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martedì 12 novembre 2013

TURISMO E CULTURA : TRUFFE, CONVEGNI E FIERE INUTILI E POMPEI VA A PEZZI…


TURISMO E CULTURA. DAL 2007 POTEVAMO UTILIZZARE 2 MILIARDI. 
USATA SOLO LA META’. IN TRUFFE, CONVEGNI E FIERE INUTILI.
 E POMPEI VA A PEZZI…
CULTURA O SPAZZATURA? MENTRE I MONUMENTI ITALIANI VANNO IN ROVINA,
 CI PERMETTIAMO IL LUSSO DI BUTTARE 2 MILIARDI DI FONDI EUROPEI

Dal 2007 a oggi l’Europa ha messo a disposizione dell’Italia oltre 2 mld € per la cultura e il turismo
 – La maggior parte dei soldi sono andati buttati in fiere inutili e truffe varie o lasciati lì inutilizzati: presto scadranno i termini temporali e li perderemo – Intanto Pompei si sbriciola…

Il fango ha invaso Sibari sei mesi fa. E’ bastata la pioggia a far saltare gli argini del fiume Crati.
 In poche ore la prima colonia fondata dagli achei in Calabria ventisette secoli fa è diventata una palude: templi, teatri e palazzi che furono lo splendore della Magna Grecia si sono trasformati in un lago scuro.

Subito a Bruxelles un’eurodeputata italiana ha chiesto piccata cosa intendesse fare l’Europa per soccorrere la nostra meraviglia. La risposta è stata secca: potete domandare gli aiuti per le catastrofi, ha suggerito il commissario agli Affari regionali Johannes Hahn, oppure cominciare a usare le centinaia di milioni di euro che da sei anni la Ue ha messo a disposizione del patrimonio culturale calabrese. Un tesoro dimenticato, che poteva salvare Sibari e mettere al sicuro tanti altri monumenti. Ma del quale è stato usato, secondo l’ultimo rapporto regionale, soltanto il 16 per cento.

Quello che è accaduto a Sibari è lo specchio di una débâcle nazionale, dove Sud e Nord sono unite dalla stessa inefficienza. In un Paese divorato dalla crisi, nessuno riesce a sfruttare l’opportunità offerta da Bruxelles e a spendere i fondi destinati allo sviluppo regionale, soldi che l’Europa garantisce a fronte di un impegno economico italiano.

Dal 2007 a oggi sono stati così messi sul piatto oltre due miliardi di euro per cultura e turismo: una miniera d’oro con cui si potrebbero restaurare migliaia di monumenti, chiese, musei, e renderli visitabili da carovane di turisti di tutto il mondo. Invece lasciamo che gioielli come Pompei si sbriciolino o capolavori come i bronzi di Riace restino praticamente inaccessibili. In sette anni infatti l’Italia è riuscita a spendere solo il 50 per cento di queste risorse.

E il tempo concesso dall’Europa ormai è agli sgoccioli: se entro il dicembre 2015 non avremo completato tutti i progetti e terminato i lavori perderemo l’ultimo miliardo che resta. Saranno soldi buttati via. Non solo. I fondi utilizzati finora sono stati bruciati troppo spesso in una fiera delle vanità. Un proliferare di sagre portate in giro per il mondo, allestimenti faraonici rimasti sulla carta, minuscoli interventi riproposti da vent’anni senza nessun risultato. Senza dimenticare le frodi vere e proprie, come l’imprenditore siciliano che ha intascato un milione e mezzo dalla Ue per un fantomatico museo del gioiello che non è stato mai realizzato.

Occasione mancata. I finanziamenti garantiti all’Italia per rilanciare lo sviluppo, dal 2007 ad oggi, sono un pacchetto di oltre 60 miliardi di euro. “Fondi strutturali” destinati a progetti strategici per il territorio e pagati con risorse nostrane insieme a quelle della Ue. E alla cultura le nostre istituzioni hanno destinato solo le briciole. Nel Lazio, ad esempio, la giunta di Renata Polverini ha azzerato l’unico piano per i beni artistici del territorio.

Il programma, aveva l’obiettivo di portare i turisti verso la provincia: la villa di Adriano a Tivoli, le tombe affrescate di Cerveteri, la necropoli di Vulci, la maestosa abbazia di Fossanova. Erano previsti 35 milioni di euro per restaurare e valorizzare. Tutto cancellato, per dirottare i soldi sulla “Promozione dell’efficienza energetica”: ai monumenti sono rimasti cinque milioni.

Così sono stati annullati anche i minimi fondi necessari per aprire al pubblico la tomba Bartoccini di Tarquinia, un sepolcro etrusco dove si tenevano in segreto i riti dei Templari: un luogo che potrebbe attrarre appassionati da ogni continente. Niente da fare, le priorità degli amministratori sono altre. E basta scorrere la mappa per accorgersi che il Lazio non è il solo a non credere nelle sue bellezze.

Il record è del Friuli Venezia Giulia, dove alla cultura è stato destinato poco più di un milione europeo. Ai resti di Aquileia, la capitale romana del Nord-Est e “madre” di Venezia, non è andato un centesimo: «Abbiamo difficoltà anche solo a garantire la manutenzione programmata», denuncia Paola Ventura, la direttrice del museo archeologico della città, che avrebbe usato volentieri i fondi europei per nuovi scavi (la metropoli antica è ancora in gran parte sepolta) e per scongiurare il rischio, frequente, di crolli.

Amnesia pompeiana. Il caso più eclatante resta però quello di Pompei. Per cinque anni nessuno ha pensato di sfruttare l’appoggio finanziario di Bruxelles per l’area archeologica più visitata e minacciata d’Italia. Non un progetto, una proposta, niente. Solo tre richieste di finanziamento per una rassegna estiva (“Le lune di Pompei”) che tra l’altro non è mai riuscita a ottenere un doblone dalla Ue.

E’ dovuto arrivare nel 2012 Fabrizio Barca, ministro per la Coesione territoriale nel governo Monti, perché agli scavi vesuviani fosse data la priorità. E i restauri ora sono finalmente partiti, grazie a 105 milioni di euro strappati al programma europeo in cui il nostro Paese ha dato il peggio di sé. Si tratta del piano per gli “Attrattori culturali”, una super strategia da oltre un miliardo di euro che secondo i commissari Ue avrebbe rilanciato l’economia del Sud grazie a cultura e turismo.

Ebbene nel 2011, a cinque anni dalla partenza del progetto, non era stato speso neppure un centesimo. Una negligenza che non ci è stata perdonata: la prima multa è arrivata quell’anno, la seconda nel 2012, per un totale di quasi 50 milioni che abbiamo dovuto restituire a Bruxelles. Ancora oggi il 92 per cento del piano resta bloccato. Perché?

Dal 2007 al 2012 le quattro regioni coinvolte (Campania, Puglia, Calabria e Sicilia) si sono contese i finanziamenti senza decidere nulla, con sette enti intermedi che fra controllo, gestione e proposte hanno paralizzato ogni cosa. Gli unici soldi impegnati in qualche modo sono stati 160 milioni. Ma sotto la voce “turismo” è stato infilato di tutto: odontoiatri, estetiste, sale da slot machine, bar e palestre alla periferia di Napoli. Risultato? La commissione europea ha fermato i rimborsi.

Missione impossibile. La gestione del piano, sei mesi fa, è stata commissariata da Roma: al Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica un pool di esperti sta esaminando una per una le domande. A loro tocca anche la missione impossibile di spendere entro il 2015 i fondi che restano e non perdere i 550 milioni stanziati dalla Ue. I meccanismi europei prevedono che per ogni iniziativa sovvenzionata ci siano anche contributi italiani. E il ministero sta dirottando le quote nazionali verso altri usi: 200 milioni sono stati destinati agli asili e 130 accantonati per futuri progetti culturali. Il budget per il rilancio dei tesori meridionali si è così ridotto, da un miliardo, a 681 milioni. Manovre di “ingegneria finanziaria” per convincere Bruxelles che stiamo onorando i patti in tempo.

Musica stonata. Con l’avvicinarsi della scadenza per i fondi europei in tutte le regioni è partita la corsa all’oro. In Sicilia c’è da spendere ancora l’88 per cento dei 716 milioni di euro stanziati per cultura e turismo con il contributo della Ue. I progetti sono 265, ma solo 84 riguardano effettivamente il settore.

Tutti gli altri servono per mostre, feste paesane, convegni, gare (come la “Millegiri”, corsa automobilistica costata oltre un milione) o concerti da portare in giro per il mondo, da Istanbul a Pechino, da Miami a Bergamo. Non mancano kolossal come il “Circuito del Mito”, cento concerti all’anno in giro per l’isola, costati in tre estati 18 milioni di euro.

Nel settembre del 2012 la Procura di Palermo ha aperto un’inchiesta per verificare la regolarità con cui è stata spesa questa montagna di denaro. Anche al Nord la musica non cambia: a Como la Guardia di Finanza ha sequestrato 384 mila euro a due associazioni culturali. Il loro festival, “Musica sacra sul confine: autori e luoghi dell’Insubria” sarebbe stato pagato con fondi europei in base a fatture gonfiate.

E non è andata bene neanche a Napoli, che nel 2010 ha dovuto restituire alla Ue i 720 mila euro spesi per uno show di Elton John. Severo il giudizio dell’eurocommissario Hahn: «Si tratta di un intervento effimero che non rientra nel nostro programma, rivolto a investimenti a lungo termine». Come dargli torto.

L’Ue pretende che i fondi europei creino crescita e occupazione. Invece quando non finiscono in sagre o rassegne canterine, questi soldi vengono spesso spesi per costruire cattedrali nel deserto, piccole o grandi. Mostre di passaggio, restauri di castelli che nessuno può visitare, ristrutturazioni di musei senza personale che li tenga aperti, cantieri eterni che non vengono mai completati.

«Quello che manca è una strategia nazionale», commenta Franco Milella, esperto di sviluppo locale, che ha aiutato la Puglia a diventare un esempio unico in Italia, per aver investito i fondi a sua disposizione sui beni culturali: «Ho visto centinaia di comuni riproporre ogni volta lo stesso progetto, lo stesso piccolo restauro già decotto da anni. E’ ovvio che l’Europa ci boccia».

E anche quando si parla di eccellenze, come la Venaria Reale di Torino (300 milioni di euro in 15 anni per il restauro, di cui 60 dalla Ue), resta alto il rischio di operazioni che non hanno ricadute per il territorio: «Noi che abbiamo amministrato in tempi di vacche grasse abbiamo lasciato una grande eredità di palazzi restaurati», commenta Gianni Oliva, assessore alla Cultura di Torino dal 2005 al 2010: «Ma anche un deficit nella valorizzazione.

E oggi per gestire tutta questa eredità bisogna spesso indebitarsi». Uno dei pochissimi casi positivi che l’Italia può vantare a Bruxelles è Pisa. I 40 milioni di euro (24 dalla Ue) destinati alla cultura sono stati investiti per rinnovare la città nel suo complesso: tredici ettari di verde pubblico, la Cittadella Galileiana, il recupero dell’Arsenale, la nuova pavimentazione in pietra che ha sostituto il cemento in piazza dei Cavalieri, quella della Scuola Normale.

Cuccagna per pochi. L’Europa ha creato anche un albero della cuccagna: fondi a cui accede direttamente chiunque abbia una buona idea. Comuni, fondazioni, associazioni, privati: tutti possono chiederli. Dal 2007 ad oggi Bruxelles ha finanziato in questo modo quasi duemila progetti culturali per oltre 400 milioni. Su questo fronte andiamo meglio: siamo quinti in Europa, con quasi 30 milioni assegnati al nostro Paese. Ma la Francia ne ha vinti più di 50; il Belgio 44 e la Germania 36. Anche se l’Italia ospita il più grande patrimonio storico-artistico del continente.

«La gestione è complessa e molti nostri enti non hanno le competenze necessarie», commenta Nerio Laroni, presidente della Commissione per gli affari comunitari della Regione Veneto: «Penso anche a gioielli come l’Arena di Verona o la Fenice di Venezia: non sanno seguire queste operazioni». Per dare una mano ad agganciare i fondi la giunta veneta si è detta pronta ad offrire consulenza e supporto. Anche perché dal 2014 partirà un nuovo programma “Europa Creativa”, con un budget di un miliardo di euro.

Sfida decisiva. Oltre alla corsa contro il tempo per svuotare in pochi mesi la cassaforte dei contributi europei, in questi giorni si gioca un’altra partita. Quella sul futuro. A Bruxelles si stanno decidendo gli interventi che serviranno al Paese dal 2014 al 2020. E’ quasi certo che l’Italia della cultura verrà bocciata: la materia non sarà più considerata una priorità nazionale.

Tutto dipende da un unico progetto: Pompei. «I fondi comunitari possono avere un ruolo importante nella tutela dei beni artistici italiani», ha detto a “l’Espresso” il commissario Johannes Hahn: «Per questo seguiamo da vicino ciò che succede a Pompei. Se il progetto va avanti, approveremo nuovi stanziamenti per i prossimi sette anni». Una sfida senza alternative: «Il Grande progetto Pompei deve diventare un modello per il resto d’Italia». Riusciremo a farcela?

Francesca Sironi per “Espresso.Repubblica.it”



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