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mercoledì 21 ottobre 2009
LA SCOPERTA DI TREMONTI
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LA SCOPERTA DI TREMONTI
di Galapagos
Su Il Foglio è stata ripubblicata ieri in prima pagina una lettera apparsa sul il manifesto martedì scorso. Il nostro lettore (a proposto delle previsioni economiche, dei guru e dei teorici che spesso ci ripensano) scriveva che sicuramente «giustificheranno domani la stabilità del lavoro così come oggi la flessibilità». Dopo sette giorni Giulio Tremonti, superministro dell'economia, sembra aver fatto sue quelle osservazioni e ci ha ripensato. Ieri, nel corso di un convegno ha sostenuto: «La mobilità non è un valore, il posto fisso è la base per progetti di vita». E ha incalzato: «In strutture sociali come la nostra il posto fisso» è «la base su cui si organizza il progetto di vita e la famiglia».
Per Luigi Angeletti, mega segretario della Uil, dimentico di aver aver siglato tutti i protocolli che favorivano la flessibilità, «Tremonti parla come un iscritto alla Uil». Guglielmo Epifani, invece, non lo ha iscritto al suo sindacato, ma si è limitato a un più «banale»: «Sulla mobilità chiedete un commento alla Confindustria». Che da sempre non brilla per coerenza. Ultimo esempio: la posizione sull'innalzamento dell'età pensionabile sulla quale a viale dell'Astronomia sono concordi. Salvo poi assistere a livello di singole imprese, ma nel complesso tantissime, a licenziamenti di massa. Espulsioni che riguardano in particolare i lavoratori più anziani (oltre i 50 anni) e le donne. Si potrebbe obiettare: è il profitto che lo impone, le imprese fanno quel che devono fare e, semmai, è lo stato che non provvede con un legislazione adeguata che garantisca ammortizzatori sociali e formazione permanente.
A questo punto la palla torna al governo: a Tremonti e al ministro Sacconi, su tutti. Per anni hanno sostenuto come la flessibilità - in tutte le sue forme - era propedeutica allo sviluppo, a contrastare la concorrenza globale. Il risultato è stato un impoverimento del lavoro, il ritorno al dominio del capitale sul lavoro. Senza contare che un lavoro ipersfruttato e sempre ricattabile ha accompagnato una esaltazione dei profitto a una compressione dei salari a livelli di sussistenza. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, esemplificato dalla crisi attuale. Il punto è che se solo alcuni paesi adottano forme di lavoro precario e flessibile, quei paesi vanno economicamente bene. Ma quando le precarizzazione e i bassi salari sono pratica comune, a rimetterci sono tutti. Perché - lo insegna anche l'economia liberista - non c'è equilibrio tra offerta di merci e domanda. E questo fa inevitabilmente esplodere la recessione. È quello che è accaduto negli ultimi anni: profitti crescenti, consumi calanti con il precipitare nella povertà (assoluta e relativa) di milioni di nuove persone.
Sicuramente si potrebbero bilanciare gli squilibri con un'intensa operazione di distribuzione del reddito sotto forma di maggior welfare. Ma anche questa ricetta semplice non è stata seguita. Anzi, con le privatizzazioni (perfino di monopoli naturali) si è data nuova linfa al profitto. Tremonti ci pensi. A meno che la sua vera intenzione non sia quella espressa dalla vignetta di Vauro.
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