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mercoledì 28 novembre 2012

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martedì 27 novembre 2012

BLOG DI CIPIRI: ILVA : la realtà del ricatto tra malattia e lavoro...

la realtà del ricatto tra malattia e lavoro


Chiude Ilva Taranto, sciopero e tensione. Occupati gli uffici, Clini: 'Decreto giovedì'

Accertamenti Gdf a Bari e Roma su vecchia Aia. Sciopero proclamato da Fim, Fiom e Uilm. A Genova tolto blocco operai autostrada. Cancellieri, ordine pubblico a rischio


La realtà, la terribile realtà del ricatto tra malattia e lavoro,,,

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BLOG DI CIPIRI: ILVA : la realtà del ricatto tra malattia e lavoro...: Chiude Ilva Taranto, sciopero e tensione. Occupati gli uffici, Clini: 'Decreto giovedì' Accertamenti Gdf a Bari e Roma su vecchia Aia....

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Il disastro di Bhopal

Resti dello stabilimento di Bhopal


Il disastro di Bhopal è avvenuto nel 1984 nella città indiana di Bhopal a causa della fuoriuscita di 40 tonnellate di isocianato di metile (MIC), dallo stabilimento della Union Carbide India Limited (UCIL), consociata della multinazionale americana Union Carbide specializzata nella produzione di pesticidi.

La nube formatasi in seguito al rilascio di isocianato di metile, iniziato poco dopo la mezzanotte del 3 dicembre 1984, uccise in poco tempo 2.259 persone e avvelenò decine di migliaia di altre. Il governo del Madhya Pradesh ha confermato un totale di 3.787 morti direttamente correlate all'evento, ma stime di agenzie governative arrivano a 15.000 vittime. Un affidavit governativo del 2006 asserisce che l'incidente ha causato danni rilevabili a 558.125 persone, delle quali circa 3.900 risultano permanentemente invalidate a livello grave. Viene comunque attribuita al governo la volontà di estendere a quante più persone possibili, anche minimamente coinvolte, gli aiuti previsti dagli accordi del 1989, al prezzo di trascurare in qualche misura le invalidità di grado maggiore. Ancora nel 2006, nelle zone interessate dalla fuoriuscita del gas il tasso di morbilità è 2,4 volte più elevato che nelle altre adiacenti.

Si ritiene che i prodotti chimici ancora presenti nel complesso abbandonato, in mancanza di misure di bonifica e contenimento, stiano continuando a inquinare l'area circostante.

Ci sono diversi processi penali e civili ancora in corso, sia presso tribunali americani che indiani. Essi coinvolgono l'UCIL, lavoratori ed ex-lavoratori, la multinazionale Union Carbide stessa e Warren Anderson, il suo CEO al tempo del disastro, sul quale dal luglio 2009 pende un mandato di arresto emesso dalla giustizia indiana.

Nel giugno 2010 un tribunale di Bhopal ha emesso una sentenza di colpevolezza per omicidio colposo per grave negligenza nei confronti di otto ex-dirigenti indiani della UCIL (di cui uno già deceduto), tra i quali Keshub Mahindra, all'epoca presidente. La condanna, pari al massimo previsto di due anni di carcere e 100.000 rupie (circa 2000 dollari) di multa, è stata giudicata irrisoria dagli attivisti e dalla società civile. I condannati, scarcerati dietro una cauzione inferiore ai 500 dollari, hanno presentato appello.

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Mai più ThyssenKru​pp : processo d'Appello



Mercoledì 28 novembre presso il Tribunale di Torino ha inizio il processo d'Appello ThyssenKrupp in seguito al ricorso presentato dai 6 imputati contro le condanne, da 10 a 16 anni, inflitte in primo grado per il rogo del 6 dicembre 2007 in cui persero la vita 7 compagni di lavoro.

L'impianto del ricorso si basa sul fatto che la morte dei nostri compagni di lavoro non è imputabile a mancanze o colpevolezze aziendali, peraltro ampiamente dimostrate in aula, ma alla distrazione dei ragazzi: un'accusa ignobile detta da chi, oltre ad aver causato a quei ragazzi una morte atroce per far fare profitti ad una fabbrica già chiusa, non ci ha pensato due volte a convocare i testimoni di parte e fornirgli preventivamente domande e risposte! Per “rinfrescare la memoria” è stata la giustificazione. Uno scarica barile ignobile che vorrebbe far ricadere le responsabilità di questa strage sui lavoratori stessi. Per capire chi sono Espenhahn, Salerno, Cafueri e soci basta ricordare le parole del Procuratore R. Guariniello ("Abbiamo agito come se si trattasse di una società a delinquere"). Se in Italia esistesse davvero la giustizia questi assassini dovrebbero GIA' essere in galera! 

7 morti atroci non hanno insegnato niente perchè non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire: nulla è cambiato, le morti per profitto continuano senza sosta nei cantieri, nelle fabbriche e sulle strade, ora anche nei luoghi di divertimento (solo per fa soldi chiedendo 50-60 e più euro per un concerto), con la crisi che non fa altro che peggiorare le già deprecabili condizioni di lavoro per giovani e non, donne, precari e immigrati.

Ripetiamo da tempo che l'unica misura per uscire dalla crisi è quello di rilanciare il LAVORO, sicuro e dignitoso per tutti, utile (produrre solo ciò che serve e non che fa arricchire qualcuno) e rispettoso dell'ambiente (emblematico, e purtroppo per nulla isolato, il caso Ilva a Taranto: se si vuole il lavoro bisogna essere disposti anche a morire...) e delle persone.

Se non sono i padroni a volere la sicurezza dei lavoratori non può che essere la società civile ad imporla. Per questo occorre lavorare tutti insieme per creare, sulle ceneri di questo sistema ormai in disfacimento, un sistema nuovo in cui siano al centro le persone e non i profitti a partire dal rilancio di un lavoro utile e dignitoso: potenziando trasporti, scuola pubblica, assistenza sanitaria e cultura a prezzi popolari e bonificando l'ambiente da vecchi e nuovi rifiuti disseminati ovunque da persone senza scrupoli che si sono arricchite seminando morte e malattie (Eternit, Marzotto, Ilva, Petrolchimico di Marghera, ecc.).

Saremo davanti al Tribunale dalle ore 9,00 per portare solidarietà alle famiglie delle vittime e pretendere verità e giustizia per questa ignobile strage!

Invitiamo tutti i lavoratori, gli studenti, appartenenti a forze politiche e sindacali e i cittadini solidali a partecipare numerosi all'udienza: per pretendere giustizia per questa ignobile strage.

Al fianco dei lavoratori in lotta per un lavoro sicuro e dignitoso!

Basta morti sul lavoro!


Torino, 26 novembre 2012                                                                                                                             Ex lavoratori ThyssenKrupp Torino



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lunedì 26 novembre 2012

LAVORATRICI COOP A LUCIANA LITIZZETTO


LETTERA DI ALCUNE LAVORATRICI COOP A LUCIANA LITIZZETTO

"Cara Luciana, lo sai cosa si nasconde dietro il sorriso di una cassiera che ti chiede di quante buste hai bisogno? Una busta paga che non arriva a 700 euro mensili dopo aver lavorato sei giorni su sette comprese tutte le domeniche del mese. Le nostre famiglie fanno una grande fatica a tirare avanti e in questi tempi di crisi noi ci siamo

abituate ad accontentarci anche di questi pochi soldi che portiamo a casa. Abbiamo un'alternativa secondo te?
 Nei tuoi spot spiritosi descrivi la Coop come un mondo accattivante e un ambiente simpatico dove noi, quelle che la mandano avanti, non ci siamo mai. Sembra tutto così attrattivo e sereno che parlarti della nostra sofferenza quotidiana rischia di sporcare quella bella fotografia che tu racconti tutti i giorni.
Ma in questa storia noi ci siamo, eccome se ci siamo, e non siamo contente. Si guadagna poco e si lavora tanto. Ma non finisce qui. Noi donne siamo la grande maggioranza di chi lavora in Coop, siamo circa l'80%. Prova a chiedere quante sono le dirigenti donna dell'azienda e capirai qual è la nostra condizione.
A comandare sono tutti uomini e non vige certo lo spirito cooperativo. Ti facciamo un esempio: per andare in bagno bisogna chiedere il permesso e siccome il personale è sempre poco possiamo anche aspettare ore prima di poter andare. Il lavoro precario è una condizione molto diffusa alla Coop e può capitare di essere mandate a casa anche dopo 10 anni di attività più o meno ininterrotta. Viviamo in condizioni di quotidiana ricattabilità, sempre con la paura di perdere il posto e perciò sempre in condizioni di dover accettare tutte le decisioni che continuamente vengono prese sulla nostra pelle.
Prendi il caso dei turni: te li possono cambiare anche all'ultimo momento con una semplice telefonata e tu devi inghiottire. E chi se ne frega se la famiglia va a rotoli, gli affetti passano all'ultimo posto e i figli non riesci più a gestirli. Denunciare, protestare o anche solo discutere decisioni che ti riguardano non è affatto facile nel nostro ambiente. Ci è capitato di essere costrette a subire in silenzio finanche le molestie da parte dei capi dell'altro sesso per salvare il posto o non veder peggiorare la nostra situazione.
Tutte queste cose tu probabilmente non le sai, come non le sanno le migliaia di clienti dei negozi Coop in tutta Italia. Non te le hanno fatte vedere né te le hanno raccontate. Ed anche a noi ci impediscono di parlarne con il ricatto che se colpiamo l'immagine della Coop rompiamo il rapporto di fiducia che ci lega per contratto e possiamo essere licenziate.
Ma noi non vogliamo colpire il marchio e l'immagine della Coop, vogliamo solo uscire dall'invisibilità e ricordare a te e a tutti che ci siamo anche noi. Noi siamo la Coop, e questo non è uno spot. Siamo donne lavoratrici e madri che facciamo la Coop tutti i giorni. Siamo sorridenti alla cassa ma anche terribilmente incazzate. Abbiamo paura ma sappiamo che mettendoci insieme possiamo essere più forti e per questo ci siamo organizzate. La Coop è il nostro posto di lavoro, non può essere la nostra prigione. Crediamo nella libertà e nella dignità delle persone. Cara Luciana ci auguriamo che queste parole ti raggiungano e ti facciano pensare. Ci piacerebbe incontrarti e proporti un altro spot in difesa delle donne e per la dignità del lavoro. Con simpatia, un gruppo di lavoratrici Coop".

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Al di là degli spot televisivi e della pubblicità positiva veicolata dai suoi testimonial, pare che la Coop, la cooperativa di supermercati presente in tutta Italia, non sia particolarmente attenta ai diritti dei lavoratori e, soprattutto, delle lavoratrici. E’ quanto emerge da una lettera che le commesse Coop iscritti al sindacato Usb hanno inviato a Luciana Litizzetto, la comica che sponsorizza i prodotti della cooperativa in tv. Da Casalecchio di Reno, la località dalla quale è partito il lavoro della Coop, le lavoratrici hanno deciso di scrivere alla Litizzetto per denunciare la condizione a cui l’impiego presso i supermercati le costringe.

Le lavoratrici in questione sono, come si comprende bene dalla lettera, impiegate precarie che vivono nel timore di non vedersi rinnovare il contratto di lavoro.
Alla denuncia hanno risposto con prontezza i dirigenti Coop, i quali hanno smentito quanto riportato dalle impiegate ed hanno giustificato la loro politica dicendo: “La strategia occupazionale di Coop, anche in un periodo di profonda crisi e di calo dei consumi, mira in primo luogo, come è evidente dai dati precedentemente evidenziati, a perseguire una politica di stabilizzazione del personale”.

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 Qualche giorno fa, in una lettera aperta indirizzata alla testimonial delle Coop, le lavoratrici le avevano fatto notare che la realtà non era quella rappresentanta nei suoi spot. L'azienda smentisce ma di fatto conferma la denuncia dell'Usb.


"Il lavoro precario è una condizione molto diffusa alla Coop e può capitare di essere mandate a casa anche dopo 10 anni di attività più o meno ininterrotta. Viviamo in condizioni di quotidiana ricattabilità, sempre con la paura di perdere il posto e perciò sempre in condizioni di dover accettare tutte le decisioni che continuamente vengono prese sulla nostra pelle". Così scrivevano pochi giorni fa un gruppo di lavoratrici delle cooperative ‘rosse’ aderenti al sindacato USB a Luciana Littizzetto, testimonial da alcuni anni del noto marchio della grande distribuzione. Accusata di passare alla Coop solo per incassare i lauti compensi che la catena le garantisce in cambio delle sue descrizioni accattivanti ma assai poco corrispondenti alla realtà.

Le lavoratrici raccontano che i turni "possono cambiare anche all`ultimo momento con una semplice telefonata e tu devi inghiottire. E chi se ne frega se la famiglia va a rotoli, gli affetti passano all`ultimo posto e i figli non riesci più a gestirli". Altro che ‘la Coop sei tu’. Negli spot – dicono le cassiere all’ex insegnante torinese approdata al cinema e alla tv - "descrivi la Coop come un mondo accattivante e un ambiente simpatico dove noi, quelle che la mandano avanti, non ci siamo mai. Sembra tutto così attrattivo e sereno che parlarti della nostra sofferenza quotidiana rischia di sporcare quella bella fotografia che tu racconti tutti i giorni. Ma in questa storia noi ci siamo, eccome se ci siamo, e non siamo contente". E poi ancora: "Cara Luciana, lo sai cosa si nasconde dietro il sorriso di una cassiera che ti chiede di quante buste hai bisogno? Una busta paga che non arriva a 700 euro mensili dopo aver lavorato sei giorni su sette comprese tutte le domeniche del mese. Le nostre famiglie fanno una grande fatica a tirare avanti e in questi tempi di crisi noi ci siamo abituate ad accontentarci anche di questi pochi soldi che portiamo a casa. Abbiamo un`alternativa secondo te?".

Per ora la spalla di Fabio Fazio in ‘Che tempo che fa’ non ha proferito parola, non ha risposto alle lavoratrici dell’azienda che sponsorizza. Lo farà domenica durante lo show? Vedremo.

Intanto però il can can mediatico suscitato dalla denuncia delle commesse della grande distribuzione ha obbligato l’azienda stessa a rispondere. Negando tutto.

«Pur comprendendo le difficoltà di chi si trova in una condizione di lavoro precario - ha comunicato in una nota il gruppo di Casalecchio - riteniamo assolutamente infondate le informazioni contenute nella lettera aperta sia per quanto attiene i salari corrisposti, non certo compatibili con gli standard retributivi di un lavoratore a tempo pieno, sia anche per le modalità organizzative del lavoro». Ed ha aggiunto «che la strategia occupazionale di Coop, anche in un periodo di profonda crisi e di calo dei consumi, mira a perseguire una politica di stabilizzazione del personale».

Una smentita – oltretutto minimalista – che non è piaciuta al sindacato di base autore della denuncia. “La smentita del gruppo Coop in merito a quanto dichiarato delle lavoratrici nella lettera indirizzata a Luciana Littizzetto, suona paradossalmente a conferma di quanto denunciato dalle dipendenti” afferma Maria Teresa Pascucci, dell’USB Lavoro Privato.

“L’azienda mette in rilievo il numero dei contratti a tempo indeterminato, ma non fa riferimento al diffusissimo uso del lavoro part-time – evidenzia Pascucci - che nella stragrande maggioranza dei casi non certo è una libera scelta della lavoratrice, ma è l’unica opportunità per poter essere assunta. Part time a cui vengono applicate le clausole flessibili ed elastiche, che non consentono una pur minima organizzazione dei tempi di vita e non permettono di cercare un altro lavoro per avere un reddito dignitoso”.

“In questo quadro – prosegue la sindacalista - la condizione tipica di una cassiera di ipermercato è quella di 20 ore di lavoro settimanali, con 625/700 Euro di salario mensili, come è dimostrabile dalle buste paga delle lavoratrici. Relativamente alla sproporzione tra ruoli dirigenziali occupati da personale maschile in una azienda dove è prevalente la presenza delle donne, il problema si avverte man mano che si sale nella gerarchia. Infatti ai vertici le percentuali fornite dalla Coop si assottigliano e le donne spariscono quasi del tutto. Prendiamo due esempi: nelle 9 grandi cooperative del sistema Coop ed in Coop Italia tutti i presidenti sono di sesso maschile. Se prendiamo poi a riferimento il sistema cooperativo della regione Campania, riscontriamo che l’Amministratore Delegato è un uomo e i direttori dei tre Ipermercati e dei due Supermercati sul territorio sono tutti e cinque uomini”.

“Relativamente al tema delle molestie – continua la rappresentante USB - sono documentabili casi che confermano quanto denunciato nella lettera. Peraltro sappiamo bene che in questo campo i casi denunciati sono la punta dell’iceberg, difficile  da combattere perché in assenza di prove la denunciante rischia il licenziamento.  Inoltre con la parola molestie le lavoratrici non hanno fatto riferimento esclusivamente a quelle di tipo sessuale, ma a comportamenti che generano sensazione di disagio o di fastidio fisico o morale”.

“La fotografia che emerge dunque dalla lettera delle lavoratrici Coop è purtroppo realistica”, conclude Pascucci, che invita “l’azienda a non nascondere la polvere sotto il tappeto, ma a cogliere l’occasione fornita da un gruppo di dipendenti coraggiose per riaprire la discussione, trasparente e democratica, sul futuro della cooperazione nella grande distribuzione nel nostro paese”.
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venerdì 23 novembre 2012

Fermiamo l'AIDS sul nascere




 Spot Cesvi FERMIAMO L'AIDS SUL NASCERE

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 Il nuovo spot Cesvi per la campagna "Fermiamo l'Aids sul nascere" con la partecipazione dei 5 testimonial Claudio Bisio, Alessio Boni, Lella Costa, Cristina Parodi e il Trio Medusa

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Zimbabwe, 9 maggio 2001: nasce Takunda, che in lingua locale significa “Abbiamo vinto”. Takunda è il primo bambino africano nato sano da una mamma sieropositiva, grazie ad una cura farmacologica che riduce la trasmissione del virus dalle mamme ai neonati. Da allora 3.000 bambini hanno beneficiato del progetto.


La campagna Cesvi di lotta all’AIDS riguarda la prevenzione del contagio madre-figlio, la cura delle persone già affette e il supporto psicosociale ai malati e agli orfani dell’AIDS.
Il progetto "Fermiamo l'AIDS sul nascere", avviato nel 2001 da Cesvi nel piccolo ospedale Saint Albert in Zimbabwe, è oggi attivo in Congo RD, Uganda, Sudafrica, Kenya e Vietnam per salvare la vita a migliaia di bambini e alle loro mamme sieropositive.
Grazie ad un efficace farmaco somministrato alla mamma e al neonato è possibile curare il bambino, diminuendo drasticamente le probabilità di contagio.

I dati sulla diffusione del virus HIV in Africa e in Asia sono ancora allarmanti.
34 milioni di persone sono state contagiate. Il 67% dei sieropositivi nel mondo vive nell’Africa sub-sahariana.
Esiste una cura efficace per diminuire le probabilità di contagio e salvare la vita a migliaia di bambini e di mamme sieropositive.
Insieme stiamo vincendo l’AIDS in Africa. Non fermiamoci.
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martedì 13 novembre 2012

Sciopero 14 novembre

 

Sciopero 14 novembre – Lettera aperta al mio sindacato

InGlass-Steagall su novembre 13, 2012 a 9:40 AM Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta di una lavoratrice della CGIL che sprona il proprio sindacato ad adottare misure più efficaci nell’opporsi alle politiche di austerità.
Non si tratta di una lettera contro: è l’invito appassionato a guardare alle ragioni profonde della crisi economica.
Per il 14 novembre, come saprete, la Confederazione Europea dei Sindacati ha indetto una giornata di mobilitazione per dire no all’austerità.
In coerenza con la mission di NoBigBanks “Salviamo la Gente. Riformiamo le banche”, abbiamo deciso di pubblicare la lettera di Laura, augurandoci che sia di stimolo alla discussione.
12 novembre 2012 – Scrivo per elaborare le mie opinioni che ho già espresso durante l’assemblea sindacale in vista dello sciopero del 14 novembre.
Non sono sicura di essere stata abbastanza chiara nell’esporre le mie osservazioni e considerando l’argomento molto importante voglio che queste riflessioni giungano a tutto il sindacato e non solo ai delegati che erano presenti.
Lo sciopero è indetto a livello europeo per manifestare contro la situazione così preoccupante in cui versano le nostre società.
La crisi economica si fa sempre più pesante. Una delle cause di questa crisi economica è stato il passaggio alla finanziarizzazione dell’economia, giusto? … La finanza può essere paragonata ad un cancro che per svilupparsi ha bisogno dell’immissione nel sistema di sempre più liquidità, liquidità che viene tolta all’economia produttiva.
Se il sindacato è ben cosciente che il problema economico attuale è imputabile alla finanza, perché a suo tempo ha sostenuto la nascita del Fondo Cometa?
A mio avviso quella scelta è stata il preludio per le riforme pensionistiche successive che ora si criticano.
Il modello dei fondi pensione è un modo di ridurre la garanzia pubblica e spostare nuovi capitali nei mercati. Era necessario difendere con più forza l’importanza della pensione pubblica per tutta la popolazione e non sposare l’idea che quella fosse una scelta dovuta. Il sindacato che ha sponsorizzato il Fondo si è comportato come qualsiasi altro operatore finanziario che si sforza in tutti i modi di ottenere un buon rendimento per gli iscritti (fin tanto che il mercato riesce a salvarsi).
Mi avete risposto della “bontà” del Fondo ma nello stesso tempo avete sottolineato che il Fondo ha scelto di investire all’estero piuttosto che in Italia.
Per me questo è esattamente il fulcro del problema.
Volete che io aderisca allo sciopero per contrastare la crisi economica che ha la sua origine nella finanza, ma in questa finanza sono finiti anche i soldi dei lavoratori italiani!
Per me il sindacato dovrebbe riuscire a prevedere le proprie azioni ed impostare delle linee guida a lungo termine.
Per esempio, dare il proprio consenso al Governo Monti per poi lamentarsi delle misure prese non è sbagliato?
Sono sicura che a livello personale sapevate benissimo che si andava verso l’austerità e il governo della BCE.
Era così necessario adeguarsi alle pressioni dei mercati finanziari per sembrare “responsabili”? Grazie a questa decisione ora è più difficile lamentarsi della direzione generale.
Una volta accettato l’impianto di base, l’opposizione alle misure specifiche rischia di diventare solo simbolica.
Forse mi risponderete che l’opposizione c’è stata fin dall’inizio. Ma non ricordo grandi mobilitazioni per scongiurare i rischi del governo tecnico. Tutti erano contenti di disfarsi di Berlusconi, ma senza guardare il gioco più grande in atto.
La mia lettera non è intesa solo come uno sfogo. Se faccio queste critiche per cosa è stato fatto (o non fatto) in passato, ora dico che bisogna impostare le battaglie a livello più profondo, non guardando solo le misure specifiche ma l’obiettivo finale di chi le propone. Sicuramente tutti i tagli richiesti dal pareggio di bilancio non aiuteranno le famiglie e le imprese produttive… parliamo di più del modello di economia che ci deve sostenere.
Un cordiale saluto,
Laura
ST Microelectronics, Agrate Brianza
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lunedì 5 novembre 2012

Alcoa spenta



Spente le ultime due celle dello stabilimento sardo. In Italia non si produce ufficialmente più l'alluminio. 
 
L'amarezza dei lavoratori: "Continueremo la lotta".

Sono state spente le due ultime celle dell'Alcoa, lo stabilimento di Portovesme, in Sardegna, che produce alluminio. L'ultimo in Italia. Con lo spegnimento della cella 1.124 e 1.126 si è anche spento il sogno dei circa 500 lavoratori rimasti di vedere l'azienda andare avanti. Tutti si erano impegnati per trovare una soluzione, gli operai avevano proposto piani alternativi giudicati impraticabili. Intanto lo stabilimento si è fermato, e i lavoratori sanno che ora farlo ripartire sarà cento volte più difficile, nonostante il ministero dello Sviluppo Economico Corrado Passera abbia assicurato di voler curare con particolare attenzione la filiera dell'alluminio.

''Con il cuore a pezzi e dopo 22 anni di lavoro posso dire che oggi abbiamo perso il lavoro'', dice Andrea Cacciarru, tecnico e delegato sindacale della Rsu. "Ironia della sorte - commenta Daniela Piras, segretaria della Uilm del Sulcis - la morte della fabbrica cade proprio nel giorno della celebrazione dei defunti. I lavoratori sono in lutto ma la protesta non si ferma''. Di proteste ce ne sono state tantissime, a Cagliari come a Roma, fino alla decisione di arrampicarsi a 60 metri di altezza con lo striscione "Pronti a tutto".

L'azienda nasce circa 40 anni fa. Creatura delle Partecipazioni Statali nel 1996 viene venduta alla multinazionale Alcoa, che ha deciso di chiudere lo stabilimento italiano anche in seguito alla crisi economica internazionale e dell'innalzamento dei prezzi energetici, e nonostante la produzione dell'alluminio continui a dare buoni risultati.

La chiusura dello stabilimento è ovviamente anche una brutta botta per la Sardegna, che perde un altro pezzo di produttività e di possibilità di occupazione.

I lavoratori di Alcoa dovevano essere in piazza il 6 novembre, ma non è stata concessa piazza Montecitorio, e quindi la manifestazione è stata rimandata.-


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