscere la loro esperienza. Adesso però ci sono quattro buste sul tavolo negoziale: i commissari straordinari che hanno il compito di gestire l’azienda nel periodo di crisi le hanno aperte lunedì scorso. Quattro offerte che, come in un gioco di scatole cinesi, potrebbero rappresentare altrettanti offerenti. C’è un ditta svizzera dietro cui – come scrive sul sito degli operai della Vinyls Michele Azzu – “potrebbe celarsi la stessa Ramco”. Delle quattro, questa è l’unica che si propone di acquistare tutti gli impianti, sia quelli di Porto Torres che quelli di Porto Marghera e di Ravenna. Poi c’è una ditta di Varese che vuole acquisire solo quelli di Ravenna e poi c’è una società croata con una pessima fama, la Dioki, che ambisce solo a quelli del Veneto. In ballo, nei tre stabilimenti ci sono 370 operai. E secondo i sindacalisti che hanno seguito la trattativa persino dietro la società di Varese potrebbe nascondersi un altro protagonista industriale di primo piano, i francesi della “Arkema”. Non è un retroscena da poco, se fosse vero, perché quest’anno le quotazioni di mercato del Pvc sono salite e le quote di produzione abbandonate dall’Italia sono state coperte da Francia, Spagna e Germania. Forse questa trattativa nasconde un “Risiko” più complesso di quanto appaia in superficie e una strana forma di “desistenza” industriale che verrebbe meno se la chimica italiana riaprisse i battenti.
Sta di fatto che adesso arriva il freddo gelido dell’inverno sardo, nuvole nere cariche di pioggia si affacciano sul mare. E mantenere l’occupazione della Torre Aragonese (che dura da dieci mesi) e il presidio nell’isola (da otto) può diventare persino rischioso per l’incolumità degli operai. C’è chi, come Andrea Spanu, si è fatto crescere la barba lunga, chi ogni tanto torna a terra come Tino Tellini. Tra i cassintegrati si sono persino create dinamiche da reality, sono usciti due diversi libri (quello di Tino Tellini e quello di Silvia Sanna) ci sono state lezioni magistrali all’università, litigi e amori.
C’è di nuovo che questa volta l’Eni, per bocca di Leonardo Bellodi, l’amministratore delegato della Syndial (la società del gruppo che segue la trattativa) ha espresso la volontà di “venire incontro al compratore”. Come? Praticando prezzi di favore sul dicloroetano, materia fondamentale per il ciclo del Pvc sviluppato dalla Vinyls. Pietro Marongiu, il “tiranno dell’isola”, decano degli operai sardi, ripete: “Anche se arrivasse la glaciazione resteremo nell’isola. Qualcuno ha detto che siamo in vacanza e non vede l’ora che ce ne andiamo, ma noi abbiamo una sola certezza: ce ne andremo solo quando la trattativa sarà, in un modo o nell’altro risolta”. Ci sono quattro buste, arriva il freddo, e altri sette giorni di attesa da passare. Al contrario dei reality televisivi, qui il dramma è vero.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/10/31/dimenticati-all%E2%80%99asinara/74533/



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mercoledì 27 ottobre 2010

Sciopero Generale della Cub insieme ai migranti VENERDI 29 OTTOBRE




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Sciopero generale nazionale della Cub con i migranti Venerdì 29 Ottobre 2010
appuntamento per il corteo a Roma venerdì pomeriggio piazza Esedra ora 17





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sabato 23 ottobre 2010

ARBITRATO : Parlamento ha approvato il «collegato lavoro»





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Il Parlamento ha approvato il «collegato lavoro» la legge che Napolitano aveva rimandato alle Camere


A fronte di una situazione sociale di gravità estrema (disoccupazione crescente, redditi reali calanti), governo e maggioranza sono tornati ad occuparsi delle questioni del lavoro nei termini a loro più consueti: con l'approvazione definitiva di una legge che porterà nuovi e gravi elementi di squilibrio fra imprese e lavoratori, a tutto svantaggio di quest'ultimi. Dopo essere stato rinviato alle camere dal Presidente della repubblica, il famigerato Collegato lavoro è ormai pronto a dispiegare i suoi effetti. Rispetto alla versione iniziale il testo presenta qualche miglioramento: il che, peraltro, non impedisce di coglierne l'obiettivo di fondo, riconoscibile nel tentativo di circoscrivere gli spazi della giurisdizione ordinaria, rendendo per i lavoratori più difficile e incerta la possibilità di far valere in sede giudiziaria la lesione dei propri diritti.

Resta vero, comunque, che tale obiettivo risulta perseguito con norme di diverso grado di pericolosità. La nuova disciplina della certificazione dei contratti di lavoro, che tanti allarmi ha suscitato, rappresenta, a ben vedere, null'altro che un ballon d'essai. Una volta che il giudice abbia accertato che nel contratto di lavoro certificato le parti hanno voluto inserire clausole contrastanti con norme inderogabili di legge e contratto collettivo, infatti, niente potrà impedirgli di dichiararne la conseguente nullità; né egli potrà sentirsi costretto a considerare legittimo un licenziamento per il mero fatto che nel contratto collettivo o, peggio ancora, nel contratto individuale certificato vengano considerati come giusta causa o giustificato motivo dello stesso comportamenti di rilievo irrisorio (un ritardo di pochi minuti nel presentarsi sul posto di lavoro, per fare un esempio, resta un comportamento di limitatissimo rilievo disciplinare, che nessun contratto certificato potrà legittimamente far rientrare nelle nozioni legali di giusta causa o giustificato motivo).



La nuova disciplina dell'arbitrato d'equità (che, stando alle intenzioni iniziali, avrebbe dovuto consentire di destabilizzare radicalmente l'impianto del diritto del lavoro, legittimando gli arbitri a decidere secondo propri, soggettivi criteri di giustizia e, ciò che più conta, senza tener conto di norme inderogabili di legge e contratto collettivo) è stata significativamente ridimensionata. L'accordo fra le parti (ovvero la clausola compromissoria), che costituisce il presupposto della procedura arbitrale, non potrà riguardare le controversie in materia di licenziamento. In secondo luogo è stato precisato che il collegio arbitrale, per quanto d'equità, dovrà giudicare non più soltanto nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento, ma anche dei principi regolatori della materia: fra i quali notoriamente rientra il carattere normalmente inderogabile della norma di legge lavoristica e delle clausole dei contratti collettivi. Lo spazio dell'arbitrato d'equità sembrerebbe ridotto all'osso.



Ciò non toglie che, su una materia così delicata, sono state scritte norme confuse e pasticciate, foriere di un'infinità di controversie interpretative ed applicative, che nuoceranno ai lavoratori, ma, a ben vedere, alle stesse imprese. Né si può sottacere che non basta aver stabilito che la clausola compromissoria non possa essere stipulata prima della conclusione del periodo di prova, ove previsto, oppure almeno trenta giorni dopo la stipulazione del contratto in tutti gli altri casi, per far venir meno il carattere sostanzialmente obbligatorio dell'arbitrato, che continua a renderne la disciplina fortemente sospetta di illegittimità costituzionale. Soltanto ragionando in termini astratti e formalistici, infatti, si potrebbe sostenere che nella fase iniziale del rapporto i lavoratori (soprattutto quelli delle piccole imprese e gli assunti con contratti precari) potrebbero manifestare liberamente il proprio consenso alla rinuncia alla giustizia ordinaria in favore di quella arbitrale.



Le disposizioni più pericolose, anche per il loro carattere immediatamente operativo (quelle sull'arbitrato necessitano il previo raggiungimento di un'intesa fra le parti sociali), sono quelle che subordinano al rispetto di drastici termini di decadenza la possibilità di agire in giudizio. Non ha ottenuto alcun ascolto l'obiezione che la norma, che impone ai lavoratori precari (a termine, interinali, a progetto) di rispettare un breve termine di sessanta giorni per contestare la legittimità della cessazione del proprio contratto di lavoro, nella pratica si tradurrà in una sanatoria preventiva degli abusi: stante la notoria riluttanza di questi lavoratori ad attivarsi tempestivamente, nella speranza di non compromettere una nuova assunzione.



L'aspetto più inaccettabile delle nuove regole va comunque visto nella forfettizzazione del risarcimento del danno spettante al lavoratore che si sia visto riconoscere l'illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro. Sino ad oggi il risarcimento andava ragguagliato in misura integrale alle retribuzioni perdute per effetto dell'illegittima cessazione del rapporto di lavoro; d'ora in poi andrà liquidato fra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità di retribuzione, indipendentemente dall'entità del danno effettivo che, in ragione della durata del processo, potrebbe risultare ben superiore. Il principio costituzionale d'eguaglianza e quello del giusto processo sono stati messi all'angolo in un colpo solo.



Il Collegato lavoro rappresenterà adesso un doppio banco di prova. In prospettiva per l'opposizione, che, dopo averne ripetutamente contestato i contenuti, dovrà dimostrare la sua coerenza, assumendo inequivocabili impegni abrogativi nel contesto del programma con cui si presenterà alle prossime elezioni (anticipate o meno che siano). Nell'immediato per Confindustria, Cisl e Uil: se esse, nonostante la notoria contrarietà della Cgil, dovessero insistere sull'arbitrato d'equità, procedendo alla stipula dell'accordo prefigurato dalla legge, va da sé che si tratterebbe di un ulteriore colpo alle possibilità di ricucitura dei rapporti fra sindacati, che priverebbe di credibilità, al tempo stesso, la proclamata volontà di coinvolgere il sindacato più rappresentativo in un nuovo patto sociale.

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LA LEGGE è stata approvata martedì in via definitiva dalla Camera il «collegato lavoro», la legge che il presidente Napolitano aveva respinto alle Camere. Ora la legge, con alcune modifiche che però non modificano la sostanza del provvedimento (come è ben spiegato nell'articolo a fianco), tornerà per la promulgazione dal presidente della Repubblica. I PRECARI NEL MIRINO Le misure più pesanti riguardano i precari. La legge introduce infatti un limite temporale di due mesi alla possibilità (per un lavoratore precario) di rivalersi in giudizio contro un ingiusto licenziamento. Non solo: il risarcimento del danno corrisponderà d'ora in avanti a una cifra compresa tra 2,5 e 12 mensilità (fino a oggi dovevano essere risarcite tutte le retribuzioni perdute). AL LAVORO A 15 ANNI La legge sancisce anche la fine dell'obbligo scolastico a 16 anni. Viene introdotta infatti la possibilità di assolvere l'ultimo anno di scuola con un contratto di apprendistato.



Fonte: Massimo Roccella - il manifesto




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lunedì 18 ottobre 2010

18 Ottobre, Giornata europea contro la tratta di esseri umani

 

 

18 Ottobre, Giornata europea contro la tratta di esseri umani – Traffico di persone…e di speranze

 http://www.fioridistrada.it/?p=2015


Circa un milione gli esseri umani trafficati ogni anno nel mondo, di questi 500mila in Europa, secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni. L’Organizzazione internazionale del lavoro stima invece in 12 milioni e 300mila le persone sottoposte a sfruttamento lavorativo e sessuale. Tra queste, ogni anno, circa 800mila persone sono trasportate oltre i confini nazionali per essere sfruttate in altri Paesi.
Questo è solo uno spaccato della drammatica realtà del fenomeno che mercifica la vita delle persone consentendo ad organizzazione internazionali di lucrare attraverso le promesse che si trasformano in ricatti e il lavoro che si trasforma in sfruttamento della manodopera in agricoltura, edilizia, lavoro di cura ma, prevalentemente per donne anche minorenni, in prostituzione.
Immagine dal web
Immagine dal web
Dal traffico alla tratta il passo è infatti, breve se si pensa che l’80 per cento delle vittime è costituito da donne e ragazze; in più del 50 per cento dei casi, minorenni. Disperazione loro e vergogna nostra perché viviamo in un paese che, nonostante i notevoli passi in avanti compiuti in termini di accoglienza, integrazione e perseguimento del reato di tratta, traffico di essere umani e riduzione in schiavitù, nonostante il numero antitratta attivo 24 ore su 24 (800 290 290 begin_of_the_skype_highlighting              800 290 290      end_of_the_skype_highlighting), ancora in determinati frangenti è incapace di proteggere queste dignità dalla povertà, dalla discriminazione, dalla violenza e dalla morte, situazioni per cui scappano uomini, donne e bambini dal loro paese di provenienza.
In particolare lo sfruttamento è l’ignobile piega prediletta dalle cosiddette nuove schiavitù quelle che hanno stritolato la vita di Olesia Ciobanu, moldava, 30 anni, uccisa a coltellate nel 2008 ad un mese dal suo arrivo e il cui corpo è stato recuperato sulle coste reggine di Bovalino, la vita di Eluta Ilaf, rumena, 44 anni, uccisa con un colpo di fucile da un pensionato di 88 anni di cui era badante ed in circostanza ancora da chiarire, la vita di Cornelia Doana, rumena, è una delle vittime del capodanno rosarnese. Aveva solo 17 anni, è stata uccisa il 31 dicembre 2007 da una calibro 7,65 con la matricola abrasa.
Storie di ordinaria violenza. Storie di donne che partono perchè aspirano a vivere meglio. E ne hanno tutto il diritto. Ma qualcosa si inceppa laddove il dovere di accoglienza, di inclusione sociale e di garanzia di pari integrazione lavorativa risulta nei fatti lontano. In questo paese vi è anche la Calabria dove le donne dell’Est arrivano e quello che trovano spesso non è ciò cercano. Intanto il numero degli immigrati in Calabria si aggira sui 48.200 su due milioni di abitanti.

© Fiori di Strada
© Fiori di Strada
La provincia con il maggior numero di immigrati è quella di Reggio Calabria con 17.100, pari al 35,9%, seguita dalla provincia di Cosenza con 13.400 (24,1%). In provincia di Catanzaro gli stranieri sono 9.000 (17,1%), mentre a distanza si posizionano Crotone con 4.300 (14,7%), dato in nettissimo calo, e Vibo con 4.296 (8,1%). I lavoratori stranieri occupati in Calabria sono 36.320, pari all’8,9% del totale, di cui 15.583 donne (42,9%) e questo suggerisce l’ampiezza di quella piega in cui lo sfruttamento dilaga e nel dilagare, stritola esistenze e speranze, come Rosarno docet.

Fonte: http://www.reggiotv.it/news.php?id=16789

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giovedì 14 ottobre 2010

LE TANTE CONTRADDIZIONI DELLA MANIFESTAZIONE DEL 16 OTTOBRE ED I MOTIVI DELLA NOSTRA NON PARTECIPAZIONE


Slai Cobas Trentino



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LE TANTE CONTRADDIZIONI DELLA MANIFESTAZIONE DEL 16 OTTOBRE ED I MOTIVI DELLA NOSTRA NON PARTECIPAZIONE

Slai Cobas Trentino

Non è sufficiente rilevare come la manifestazione di Roma del 16 ottobre sia una possibilità che oggi si presenta ai lavoratori per esprimere in modo collettivo una volontà di opposizione nei confronti di un attacco sempre più pesante e complessivo alle condizioni di vita e di lavoro ed ai diritti. Ugualmente non è sufficiente rilevare come possa essere consideraro un dato negativo il fatto della partecipazione dei lavoratori alla manifestazione del 16.

Tutto questo infatti non è sufficiente per caratterizzare la manifestazione nazionale della FIOM come un effettivo momento di lotta e di opposizione di classe.

Innanzittutto oggi andare a Roma significa farlo sotto l’egemonia politica e sindacale della FIOM. Il fatto che molte organizzazioni e gruppi di compagni che sostengono di non identificarsi con la FIOM partecipino alla manifestazione per poter esporre il proprio punto di vista ai lavoratori non indica minimamente che vari il carattere complessivo dell’iniziativa del 16 ottobre. Chi va a Roma, con posizioni anche critiche sotto il profilo della propaganda nei confronti della FIOM va di fatto comunque a manifestare sotto l’egemonia politica e sindacale di quest’ultima.

La realtà che emerge rispetto alle diverse forze della ‘sinistra’ ed alle differenti organizzazioni "comuniste e rivoluzionarie" è però addirittura più problematica. Oggi il codismo nei confronti della FIOM continua ad essere dilagante cosa questa che attesta, ancora una volta, come tutta una serie di organizzazioni e di gruppi spesso anche "ultra-rivoluzionari" operi tra l’altro come una sorta di ala di estrema sinistra della cosiddetta ‘borghesia liberale’.

Oggi la FIOM non solo non vuole rompere con la CGIL, e quindi in ultima analisi nemmeno con CISL e UIL, ma nemmeno può farlo senza rinunciare alla propria identità, linea politica e tenuta organizzativa. Ciò non significa che non vi siano contraddizioni e che queste non vadano sempre valutate e seguite con attenzione. Occorre anche analizzare la loro natura politica, considerare la prospettiva in cui si muovono le varie forze ed i diversi schieramenti e, quindi, in ultima analisi, chiarire cosa si vuole fare e dove e con chi si vuole andare. Occorre chiarire se si vuole lavorare alla costruzione delle organizzazioni di classe dei lavoratori e ad una fuori-uscita proletaria e rivoluzionaria dalla crisi, oppure se, viceversa, si sta di fatto operando all’interno dei meccanismi della riproduzione dell’egemonia e del dominio del capitale.

Con la globalizzazione, la crisi e lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, le società ed i sistemi politici come quelli che caratterizzano un paese occidentale come l’Italia, si muovono con una crescente complessità e frammentazione in una direzione sempre più reazionaria attraverso un continuo susseguirsi di "riforme" politiche, economiche, sociali e culturali, che invece di stabilizzare la situazione ne accentuano ad ogni livello le contraddizioni, finendo così per alimentare ulteriormente la tendenza al fascismo, alle guerre imperialiste, alla devastazione dell’ambiente, al drastico peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori, ecc.

Ora oggi tutto questo riesce ancora a funzionare in quanto le contraddizioni tra le varie frazioni del capitale, tra i vari schieramenti politici e sindacali e tra varie forze della cosiddetta società civile, sono nel loro complesso un sistema ancora capace di esercitare egemonia, questo nonostante la crescente crisi egemonica di varie forze politiche e sindacali. Se, in linea con un modello di fascismo come quello classico di stampo nazista, mussoliniano, golpista, ecc. non potesse esprimersi un certo livello di contraddizione tra le varie forze politiche e sindacali, non ci sarebbe oggi una tenuta ancora così rilevante sotto il profilo egemonico da parte dell’avversario di classe.

Una conflittualità inter-borghese che, per es. all’interno dei posti di lavoro ed in particolare nelle fabbriche, nella forma particolare della contraddizione tra padroni e sindacati confederali, consente ancora il "governo interno" su/contro i lavoratori.

Da questo punto di vista la FIOM non si colloca all’esterno di questo sistema di esercizio dell’egemonia della borghesia il quale appunto prevede che le varie forze che appartengono a tale sistema entrino in contraddizione ed in competizione per l’esercizio del ‘potere’.

Una manifestazione come quella del 16 ottobre esprime un momento che, per quanto conflittuale, viene voluto, pensato, progettato ed organizzato, in funzione del mantenimento di spazi di potere e di manovra all’interno del sistema egemonico borghese contro i tentativi volti a penalizzare e marginalizzare la FIOM all’interno di tale sistema. Tentativi messi oggi in atto dalle destre, dai padroni, dalla CISL, dalla UIL, e persino da parte di certe componenti della CGIL.

Il fatto che la FIOM oggi sia sotto tiro non significa affatto che la FIOM abbia cessato di essere parte della CGIL e di voler o poter rendersi indipendente da essa, non significa affatto che la FIOM non abbia sempre contribuito direttamente a rimettere in gioco la CGIL tra i lavoratori, ed indirettamente attraverso la CGIL, a rimettere in gioco, senza magari nemmeno volerlo, persino CISL e UIL. Non significa ancora che la FIOM, come in genere la "sinistra sindacale", in questi decenni non abbia efficacemente spianato la strada all’attuale offensiva della FIAT, della Confindustria e dell’attuale governo delle destre.

La FIOM sotto questo profilo ha operato come la ‘sinistra’ istituzionale, come i vari PRC, PdCI ecc., e spesso in modo organicamente congiunto con essi.

Il dato di fatto, per quanto relativo, della contraddizione che si è aperta con la FIOM apre la strada ad un’eventuale politica di fronte nei confronti dei lavoratori che ancora si sentono organicamente rappresentati da quest’organizzazione sindacale.

Va considerato comunque il fatto che attualmente una "politica di fronte" la sta facendo efficacemente e dal suo punto di vista solo la FIOM trascinandosi dietro una nutrita carovana formata dai partiti della ‘sinistra’ e da sciocchi gruppi dell’ ‘estrema sinistra’.

In alcun modo esistono oggi le condizioni per realizzare il 16 a Roma un fronte con la FIOM utile alla costruzione di un’indipendenza operaia e proletaria.

Soltanto un reale sindacato di classe con un’effettiva capacità di mobilitazione combattiva di rappresentanze di una pluralità di settori di operai e di lavoratori può oggi eventualmente andare a costruire, quando effettivamente necessario e con accortezza e flessibilità, un fronte con la FIOM.

Senza andare a costruire un sindacato di classe in grado di scendere in campo con una propria iniziativa di classe ed una propria effettiva capacità di mobilitazione parlare di "fronte di lotta" con la FIOM significa solo chiacchierare e contribuire ad imbrogliare i lavoratori.

Ancora una volta è necessaria una delimitazione tra chi vuole costruire il sindacato di classe ed il partito rivoluzionario dei proletari e dei lavoratori, e chi invece sembra ostacolare tutto questo, inseguendo la FIOM e presentandola come una forza sindacale che vuole, e che può, scendere realmente in campo contro l’attacco reazionario e padronale in atto portato avanti dalle varie frazioni del capitale, dai governi delle destre, dal PD e dai sindacati confederali.

Oggi è anche necessario dire che la stessa scadenza del 16 ottobre evidenzia comunque la passività ed il conservatorismo di alcuni sindacati di base che hanno scelto di andare a costituirsi con logiche che vedono la prospettiva del sindacato di classe come un pericolo per la salvaguardia di un unità al ribasso costituita da un equilibrio di/tra "interessi confederati". Questi sindacati di base o inizieranno ad intraprendere realmente la strada del sindacato di classe o sono comunque destinati a disgregarsi, ad arretrare e capitolare, nel momento in cui si accelera la dissoluzione di quella cornice giuridica ed istituzionale su cui hanno voluto fondare il proprio progetto sindacale confederativo di tutela degli interessi particolari di settori di lavoratori delle varie categorie.

SLAI COBAS DEL TRENTINO

slaicobastrentino@gmail.com

www.slaicobastrentino.wordpress.com






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Facciamo RETE con la FIOM

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http://www.libera.tv/videos/626/landini-autonomia-del-sindacato-e-alleanze-sociali.html

LANDINI, AUTONOMIA DEL SINDACATO E ALLEANZE SOCIALI. Conferenza stampa di presentazione della manifestazione del 16 ottobre. Landini risponde ad una domanda di Libera.tv sul ruolo che la FIOM sta svolgendo come catalizzatore di una ampia alleanza sociale. Roma, 13 ottobre 2010.


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La manifestazione nazionale indetta dalla FIOM per il prossimo 16 ottobre assume un valore che va oltre la dimensione sindacale. Dentro e fuori le fabbriche sono in gioco diritti e libertà fondamentali.
La nostra Costituzione all’articolo 1 dichiara che “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”. Ed è il lavoro che oggi subisce l’attacco più violento in nome di un profitto senza etica, di un mercato senza regole, di una globale guerra tra poveri.

Per noi realtà della rete che ogni giorno facciamo informazione dal basso dando voce a idee, progetti, persone e lotte che non trovano spazio altrove è quindi naturale schierarci con la FIOM nel momento in cui questa organizzazione, sottoposta a pressioni e tentativi di criminalizzazione, porta in piazza le ragioni di quel mondo del lavoro che sono state cancellate dalla comunicazione dei grandi media.
La RETE è uno spazio dove ancora vive una battaglia delle idee contro la
logica dominante che ci vorrebbe tutti sudditi passivi del dominio dei poteri forti.
Noi quindi facciamo RETE con la FIOM e cioè dedicheremo, da qui in avanti, gran parte delle nostre energie comunicative per sostenere la mobilitazione verso la manifestazione. Il 16 ottobre poi ci impegniamo a dedicare le nostre home page, i nostri blog, le nostre bacheche, le nostre pagine alla FIOM, alle sue ragioni, alla sua battaglia perché il lavoro, come l’acqua, sia un bene comune, un diritto reale, un presidio di dignità ed uno strumento di emancipazione.

Prime adesioni:
Web Radio e TVLibera.tv (http://www.libera.tv/)
Quantaradio (http://www.quantaradio.it/)
Radiocentopassi (http://www.radio100passi.net/)
BloggerPiero Ricca (http://www.pieroricca.org/)
Claudio Messora (http://www.byoblu.com/)
Paolo Papillo (http://informazionedalbasso.myblog.it/)
Samanta di Persio (http://sdp80.wordpress.com/)
Siti Dirittistorti (http://www.dirittidistorti.it/)
Controlacrisi (http://www.controlacrisi.org/)
Lettera 22 (http://www.lettera22.it/)
Globalist (http://www.globalist.it/)
Nuovaresistenza (http://www.nuovaresistenza.org/)
Reteprecariscuola (http://retecomitatiprecariscuola.netsons.org/)
Nuovasocietà (http://www.nuovasocieta.it/)
Fuoripagina (http://www.fuoripagina.net/)
Pagine e gruppi Facebook
Contro il Governo della Vergogna (http://www.facebook.com/pages/CONTRO-IL-GOVERNO-DELLA-VERGOGNA-per-il-rilancio-della-Sovranita-Popolare/149720204143)
Noi con la FIOM (http://www.facebook.com/pages/Noi-Con-La-Fiom/116953198360306)

Per ulteriori adesioni:
facciamoreteconlafiom@gmail.comQuesto indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.
La bacheca dell'evento su Facebook
http://www.facebook.com/pages/LiberaTv/101296006584961?ref=mf#!/event.php?eid=157214774301532




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mercoledì 13 ottobre 2010

Minatori Cile, il salvataggio in diretta






 http://video.excite.it/minatori-cile-il-salvataggio-in-diretta-V54570.html



In Cile è arrivato finalmente il momento della libertà per i minatori intrappolati. E' dal 5 agosto che nella miniera di San Josè sono bloccate 33 persone, adesso è possibile salvarli grazie alla caspula Felix. Sul posto è presente il presidente cileno Sebastian Pinera: 'Il primo minatore è già con noi, ma questa giornata sarà lunga, noi andremo avanti senza riposo, e senza soste'. Tutto il mondo è col fiato sospeso nel seguire le operazioni di estrazione, noi vi proponiamo la diretta streaming completa fornita dalla CBS.





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lunedì 11 ottobre 2010

Lo sciopero delle rotonde ferma il mercato delle braccia




A due anni dalla strage in cui vennero uccisi dalla camorra sei lavoratori ghanesi per sottomettere l’intera comunità migrante al lavoro schiavile, una stele è stata posta sul luogo dell’eccidio mentre il sindaco Pdl, Antonio Scalzone, spargeva ulteriore odio contro i migranti. L’8 ottobre prossimo verrà organizzato per la prima volta uno “sciopero delle rotonde”, luogo dove ogni mattina si tiene il mercato spontaneo (e al nero) della forza lavoro immigrata



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Lo sciopero delle rotonde ferma il mercato delle braccia

DI :Sarah Di Nella


E’ iniziata oggi la settimana di mobilitazione nazionale per i diritti dei migranti, con il primo sciopero dei lavoratori alla giornata in Italia. Sedici rotonde del napolitano sono state occupate da lavoratori immigrati che indossavano un cartello con la scritta «Noi non lavoriamo per meno di 50 euro al giorno» per la giornata «stop sfruttamento, diritti e dignità».
Alle rotonde, che gli immigrati chiamano i «Kalifoo round» c’erano i lavoratori dell’agricoltura, dell’edilizia, delle fabbriche… Con e senza documenti. Protestano contro lo sfruttamento: chi viene «reclutato» all rotonde ha visto scemare la propria paga fino ad arrivare a 15 o 20 euro per una giornata di lavoro.

Con lo sciopero i lavoratori chiedono anche provvedimenti contro lo sfruttamento del lavoro nero, con il recepimento della direttiva europea 52 e l’estensione dell’articolo 18 del testo unico anche a chi denuncia di essere stato costretto all’irregolarità del lavoro . «Gli immigrati che stanno protestando oggi non solo rinunciano alla paga giornaliera ma rischiano anche di passare dalla parte di vittima a quella di criminali, perseguibili dalla polizia se irregolari – spiega Mimma D’Amico, del centro sociale ex canapificio di Caserta – Tutto questo lo denunciamo da anni, nel silenzio assordante di istituzioni e governo, a cui ci rivolgiamo perché favoriscano interventi per l’emersione del lavoro nero».

«Una protesta contro lo sfruttamento e per la regolarizzazione, senza la quale è difficile far rispettare i propri diritti, mentre con la crisi le paghe reali scendono ormai anche sotto i 25 euro per dieci-dodici ore al giorno, per non parlare delle inesistenti condizioni di sicurezza – spiegano i promotori [il Forum antirazzista della Campania, il Movimento dei migranti e dei rifugiati di Caserta e della Campania] – Con questa prima e a suo modo storica iniziativa, tantissimi lavoratori vogliono ricordare alle istituzioni locali e nazionali che il lavoro migrante in questi territori non è solo quello di ‘colf e badanti’ [a cui si è ristretta l’ultima sanatoria] e che solo un’ipocrisia interessata spinge a non vedere le tantissime persone che si ammazzano di fatica mentre contribuiscono alla fragile economia di questa regione. Superare il lavoro nero significa aiutare i lavoratori che lo subiscono a sfuggire il ricatto sociale ed economico in cui sono costretti. Solo così può aprirsi una stagione di diritti e dignità».

Alle rotonde di Licola, Pianura, Quarto, Casal di Principe, Villa Literno, Baia Verde, Giugliano, Qualiano, Afragola, Arzano, Scampia, Caivano, i lavoratori hanno incrocciato le braccia. «Ad Afragola c’erano circa 150 persone – racconta Filippo Mondini, della rete antirazzista – E’ stato un successo, nessuno ha lavorato nonostante molti caporali si siano fermati. C’erano anche molti italiani che si fermavano e chiedevano il perché dello sciopero, così siamo riusciti a spiegargli qual è la situazione dei lavoratori immigrati». Di fronte alle rivendicazioni dei lavoratori, la reazione dei caporali è stata invece, dice Filippo, «ignorante». «Non hanno cercato di capire perché si scioperava. La vera battaglia inizierà domani, quando vedremo la loro reazione. Questa è la prima esperienza di sciopero di questo tipo e non c’è un percorso prestabilito, si tratta di costruirlo insieme giorno per giorno». Ad Afragola ci sono due rotonde dove i lavoratori aspettano caporali e datori di lavoro, ma solo in una era stata organizzata un presidio. I lavoratori della seconda rotonda però hanno deciso a loro volta di incrocciare le braccia e si sono uniti allo sciopero. A Villa Literno c’erano una cinquantina di persone, mentre a Baia Verde erano in sessanta. «C’è stata un’altissima adesione – dice Mimma – Tra gli immigrati che hanno aderito alla mobilitazione, ci sono soprattutto africani, che ogni giorno proprio in prossimità di queste rotonde vengono reclutati per lavorare in nero nell’edilizia, nell’agricoltura o nei magazzini, sfruttati e spesso maltrattati dai loro datori di lavoro».

Il sindaco di Castel Volturno Antonio Scalzone, che porta avanti una crociata razzista insieme al consiglio comunale, all’eccezione del Pd, non ha risposto all’invito degli antirazzisti, a cambiare rotta sull’immigrazione e partecipare allo sciopero. «Vivono sulle nostre spalle, fosse per me farei come a Rosarno» aveva dichiarato, tra le altre cose, Scalzone.

Sabato 9 ottobre ci sarà una manifestazione contro il razzismo, lo sfruttamento e la camorra. L’appuntamento è davanti alla stazione di Caserta alle dieci, il corteo si concluderà davanti alla prefettura. La mobilitazione proseguirà a Roma il 14 e del 15 ottobre, con un presidio davanti al ministero dell’interno.


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domenica 10 ottobre 2010

Inps nasconde la verità sulle pensioni ai precari per evitare rivolte







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Il presidente dell'INPS Antonio Mastrapasqua ha finalmente risposto a chi gli chiedeva perché l'INPS non fornisce ai precari la simulazione della loro pensione futura come fa con gli altri lavoratori: "Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale".

I precari, i lavoratori parasubordinati come si chiamano per l'INPS gli "imprenditori di loro stessi" creati dalle politiche neoliberiste, non avranno la pensione. Pagano contributi inutilmente o meglio: li pagano perché L'INPS possa pagare la pensione a chi la maturerà. Per i parasubordinati la pensione non arriverà alla minima, nemmeno se il parasubordinato riuscirà, nella sua carriera lavorativa, a non perdere neppure un anno di contribuzione.

L'unico sistema che l'INPS ha trovato per affrontare l'amara verità, è stato quello di nascondere ai lavoratori che nel loro futuro la pensione non ci sarà, sperando che se ne accorgano il più tardi possibile e che facciano meno casino possibile.

Non si può non notare come anche la politica taccia su questo scandalo, ma non ci si potrebbe attendere altrimenti, perché a determinare questo scandalo hanno contribuito tutti i partiti attualmente rappresentati in parlamento, nessuno escluso.

I precari, tenuti all'oscuro o troppo occupati a sopravvivere, difficilmente noteranno la dichiarazione di Mastropasqua al Corriere della Sera e i media sembrano proprio intenzionati a non rovinare loro la sorpresa. Proprio una bella sorpresa.

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sabato 9 ottobre 2010

manifestazione nazionale 16 ottobre 2010 per i diritti



manifestazione nazionale 
16 ottobre 2010 per i diritti

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"Il lavoro è un bene comune": manifestazione nazionale 16 ottobre 2010 per i diritti, il lavoro, la legalità, la democrazia e il contratto. Videolettera di Maurizio Landini, segretario generale della Fiom-Cgil.

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mercoledì 6 ottobre 2010

Allevare le api e' un lavoro ...




Fare l'apicoltore è un lavoro impegnativo, che richiede conoscenza ed esperienza, ma dà in cambio grosse soddisfazioni.


Avete mai visto, in montagna o campagna, quei bei prati ben tenuti, con l’erba alta un centimetro, con gli alberi alti e possenti, e là sotto quelle piccole casette brulicanti di vita? Si tratta delle arnie, le case delle api, lì gli apicoltori, pazienti e saggi, allevano le piccole e operose api, le quali donano il loro giallo e saporito nettare.
Arnia è il nome che identifica esattamente ogni singola casetta nella quale vivono le api; l’insieme delle arnie va a costituire gli apiari (in toscana si chiama così), anche detti alveari.
Una colonia di api non resta mai fissa come numero, ma naturalmente anno dopo anno cresce, arrivando a numeri importanti, possono infatti raggiungere anche le 100.000 unità! La colonia è così costituita:
  • Ape reginaUn'ape regina, unica femmina fertile, può vivere anche fino a 5 anni
  • Diversi fuchi, che sono i maschi, non hanno il pungiglione, vivono solo una stagione e hanno il compito di fecondare la regina
  • Numerosissime api operaie, sono centinaia nell’alveare e sono sterili
  • Api nutrici, addette a sfamare le larve durante la loro crescita con la pappa reale
  • Api spazzine, deputate ad eliminare dall’alveare le scorie
Al momento di deporre le uova, la regina prima controllerà le cellette predisposte, poi in quelle di dimensione normale deporrà un uovo fecondato, il quale darà origine alla femmina, mentre nelle cellette più grandi deporrà un uovo non fecondato, da cui nascerà un maschio. In un giorno la regina può deporre anche fino a 2.000 uova.
ApicolturaDiventare apicoltore non è semplice, richiede tempo, pazienza, conoscenza, voglia di apprendere un mestiere che come tanti altri richiede devozione, energia e molto altro ancora. Io ho avuto la fortuna di conoscere questa vita e tutti i suoi segreti grazie a mia nonna, figlia di un grande apicoltore toscano che, pazientemente, più di 150 anni fa, creò uno degli allevamenti più grandi in Italia, donando il proprio miele niente di meno che al Re in persona!
Essere apicoltore significa lavorare anche più di 12 ore al giorno, in alcuni momenti dell’anno poi le esigenze di cura richiedono un’intensità di lavoro tale che poco ha a che fare con il semplice hobby della domenica.
La natura e le stagioni dettano le regole, non l’uomo, questa è la prima regola che un buon apicoltore deve conoscere e fare propria.
In estate ad esempio il lavoro si fa più intenso, poiché è il periodo di produzione del polline, il quale è da raccogliere ogni giorno, poi vi è da raccogliere la pappa reale.
All’arrivo dell’autunno questo ritmo frenetico diminuisce, in questa stagione ci si dedica alla logistica delle api, si cerca di non disturbare questi piccoli e fantastici insetti.
Poi arriva febbraio e poi marzo, si tratta di due mesi molto importanti poiché le regine iniziano a deporre le uova, nuove api nasceranno e tutto l’alveare è in fermento per questa attività importantissima; in primavera le famiglie sono aumentate di numero, viene fabbricata cera nuova, i nidi vanno bonificati e i favi sostituti.
Apicoltore
Le api vivono e stanno bene solo se l’ambiente intorno ad esse sta bene: se l’ambiente permette di produrre molto nettare, allora la regina sarà a sua volta molto produttiva, quindi l’intero alveare starà bene e crescerà di anno in anno, diversamente soffrirà e molto probabilmente la regina cercherà altrove. L’apicoltore consoce questa caratteristica e sposta le colonie anche in base alle diverse fioriture, per permettere la buona produzione di miele, ma soprattutto per avere api in salute, forti e vivaci.
ApicolturaAnche in questo settore è possibile effettuare un’apicoltura biologica, evitando di usare farmaci chimici e sostanze che arrecherebbero danno alle api, al miele e all’ambiente.
Fare l’apicoltore è una sorta di missione, soprattutto per il valore che questo lavoro comporta, il contatto costante con la natura, l’ecosistema. Se a qualcuno di voi fosse venuta la voglia, maggiori informazioni si possono ottenere presso la Federazione Apicoltori Italiani, Corso Vittorio Emanuele 101, 00186 Roma. Telefono: 06-6877175 Fax: 06-6852287 E-mail: federapi@tin.it

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lunedì 4 ottobre 2010

A LECCE CHIUDE LA MANIFATTURA TABACCHI



L’ULTIMA SIGARETTA - A LECCE CHIUDE LA MANIFATTURA TABACCHI:

 500 famiglie del Salento sul lastrico - strano Perché il fumo rende e rende tantissimo. Nel 2009 139 milioni di utili su 618 milioni di fatturato. Una redditività da record: 22 euro di profitti ogni 100 di ricavi - Uscito di scena Baldassarre, inciampato in un paio di inchieste giudiziarie tra cui quella per aggiotaggio sulla privatizzazione Alitalia, il board dell’azienda inglese può contare su Aurelio Regina, il rampantissimo presidente degli Industriali romani....


Vittorio Malagutti per "Il Fatto Quotidiano"
BAT Il fumo, si sa, nuoce gravemente alla salute. Di questi tempi però 500 famiglie del Salento hanno disperatamente bisogno di sigarette. Ne va del loro futuro, della loro vita. Da quando, un paio di settimane fa, la British American Tobacco, filiale dell'omonima multinazionale del tabacco, ha annunciato la chiusura del suo stabilimento di Lecce, il destino dei dipendenti è appeso a un filo.
Quello di un progetto di riconversione industriale che la stessa Bat si è impegnata a sostenere. Solo parole. Promesse. Ma intanto "Lecce chiude", confermano i portavoce della società inglese, un colosso attivo in tutto il mondo con ricavi globali per oltre 16 miliardi di euro. I giochi sono fatti. La sentenza scritta. L'impianto si ferma forse già entro fine anno.
GAETANO QUAGLIARIELLO Protestano i sindacati. L'arcivescovo Domenico D'Ambrosio chiede all'azienda di ripensarci. Scende in piazza anche il sindaco di centrodestra Paolo Perrone, alla guida di un'amministrazione, quella di Lecce, sull'orlo della bancarotta. Niente. Lo stabilimento salentino costa troppo. E allora bisogna "rivedere l'assetto produttivo del gruppo", spiegano i documenti aziendali.
Certo fa impressione confrontare queste dichiarazioni con i dati di bilancio della Bat Italia. Perché il fumo rende e rende tantissimo. Nel 2009 la filiale nostrana della British American Tobacco ha realizzato la bellezza di 139 milioni di utili su 618 milioni di fatturato. Una redditività da record: 22 euro di profitti ogni 100 di ricavi. Sono i risultati migliori da molti anni a questa parte. Risultati che hanno garantito 120 milioni di dividendi alla casa madre di Londra.
Aurelio Regina IL SALOTTO BUONO TABAGISTA - Eppure a Lecce si chiude. Lo ha deciso il consiglio di amministrazione presieduto da Francesco Valli, un manager lobbista con la passione della politica. Valli tra l'altro presiede la Fondazione Magna Charta, il gruppo di ultras conservatori, nonché liberali e liberisti, fondato dal senatore pidiellino Gaetano Quagliariello. Una sorpresa? Mica tanto. La Bat italiana è da sempre molto attenta agli equilibri romani.
Fino a marzo tra gli amministratori si dava da fare anche l'ex presidente della Corte costituzionale,il berlusconiano Antonio Baldasarre, di recente inciampato in un paio di inchieste giudiziarie tra cui quella per aggiotaggio sulla privatizzazione Alitalia. Uscito di scena Baldassarre, il board dell'azienda inglese può comunque contare sulla collaborazione di Pierluigi Celli, l'ex direttore generale della Rai ora a capo dell'università confindustriale Luiss, e di Aurelio Regina, il rampantissimo presidente degli Industriali romani.
QUESTIONE DI PREZZO (POLITICO) - Nomi noti, personaggi influenti e soprattutto trasversali, ben piazzati a destra come nel centrosinistra. Gente così non serve soltanto a dare lustro al consiglio. Il fatto è che il business del tabacco non ha esattamente un'immagine smagliante, bersagliato com'è dalle campagne salutiste dei governi. Senza contare che il prezzo delle sigarette, per il 75 per cento assorbito dalle tasse, viene regolato dallo Stato. Ecco perché un aiutino a Roma fa sempre comodo.
ANTONIO BALDASSARE Certo, c'è il contesto globale da considerare. I fumatori aumentano solo nei paesi in via di sviluppo. E allora è lì che si concentrano gli investimenti. Nel 2000 Bat controllava 83 stabilimenti nel mondo. Adesso sono 50 e dal 2008 hanno chiuso i battenti impianti in Danimarca, Lettonia e Turchia. Il mercato si restringe anche in Italia. L'anno scorso il consumo di sigarette è calato del 3 per cento. E i marchi del gruppo inglese hanno perso proporzionalmente ancora di più: meno 6,2 per cento.
E allora per continuare a guadagnare, anzi, per guadagnare di più, bisogna tagliare, ripensare la logistica, gestire il business di ogni Paese in un'ottica sempre più globale. Risultato: Lecce non serve più. In futuro nel nostro Paese verranno vendute soltanto sigarette prodotte altrove, di preferenza nell'Europa orientale. E così l'ultima fabbrica italiana della Bat, quella da cui escono i pacchetti con il marchio Ms, si avvia alla rottamazione. Strano. Perché solo l'anno scorso il gruppo britannico ha investito oltre 10 milioni di euro per rinnovare i macchinari dello stabilimento salentino.
Luca di Montezemolo LA STRANA STRATEGIA DEI TAGLI - Investire per poi tagliare? Una strategia a dir poco singolare. Ed è recentissimo anche l'ultimo accordo con i sindacati per gestire 75 tagli a livello nazionale: porta la data del 14 luglio 2009, con tanto di piano industriale valido dal 2009 al 2011 dove si confermava la centralità della fabbrica pugliese.
Giancarlo Elia Valori Adesso però la Bat ha scoperto che Lecce non serve più. Londra dispone. Roma esegue. E' questo l'epilogo paradossale, (peggio, tragico) di una storica privatizzazione, quella dell'Ente tabacchi italiani (Eti), l'ex Monopolio di Stato per i tabacchi. Nel dicembre 2003 l'operazione fu annunciata tra squilli di tromba e rulli di tamburi dal governo Berlusconi in carica a quel tempo. Un carrozzone di Stato vecchio e malandato passava alla Bat per il prezzo record di 2,35 miliardi di euro.
Per gli inglesi ne valeva la pena. L'acquisizione serviva a spiazzare storici concorrenti della Philip Morris, saldamente insediati nella Penisola grazie a un contratto di produzione con l'Eti. Ebbene, una volta messe le mani sugli ex monopoli italiani, il gruppo britannico non ha fatto altro che vendere, tagliare, chiudere. Il sigaro toscano è andato alla famiglia bolognese Maccaferri, in cordata con Luca di Montezemolo e Aurelio Regina, lo stesso che siede nel consiglio della Bat italiana.
Francesco Valli Una holding presieduta dal potente Giancarlo Elia Valori si è invece comprata lo stabilimento di Chiaravalle, nelle Marche. Nel 2008 si è fermato per sempre l'impianto di Rovereto, in Trentino. Quello di Bologna (sette capannoni, 100 mila metri quadrati), dopo lo stop alla produzione è stato ceduto alla regione Emilia Romagna che progetta di costruire un polo tecnologico e di ricerca. Nel giro di quattro anni i dipendenti del gruppo si sono quasi dimezzati. Erano quasi 1.300 nel 2006, adesso sono circa 700. Puntiamo tutto su Lecce, garantiva Valli. E invece no. Chiusura in vista. Così in Italia della grande privatizzazione del 2003 non resteranno più neppure le briciole.

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