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mercoledì 27 maggio 2020

La Bestia e la Propaganda di Salvini

La Bestia: come funziona la propaganda di Salvini


Intervista a un ex hacker e spin doctor digitale,
 che ci parla della strategia comunicativa della Lega, dell’affaire Cambridge Analytica, 
del business dei falsi profili twitter, del Gdpr, Facebook e molto altro

La bestia, come funziona la propaganda di Salvini


Alessandro Orlowski è seduto a un tavolino di un bar di Barcellona. Nato a Parma nel 1967, vive in Spagna da 20 anni. Ex regista di spot e videoclip negli anni ’90 e grande appassionato di informatica, è stato uno dei primi e più influenti hacker italiani. Fin da prima dell’arrivo dei social network, ha lavorato sulle connessioni digitali tra gli individui, per sviluppare campagne virali. Negli anni ha condotto numerose campagne in Rete, come quella per denunciare l’evasione fiscale del Vaticano o i gruppi estremisti negli Stati Uniti e in Europa. Oggi fa lo spin doctor digitale: ha creato Water on Mars, startup di comunicazione digitale tra le più innovative, e guidato il team social risultato fondamentale per condurre il liberale Kuczynski alla presidenza del Perù. Ci accomodiamo, e cominciamo a parlare con lui di politica nel mondo digitale, per arrivare presto a Matteo Salvini e allo straordinario (e inquietante) lavoro che sta realizzando online.

La bestia, come funziona la propaganda di Salvini


Che evoluzione ha avuto negli anni il concetto di “rete social”?
Nasce nei primi anni ’80 con le BBS, le Bulletin Boards System, antesignane dei blog e delle chat. La prima rete sociale, però, è stata Friendster nel 2002, che raggiunse circa 3 milioni di utenti. A seguire l’amatissima (da parte mia) MySpace: narra una leggenda nerd che fu creata in 10 giorni di programmazione. Il primo a usare le reti social per fini elettorali è stato Barack Obama nel 2008.

Oggi in Italia chi è il politico che maneggia meglio questi strumenti?
In tal senso la Lega ha lavorato molto bene, durante l’ultima campagna elettorale. Ha creato un sistema che controlla le reti social di Salvini e analizza quali sono i post e i tweet che ottengono i migliori risultati, e che tipo di persone hanno interagito. In questo modo possono modificare la loro strategia attraverso la propaganda. Un esempio: pubblicano un post su Facebook in cui si parla di immigrazione, e il maggior numero di commenti è “i migranti ci tolgono il lavoro”? Il successivo post rafforzerà questa paura. I dirigenti leghisti hanno chiamato questo software La Bestia.

Ha creato un sistema che controlla le reti social di Salvini e analizza quali sono i post e i tweet che ottengono i migliori risultati, e che tipo di persone hanno interagito. In questo modo possono modificare la loro strategia attraverso la propaganda. Un esempio: pubblicano un post su Facebook in cui si parla di immigrazione, e il maggior numero di commenti è “i migranti ci tolgono il lavoro”? Il successivo post rafforzerà questa paura. I dirigenti leghisti hanno chiamato questo software La Bestia.


Politica nel mondo digitale, per arrivare presto a Matteo Salvini e allo straordinario e inquietante lavoro che sta realizzando online il Software La Bestia .

Quando nasce La Bestia?
Dalle mie informazioni nasce dal team di SistemaIntranet di Mantova, ossia dalla mente di Luca Morisi, socio di maggioranza dell’azienda, e Andrea Paganella. Morisi è lo spin doctor digital della Lega, di fatto il responsabile della comunicazione di Salvini. La Bestia è stata ideata a fine 2014, e finalizzata nel 2016. All’inizio si trattava di un semplice tool di monitoraggio e sentiment. Poi si è raffinato, con l’analisi dei post di Facebook e Twitter e la sinergia con la mailing list.



Come funziona l’analisi dei dati, su cui si basa la strategia?
Diciamo che a livello di dati non buttano via nulla: tutto viene analizzato per stabilire la strategia futura, assieme alla società di sondaggi SWG e a Voices From the Blogs (azienda di Big Data Analysis, ndr). I loro report, su tutti quelli del professore Enzo Risso, sono analizzati attentamente dal team della Lega, composto da Iva Garibaldi, Alessandro Panza, Giancarlo Giorgetti, Alessio Colzani, Armando Siri e altri.

Politica nel mondo digitale, per arrivare presto a Matteo Salvini e allo straordinario e inquietante lavoro che sta realizzando online il Software La Bestia .

La Bestia differenzia il suo operato a seconda dei social, 
per rendere immutata l’efficacia di Salvini in base allo strumento?
Per chi si occupa di marketing e propaganda online, è normale adattare la comunicazione ai differenti social. Twitter è l’ufficio stampa, e influenza maggiormente i giornalisti. Su Facebook ti puoi permettere un maggiore storytelling. È interessante vedere come, inserendo nelle mailing list i video di Facebook, la Lega crei una sinergia con la base poco attiva sui social: la raggiunge via mail, e aumenta così visualizzazioni e condivisioni.

Operano legalmente?
Camminano su un filo molto sottile. Il problema riguarda la gestione dei dati. Hanno creato, per esempio, un concorso che si chiama “Vinci Salvini” (poche settimane prima del voto, ndr). Ti dovevi registrare al gioco online e quanti più contenuti pubblicavi a tema Lega, maggiori erano le possibilità di incontrare Salvini. È stato un successo. Il problema è che non sappiamo come siano stati gestiti i dati. A chi venivano affidati? A Salvini? Alla Lega? A una società privata?

Politica nel mondo digitale, per arrivare presto a Matteo Salvini e allo straordinario e inquietante lavoro che sta realizzando online il Software La Bestia .

C’è qualche legame con lo scandalo Cambridge Analytica
 in questo utilizzo “disinvolto” dei dati personali?
Difficile rispondere. Circolano voci in merito all’apertura di una sede di Cambridge Analytica a Roma poco prima delle elezioni italiane, progetto abortito in seguito allo scandalo che ha coinvolto la società britannica. Un partito italiano, non si sa quale, avrebbe richiesto i suoi servizi. È noto che la Lega volesse parlare con Steve Bannon (figura chiave dell’alt-right americana, fondamentale nell’elezione di Donald Trump, ndr) in quel periodo, incontro poi avvenuto in seguito.

La destra – più o meno estrema – sta vincendo la battaglia della comunicazione digital? 
Si muovono meglio dei partiti tradizionali, che non sono riusciti a evolversi. Lo dimostra Bannon, e pure Salvini, che a 45 anni è un super millennial: ha vissuto il calcio balilla, la televisione, Space Invaders e le reti social.

Vedi analogie tra la strategia social di Donald Trump e quella di Salvini?
Salvini ha sempre guardato con attenzione a Trump. Entrambi fanno la cosa più semplice: trovare un nemico comune. E gli sta funzionando molto bene. Nel nuovo governo si sono suddivisi le responsabilità: al M5S è toccato il lavoro, con la forte macchina propagandistica gestita dalla Casaleggio Associati, alla Lega la sicurezza e l’orgoglio nazionale, gestiti da Morisi e amici.

Sta pagando, non c’è che dire.
La totale disinformazione e frotte di like su post propagandistici e falsi – per esempio l’annuncio della consegna di 12 motovedette alla Guardia costiera libica (a fine giugno, ndr) – portano a quello che si definisce vanity KPI: l’elettore rimane soddisfatto nel condividere post che hanno migliaia di like, e quindi affermano le loro convinzioni. Consiglio la lettura di The Thrill of Political Hating di Arthur Brooks.

Esiste una sorta di meme war all’italiana? 
Le meme war non esistono. Ci possono essere contenuti in forma di meme per denigrare i competitor e inquinare i motori di ricerca. Ricordiamoci anni fa, quando su Google scrivevi il cognome “Berlusconi” e il motore di ricerca ti suggeriva “mafioso”: fu un esempio di manipolazione dell’algoritmo di Google. Lo stesso sta succedendo in questi giorni: se scrivete la parola “idiot” e fate “ricerca immagini”, compaiono solo foto di Trump.

Come è stata finanziata l’attività delle reti social della Lega?
La Lega voleva creare una fondazione solo per ricevere i soldi delle donazioni, al fine di poter tenere in piedi le reti social senza passare per i conti in rosso del partito. Il partito è gravato da debiti e scandali finanziari (a luglio il tribunale di Genova ha confermato la richiesta di confisca di 49 milioni di euro dalle casse del partito, ndr). Le leggi italiane lasciano ampio margine: permettono di ricevere micro- donazioni, senza doverle rendere pubbliche. È una forma completamente legale. In ogni caso, potresti chiederlo direttamente a Luca Morisi (Morisi non ha risposto ai tentativi di contatto)

Hanno ricevuto finanziamenti dall’estero? 
Recentemente l’Espresso ha raccontato che alcune donazioni al partito provengono da associazioni come Italia-Russia e Lombardia- Russia, vicine alla Lega. D’altra parte, sono stati i russi a inventare il concetto di hybrid war. Il generale Gerasimov ha teorizzato che le guerre moderne non si devono combattere con le armi, ma con la propaganda e l’hacking.

Un sistema come La Bestia alimenta la creazione di notizie false?
Non direi che ci sia un rapporto diretto tra le due cose, ma sicuramente c’è un rapporto tra La Bestia e il bias dei post che pubblicano. Come ha spiegato lo psicologo e premio Nobel Daniel Kahneman, di fronte a una notizia online la nostra mente si avvale di metodi di giudizio molto rapidi che, grazie alla soddisfazione che dà trovare conferma nei nostri pregiudizi, spesso porta a risposte sbagliate e illogiche, ossia biased.

La Bestia: come funziona la propaganda di Salvini


Salvini lavora su questo bias?
Lo fa il suo team, e anche quello del M5S: amplificare notizie semi-veritiere, viralizzandole e facendole diventare cultura condivisa, che viene confermata sia dalla fonte considerata carismaticamente onesta e affidabile, sia dal numero di condivisioni che la rendono in quel modo difficilmente contestabile. Vai tu a convincere del contrario 18mila utenti che hanno condiviso un post di dubbia veridicità! Una delle figure chiave delle fake news della Lega è stato e forse ancora è il napoletano Marco Mignogna, che gestiva il sito di Noi con Salvini, oltre a una ventina di portali pro-Salvini, pro-M5S e pro-Putin (nel novembre 2017 si è occupato del caso il NYT, ndr).

Quanto di ciò che hai detto fin qui vale anche per il Movimento 5 Stelle?
Non c’è dubbio che dietro al M5S ci sia una buona azienda di marketing politico. La loro propaganda è più decentralizzata rispetto a quella della Lega, tutta controllata da Morisi. Creano piccole reti, appoggiandosi agli attivisti “grillini” e risparmiando così denaro. Non
pagano per rendere virali i post di Grillo o di Di Battista. Anche se oggi, con il M5S al governo, la strategia è in parte cambiata.

Quanto influisce l’attività di trolling sul dibattito politico?
Dipende dal contesto politico e dal Paese, in alcuni casi può essere molto violenta. Per creare account su Twitter esiste un software acquistabile online, che ti permette di generarne mille in tre ore, ognuno con foto e nome distinto. Parliamo di account verificati con un numero di cellulare: c’è un servizio russo che, per 10 centesimi, te ne fornisce uno appositamente. Con 300 o 400 euro puoi crearti in un pomeriggio un migliaio di account Twitter verificati. A quel punto puoi avviare un tweet bombing, cambiando la percezione di una notizia. È semplice e costa poco.

Ci sono conferme sull’esistenza di una rete di troll leghisti?
Non è facile rispondere, perché ci sono diverse tipologie di reti troll, organiche o artificiali. A volte distinguere le due senza tool specializzati è quasi impossibile. Per esempio, le reti di troll formate da persone reali spesso si auto-organizzano, sapendo benissimo che un utente singolo può avere due o più account social sullo stesso network. È normale vedere un utente pro-Lega o pro-M5S gestire anche cinque account con nomi diversi: cento persone in un gruppo segreto di Facebook o su un canale Telegram, con cinque account ciascuno, fanno 500 troll pronti ad attaccare, e scoraggiare utenti standard a un confronto politico.

Esistono quindi reti costruite ad hoc? 
Una di queste botnet è stata smantellata da un gruppo di hacker italiani sei mesi fa: era collegata a una società romana che gestiva una rete di 3mila account Twitter, collegati a un migliaio di account Facebook. Non mi stupirei se un team gestito da Morisi avesse automatizzato e controllasse qualche centinaio o migliaio di account. Qualcosa di simile era già nelle loro mani, con un sistema di tweet automatici su diversi account (documentato da diverse fonti giornalistiche lo scorso gennaio, ndr). L’unica pecca del loro team è la sicurezza informatica, come si è potuto notare dal leak delle informazioni del loro server, avvenuto all’inizio di quest’anno.

Cosa sappiamo sul “gonfiamento” dei numeri social di Salvini?
Abbiamo notato alcune discrepanze, ma in questo momento di grande successo mediatico di Salvini non sono più rilevanti. Abbiamo scoperto alcune botnet di Twitter nate contemporaneamente che, dopo pochi giorni e nello stesso momento, hanno seguito tutte l’account ufficiale di Salvini. La relazione con il suo account era il fatto che supportavano account di estrema destra in Europa, quindi attribuibili a persone vicine a Voice of Europe e gruppi simili, legati a Steve Bannon, come #Altright o #DefendEurope. La pratica di creare fake account è comune: solo pochi giorni fa Twitter ne ha cancellati alcuni milioni.

C’è un modo per riparare simili storture?
C’è poco da fare. In seguito allo scandalo Cambridge Analytica, Facebook ha colpito tutti, impedendo ai ricercatori di studiare questi fenomeni. Le cose non sono cambiate, anzi. Anche a seguito dell’adozione del GDPR (il regolamento sulla protezione dei dati personali, ndr) nei prossimi anni vedremo come si raffineranno le campagne politiche online: sarebbe utile avere leggi che impongano maggior trasparenza su come funzionano le reti social e, naturalmente, maggiore tutela per i cittadini, in particolare per quanto riguarda i propri big data.

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che si occupa di diritti umani e campagne ambientali...


Intervista a un ex hacker e spin doctor digitale,   che ci parla della strategia comunicativa della Lega, dell’affaire Cambridge Analytica,   del business dei falsi profili twitter, del Gdpr, Facebook

"Se questo è un ministro",   polemica social per il selfie di Salvini ai funerali di Stato a Genova.

"Se questo è un ministro", 
polemica social per il selfie di Salvini ai funerali di Stato a Genova...



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Previsioni per il 2020



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La Bestia di Salvini da Segni di Crisi

La Bestia di Salvini da segni di crisi;


 Il leader leghista precipita nei sondaggi e soprattutto sui social.
La Bestia di Salvini perde colpi ormai; 
Non fa più troppa paura ed ha le unghie spuntate. 
Il Carroccio, infatti, guardando alla rilevazione
 di soli 5 giorni fa dell’istituto Ixè 
si attesterebbe solo al 24,6% dei consensi.

E vanno molto male anche i sondaggi sul gradimento personale. Sempre meno persone ormai affiderebbero pieni poteri ad un ex capitano che ha ormai palesemente smarrito la rotta. Infatti l’ultimo sul gradimento dei leader pubblicato da Index Reaserch vede il gradimento del leader leghista precipitare in pochi mesi dal 38% al 29%.

Ma a preoccupare Salvini non sono solo i dati degli ultimi sondaggi elettorali, quanto le rilevazioni relative al cosiddetto “sentiment” che la sua macchina social riesce a scatenare. La Bestia infatti ha perso notevolmente potere e non è più quell’incredibile macchina del consenso che fino a qualche mese fa trascinava milioni di follower.

Il leader leghista precipita nei sondaggi e soprattutto sui social.  La Bestia di Salvini perde colpi ormai;   Non fa più troppa paura ed ha le unghie spuntate.   Il Carroccio, infatti, guardando alla rilevazione   di soli 5 giorni fa dell’istituto Ixè   si attesterebbe solo al 24,6% dei consensi.


Salvini non ha più “sentiment”
A dirlo, come leggiamo in un articolo di Lara Tomasetta su TPI, “è un sondaggio realizzato da Human, una piattaforma di web e social listening nata dalla collaborazione tra Osservatorio Social e Spin Factor. Secondo le rilevazioni di Human, il sentiment, cioè il valore che emerge analizzando i commenti sotto ogni post del capo leghista sta scendendo precipitosamente e da gennaio ad oggi è sotto di 8 punti. Sono valori preoccupanti specie se guardati alla luce dei dati precedenti e delle reali possibilità che ha ora la Bestia di Salvini di riprendersi”.

Le motivazioni sarebbero da ricercare proprio nel metodo applicato dalla Bestia. Infatti leggiamo ancora nell’articolo che “la macchina guidata dal guru dei social Luca Morisi” si sarebbe sempre “avvalsa delle uscite pubbliche del leader leghista, pronto a stare tra la gente e a dispensare selfie, baci e saluti. Tutto materiale che per i social è prezioso e altamente virale. Ma con il Covid tutto è cambiato e lo stesso Salvini lamenta lo stato delle cose: “Io ho bisogno di stare tra la gente e noi scendiamo nei sondaggi perché causa lockdown non ci sono potuto stare”.

La narrazione del capitano si infrange sugli scogli
A questa sicuramente valida tesi crediamo però ne vada aggiunta almeno un’altra più generale: la narrazione del Capitano si infrange sugli scogli. L’idea di un capitano/ministro che guida l’Italia oltre le proprie difficoltà combattendo i migranti cattivi causa di tutti i mali italici (che ricordiamo teneva ostaggi o rischiava di far morire in mare) si è infranta. E si è infranta contro la magistratura (Salvini deve affrontare un processo e ne rischia un secondo) e contro il suo delirio di onnipotenza (ricordiamo la richiesta di pieni poteri).

Da quel momento, e ben prima della crisi sanitaria in atto scatenata dal Coronavirus, qualcosa si è rotto. E i sondaggi hanno cominciato a registrarlo impunemente. Da quel momento, quando sempre i sondaggi davano la Lega ben al 38%, inizia una discesa inesorabile e ininterrotta. E ad oggi (per nostra somma fortuna) il duo Salvini/Morisi non vede alcuna luce in fondo al tunnel. E speriamo non venga mai; almeno per loro.



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lunedì 25 maggio 2020

Clan Sinti : Voti a Lega e FDI

A Latina il Pentito del Clan  Nostri i voti di Lega e Fratelli d’Italia


A Latina il Pentito del Clan
Nostri i voti di Lega e Fratelli d’Italia

Regno dei Di Silvio - Agostino Riccardo “canta”:
 “Controllavamo le urne, Rampelli fu minacciato
 per mandare alla Camera il nostro uomo”

Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera. Nicola Calandrini, senatore di Fratelli d’Italia. Matteo Adinolfi, europarlamentare della Lega. Ma anche l’ex tesoriere alla Camera e un’ex consigliera regionale di Fdi. Il 7 gennaio i loro nomi sono risuonati nell’aula del Tribunale di Latina, pronunciati da un pentito chiave del processo al clan sinti Di Silvio, parenti dei Casamonica, a cui i magistrati della Dda di Roma contestano l’associazione mafiosa.

Martedì la voce di Agostino Riccardo, un tempo legato al gruppo dei Travali e poi passato ai Di Silvio, ha colmato gli omissis che nelle carte dell’inchiesta “Alba pontina” condotta da Luigia Spinelli e Claudio De Lazzaro coprivano i nomi dei politici e ha confermato i contatti con gli esponenti della politica pontina. Cui l’organizzazione avrebbe garantito visibilità e voti. “La mia prima campagna elettorale abbiamo fatto diventare noi Travali a Pasquale Maietta assessore al comune di Latina. Fu candidato e prese mille voti”, ha ricordato Agostino in videocollegamento con l’aula da una località protetta. Ex golden boy del centrodestra pontino, coinvolto nel 2016 nell’inchiesta “Olimpia” e nel 2018 finito agli arresti in “Arpalo”, il commercialista era entrato in consiglio comunale nel 2007 e nel 2011 era diventato titolare del Bilancio. Nel 2013 l’approdo alla Camera. In quelle elezioni “il primo della lista di Fratelli d’Italia era Giorgia Meloni, il secondo Fabio Rampelli e il terzo Pasquale Maietta. L’onorevole Rampelli fu minacciato per dimettersi da secondo della lista”, ha scandito Riccardo, gettando una luce sinistra su quanto avvenne ai piani alti di via della Scrofa nelle ore successive al voto: la leader e il vicepresidente della Camera, candidati in prima e seconda posizione nelle circoscrizioni Lazio 1 e Lazio 2, optarono per la prima e per Maietta – terzo nella seconda lista – si spalancarono le porte di Montecitorio. “Non conosco nessuno di questi personaggi – commenta Rampelli al Fatto – quella fu una scelta politica: in quel territorio ottenemmo il 10% e non potemmo non premiarlo con un seggio”.

Nel racconto del testimone centrale dell’inchiesta, insieme all’altro pentito Renato Pugliese, i clan diventano così potenti da spostare centinaia di voti in poche ore. Almeno secondo Riccardo, che martedì ha fatto il nome di Gina Cetrone, oggi in “Cambiamo” di Giovanni Toti ma nel 2013 candidata alla Regione con Fdi: “Ma non fu eletta perché all’ultimo momento ci fu uno scambio di voti – ha raccontato il pentito – Praticamente i 500 voti che sarebbero andati a Gina Cetrone dalla curva del Latina Calcio… (…) essendo presidente del Latina Calcio, Pasquale Maietta ci mandò a di’ che ‘sti 500 voti li dovevamo gira’ a Nicola Calandrini. Infatti i 500 voti della curva li girammo a Nicola Calandrini”. “Non posso escludere che Maietta abbia richiesto a terzi e quindi anche nell’ambiente calcistico, di votare per me alle regionali”, ha commentato il senatore. Ma “escludo di aver avuto conoscenza della presunta mediazione”.

Quello che secondo i testimoni era il metodo per verificare che le preferenze andassero a chi di dovere è descritto nelle carte: gli uomini dei Di Silvio portavano le persone al seggio e poi si facevano consegnare le schede timbrate per confrontare a urne chiuse i numeri tra i voti promessi e quelli effettivamente arrivati. Tutto ricostruito nell’ordinanza alla base dell’inchiesta che nel giugno 2018 decapitò il presunto clan con 20 arresti. Secondo l’accusa, poi, il gruppo si occupava dell’affissione dei manifesti dei politici che pagavano e garantiva loro
 che non fossero coperti da nessuno.

È il servizio che, racconta Riccardo, il gruppo avrebbe fornito a Matteo Adinolfi. Dopo una vita in An, nel 2016 l’attuale eurodeputato della Lega era tornato in consiglio comunale sotto le insegne di “Noi con Salvini”. A lui l’organizzazione portò “sia visualizzazione che voti. Prese 500 voti”, ha detto il pentito. E 48 ore dopo l’esponente leghista ha diramato una nota “per negare con forza la veridicità di tali affermazioni”.

La deposizione continuerà il 24 marzo,
ma oggi il Pd ha convocato una conferenza stampa a Roma.
Evocativo il titolo: “Parlateci della mafia” .



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Riduzione dell’Orario di Lavoro a Parità di Salario


Riduzione dell’Orario di Lavoro a Parità di Salario

 Adesso è il Momento del Coraggio

Il tema della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario diventa finalmente centrale nella discussione su come riorganizzare il sistema produttivo italiano, nella convivenza forzata con il Covid19. La proposta, infatti, non arriva dal solito Fratoianni, ma dalla Task Force innovazione, che sta lavorando per il Ministero del Lavoro nell’individuare le modalità più sicure e migliori con le quali far ripartire il sistema economico e produttivo italiano.

L’idea è molto semplice e merita attenta valutazione: la difficoltà di organizzare la produzione con un elevato livello di prossimità fra lavoratori, condizione cui per decenni siamo stati abituati, richiede un di più di cautela e uno sforzo di riorganizzazione delle forme, per poter tenere nella massima sicurezza i lavoratori impegnati nei processi produttivi. Anche la scarsa reperibilità di dispositivi di protezione individuale, come anche il difficile utilizzo dei dispositivi in alcuni particolari contesti produttivi, suggerisce soluzioni diverse e innovative.

Per questo, la Task Force ha proposto al governo di ridurre l’orario di lavoro, con turnazioni, mantenendo gli stessi salari previsti dai contratti. Si nota, dalle raccomandazioni della task force, come persino sul piano economico sarebbe meno oneroso e più conveniente per le casse dello Stato, intervenire sul salario dei lavoratori, aiutando le imprese a ridurre l’orario e impostare le turnazioni, piuttosto che continuare a intervenire con settimane di cassa integrazione, che dovrebbero inevitabilmente essere prolungate.

Non solo per ragioni che hanno a che fare con il calo della domanda e degli ordinativi, ma anche proprio per rispettare le misure di distanziamento sociale
 e di sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro.

Mi auguro che la proposta della task force abbia la dignità che merita. Che venga valutata, discussa, approfondita con le organizzazioni sociali e con le forze politiche. Avevo già depositato una proposta di riduzione di orario di lavoro, a parità di salario, circa un anno fa. È ancora disponibile in Parlamento. La metto a disposizione della discussione e del governo, per arrivare all’obiettivo nel più breve tempo possibile.

C’è bisogno di pensare e costruire un mondo nuovo, soprattutto in questa drammatica fase di convivenza con il virus. E partire dalle modalità con cui è organizzato il lavoro nel nostro Paese, mi pare il giusto approccio. Anche perché, le dinamiche produttive investono in primo luogo direttamente anche l’organizzazione dei tempi di vita e di relazione, e quindi di fatto le difficoltà che molte famiglie stanno riscontrando nella gestione dei figli e degli affetti.

E in secondo luogo, una riduzione dell’orario di lavoro avrebbe effetti positivi sul decongestionamento dei mezzi di trasporto pubblici, che sono uno dei principali nodi da affrontare nella battaglia al virus, per contenere il contagio. È il momento di confrontarci e di costruire il mondo nuovo di cui abbiamo bisogno.


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martedì 5 maggio 2020

Giletti

toglie la parola al Ministro della Giustiza, per darla a quel delinquente di Briatore

Toglie la parola al Ministro della Giustizia, per darla a quel Delinquente di Briatore

Nel 1998 viene sospeso per 12 mesi dall'ordine dei giornalisti per violazione delle norme sul divieto di commistione tra informazione giornalistica e pubblicità
Nel 2005 viene nuovamente sospeso per 2 mesi dall'ordine dei giornalisti per violazione delle norme sul divieto di commistione tra informazione giornalistica e pubblicità.
Nel 2006 viene nuovamente sospeso per 12 mesi dall'ordine dei giornalisti per violazione delle norme sul divieto di commistione tra informazione giornalistica e pubblicità
Nel 2008 si dimette dall'Ordine dei giornalisti a seguito del quarto procedimento disciplinare per commistione tra attività giornalistica e pubblicità, ma nel 2014 è stato riaccolto dall'Ordine dei Giornalisti del Piemonte con delibera del 24 febbraio
Nello stesso anno riconsegna la tessera di giornalista

Giletti



“LETTERA A MASSIMO GILETTI”

Massimo, facci il piacere: la prossima volta che ospiti Salvini o Meloni (cioè sempre), evita di stendere il tappeto rosso al monologo ininterrotto e senza contraddittorio dei due habitué.

Quantomeno, non farlo se poi - manco fossi un licantropo in luna piena - ti trasformi in una “belva” famelica del giornalismo quando ospiti qualcuno che non ti è altrettanto simpatico, ovvero ogni non-salvimeloniano, come #Bonafede a cui ieri hai inoltre staccato ignobilmente il microfono perché “dovevi andare”, portandoti di fatto a casa lo scoop con annesse insinuazioni
contro il ministro della giustizia.

A meno che tu non voglia usare lo stesso metro d’interlocuzione con Meloni e Salvini, ma ne dubito, dato che avevi l’occasione di incalzare la Meloni sul caso Creazzo - giusto per citare uno dei tanti esempi, siccome hai giustamente a cuore il tema delle mafie - e per qualche “motivo” non l’hai fatto.

Mi verrebbe da semi-citare Fedro: sembreresti a volte lupo, a volte agnello. Ma forse sarebbe più appropriato dire "a volte volpe, a volte lupo".

Se ti soffermi sul “caso” Bonafede, privo di qualsiasi prova, non puoi permetterti di non spendere, ad esempio, neanche una virgola sul recente e conclamato scambio elettorale politico-mafioso che ha portato Domenico Creazzo, esponente di Fratelli d’Italia, all’arresto.

Non trovi, caro #Giletti?

Se vuoi, facci sapere. Stai tranquillo, che non ti interromperemo, noi.

Giletti: "E no ministro, devo chiudere, ha solo un minuto."

Bonafede: "Mi faccia rispondere per cortesia, mi faccia spiegare…"

Giletti: "E no, devo collegarmi con altri ospiti, non ho tempo."

toglie la parola al Ministro della Giustiza, per darla a quel delinquente di Briatore!!!

***
?? CHI HA VISTO LA PUNTATA SI RICORDA IL GRANDE SPAZIO CHE GILETTI, DAVA A SALVINI E LA MELONI E PERCHÉ PER BONAFEDE AVEVA
SOLO UN MINUTO DI TEMPO???
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Ospedale in Fiera: 21 Milioni per 10 Pazienti


Ospedale in Fiera: 21 Milioni per 10 Pazienti


Da "stiamo facendo la storia" al "non è servito" di Gallera: la vita (fallimentare) dell'ospedale in Fiera
La vita fallimentare dell'ospedale in Fiera di Milano: 21 milioni di euro per 10 pazienti

Trentuno marzo 2020, primo pomeriggio. Al tavolo allestito per l'occasione sono seduti il presidente di regione Lombardia, Attilio Fontana, il presidente della Fondazione Fiera, Enrico Pazzali, il direttore generale del Policlinico di Milano, Pino Belleri e Gerardo Del Borgo, presidente corpo italiano di soccorso dell’Ordine di Malta. Di fronte a loro, accomodati in prima fila, ci sono il vicepresidente del Pirellone, Fabrizio Sala, gli assessori al Welfare, Giulio Gallera, e al lavoro, Melania Rizzoli. L'unico assente del "dream team" è Guido Bertolaso,
che in quei giorni è in ospedale.

Le parole che riecheggiano dai microfoni raccontano di un miracolo, di un'impresa resa possibile dalla mitica operosità lombarda. "Stiamo facendo la storia", dice il governatore. "È il più grande reparto di terapia intensiva d'Italia", gli fa eco Belleri, che avrà la struttura in gestione. È "un risultato inimmaginabile con uno sforzo enorme, siamo fieri", ribadisce. E ancora, Pazzali a MilanoToday: "La struttura è pensata per accogliere tecnologicamente fino a un massimo di 208 pazienti". Quindi, Bertolaso, con un messaggio: "Sono fiero di essere italiano". 

Ospedale in Fiera: 21 Milioni per 10 Pazienti


"L'ospedale in Fiera non è servito"
Quattordici aprile 2020, tardo pomeriggio. Al tavolino utilizzato per il consueto punto stampa c'è l'assessore Gallera: "L'ospedale fortunatamente non è servito - dice - a ricoverare centinaia e centinaia di persone in terapia intensiva. E di questo - sottolinea - stiamo contenti perché vuol dire che oggi c'è un bisogno sanitario inferiore".

L'ospedale in questione è lo stesso: quello allestito in fretta e in furia in Fiera a Milano, quello per cui era stato chiamato Guido Bertolaso a curare i lavori, quello del miracolo come argine per l'emergenza Coronavirus. Quello che il 31 marzo serviva a "fare la storia" e che 14 giorni dopo "fortunatamente non è servito"."L'ospedale in Fiera non è servito a ricoverare centinaia di persone",
 ma è costato 21 milioni di euro

21 milioni per 10 pazienti
Già, "non è servito". Perché da quel 31 marzo di posti letto in Fiera ne sono stati allestiti 53 - il primo progetto prometteva 400 posti - e ne sono stati occupati soltanto dieci, tutti con pazienti arrivati da altri presidi. "Servirà per le seconde ondate", si sono affrettati a spiegare un po' tutti gli attori coinvolti nel "miracolo lombardo", ma al momento per ogni persona ospedalizzata sono stati spesi 2 milioni, 115mila e 300 euro.

Sì perché il progetto dell'ospedale in Fiera - stando ai dati più volte rivendicati nei giorni passati dal Pirellone - è costato 21 milioni e 153mila euro, tutti raccolti dal 29 marzo attraverso 1.560 donatori. Erano i giorni in cui in Lombardia andava in scena una vera e propria gara di solidarietà, stupenda, con donazioni che raggiungevano anche le cifre mostruose di 10 milioni di euro ad assegno, come quelli staccati da Giuseppe Caprotti o Silvio Berlusconi, che il denaro lo aveva destinato espressamente all'ospedale in Fiera.

Ed erano anche i giorni in cui a Piacenza e Cremona si lavorava agli ospedali di campo o a Bergamo si creava da zero un ospedale con l'aiuto di Alpini e ultras nerazzurri: tutte strutture operative anche senza l'inaugurazione formale con tanto di "gita turistica" per i media.

Un'impostazione sbagliata?
Ma quei soldi donati sono andati a finire proprio lì. E forse potevano essere usati diversamente. Forse, più che fare la corsa ai posti letto, in regione - come hanno mostrato i casi del Veneto e dell'Emilia Romagna - sarebbe stata più utile una corsa all'assistenza a casa.

Probabilmente sarebbe stato più utile - come poi è stato fatto, ma solo in parte - creare squadre di medici, oggi si chiamano Usca, in grado di intervenire immediatamente ai primi sintomi, magari a domicilio dal paziente, eseguire il tampone ed evitare che quello stesso paziente in ospedale ci finisca, ma con un quadro clinico preoccupante. Prevenire per non curare, insomma. Curare prima per ridurre l'impatto sugli ospedali, in sostanza.

“"L'ospedale in Fiera non è servito a ricoverare centinaia di persone", ma è costato 21 milioni di euro
„Forse sarebbe stato necessario fare i tamponi ai medici o a pazienti e personale delle Rsa, dove si sta consumando una strage senza precedenti. Sarebbe stato più sensato investire sulle strutture per la quarantena dei pazienti positivi ma non gravi per evitare i focolai domestici, come continuano a chiedere i medici che la battaglia la stanno combattendo in prima linea.

Perché se dopo giorni e giorni di lockdown i contagi non calano - o calano solo quando cala il numero di tamponi effettuati - un problema deve esserci.

Perché l'ospedale in Fiera non può funzionare
Che il "miracolo Fiera" era tutto tranne che un miracolo lo aveva lasciato intendere benissimo il 6 aprile scorso Giuseppe Bruschi: non un giornalista, un economista o un avversario di partito, ma un dottore che da quasi venti anni è dirigente medico di primo livello nel reparto
 di Cardiochirurgia dell'ospedale Niguarda.

"Che dispiacere. Sono medico, sono lombardo, oggi però con l’inaugurazione dello pseudo 'ospedale' in fiera mi sento triste", si era sfogato in un lungo post su Facebook il giorno in cui in Fiera era entrato il primo paziente.

"Una terapia intensiva non può vivere separata da tutto il resto dell’ospedale. Una terapia intensiva funziona solo se integrata con tutte le altre strutture complesse che costituiscono la fitta ragnatela di un Ospedale perché i pazienti ricoverati in terapia intensiva necessitano della continua valutazione integrata di diverse figure professionali, non solo degli infermieri e dei rianimatori ma degli infettivologi, dei neurologici dei cardiologi, dei nefrologi e perfino dei chirurghi - aveva scritto -. Quindi per vivere una terapia intensiva ha bisogno di persone, di professionisti integrati nella loro attività quotidiana mutli-disciplinare".

“"L'ospedale in Fiera non è servito a ricoverare centinaia di persone", ma è costato 21 milioni di euro
"L’idea quindi di creare dei posti letti slegati da questa realtà - senza entrare nel merito di quanti 600 – 500 – 400 – 250 – 100 – 12 - mi sembra assurda. Sarebbe stato più logico spendere le energie e le donazioni raccolte per ristrutturare o riportare in vita alcuni dei tanti padiglioni abbandonati degli ospedali lombardi. Si sarebbe investito nel sistema in essere e quanto creato sarebbe rimasto in dotazione alla Sanità Lombarda, potendo poi essere utilizzato ancora come terapia intensiva oppure riutilizzabile con altre finalità ma sempre all’interno di un ospedale funzionante", aveva chiarito.

"La Lombardia non aveva certo bisogno di dimostrarsi superiore alla Cina costruendo un 'ospedale' in fiera. Vastava vedere quanto fatto da tutti i dipendenti degli ospedali lombardi che in questi 40 giorni hanno creato oltre 600 posti di rianimazione dal nulla, con il loro costante lavoro e sostanzialmente iso-risorse", aveva concluso il medico.

La "storia" che "non è servita"
Dall'inaugurazione dell'ospedale in Fiera a martedì di giorni ne sono passati invece 14, eppure sembra un'era storica. Gli oltre 200 posti letto non si vedono, i pazienti latitano - per fortuna -, i 21 milioni sono stati usati e mancano anche medici e infermieri per mandare avanti la struttura.

"Stiamo facendo la storia", aveva detto il governatore Fontana. "Fortunatamente non è servito", ha detto due settimane dopo il "suo" assessore Gallera.



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Mascherine Caso PIVETTI Blitz alla Protezione Civile

Mascherine Caso PIVETTI Blitz alla Protezione Civile


Non ci sono solamente certificazioni apparentemente false e mascherine irregolari immesse sul mercato. Ora c'è un nuovo fronte nell'inchiesta a carico dell'ex presidente della Camera, Irene Pivetti, e della sua Only Logistics Italia, la società di cui è legale rappresentante: la procura di Roma ha deciso di fare accertamenti sul contratto milionario stipulato dall'azienda con la Protezione civile e ieri i finanzieri del Nucleo di polizia valutaria hanno acquisito la documentazione presso la sede dell'Ente: la Only avrebbe dovuto importare dalla Cina 15 milioni di mascherine Ffp2 per 30 milioni di euro, che lo Stato, secondo la precedente normativa, avrebbe pagato
 per il 60% in anticipo e il 40% alla consegna.



Mascherine Caso PIVETTI Blitz alla Protezione Civile


Il contratto prevedeva anche che una percentuale della partita potesse essere commercializzata dalla società in canali privati. Così una parte delle mascherine è stata venduta in alcune farmacie del Savonese che, però, le hanno messe in commercio con ricarichi fino al 250%. Da qui è partita la prima indagine, della procura di Savona, e la Finanza ha sequestrato un carico di dispositivi a Malpensa, accertando la mancanza di certificazione.


Mascherine Caso PIVETTI Blitz alla Protezione Civile

La Pivetti è accusata di frode in commercio e immissione sul mercato di prodotti non conformi ai requisiti essenziali di sicurezza anche dalla procura di Siracusa, che due giorni fa ha disposto una perquisizione nelle sedi e nei magazzini della Only e del distributore, la Stt Group Srl di Salvatore Statuto, pure lui indagato. La merce messa in vendita, secondo gli investigatori, apparteneva a una partita per la quale il direttore centrale dell'Inail aveva espressamente vietato l'immissione in commercio. Ma non è tutto.


Mascherine Caso PIVETTI Blitz alla Protezione Civile



Le mascherine erano accompagnate da una certificazione di conformità emessa da «un organismo notificato polacco, la Icr Polska - è scritto negli atti - ma da una ricerca effettuata il codice relativo al certificato è risultato disconosciuto, perché invalidato o falso». Intanto i conti della società sarebbero stati bloccati dai pm di Savona.


IL CONTRATTO


Ad insospettire chi indaga è anche il contratto stipulato con la Protezione civile: la Finanza dovrà verificare se fosse regolare o meno, sia per quanto riguarda la parte economica, sia per la clausola che prevedeva la possibilità di vendere mascherine privatamente. I militari hanno acquisito pure una copia dei documenti sui rapporti finanziari, anche se la fornitura è poi stata bloccata. Il contratto risale al 17 marzo e i dati sono riportati nell'elenco delle forniture messe online dalla stessa Protezione civile.



Il Dipartimento ha dichiarato di avere messo «a disposizione tutta la documentazione sui contratti di fornitura», sottolineando di essere «estraneo all'indagine» e di «restare a disposizione dei magistrati». Mentre qualche giorno fa aveva smentito l'esistenza di un accordo riservato con la Only.


La Pivetti invece ha dichiarato che la vicenda si chiarirà presto e ha respinto le accuse: «Non si può mettere in mezzo una istituzione così importante per l'Italia per una vicenda che presto sarà chiarita. Ben vengano le indagini - ha proseguito l'ex presidente della Camera - serviranno a stabilire la verità, mettendo fine alla cagnara sollevata, a un can-can che imploderà su se stesso». L'ex politica ha anche ribadito di «essere una persona seria, alla guida di un'azienda seria», che ha milioni di mascherine ferme in Cina che venderà «in altri Paesi, visto le richieste che ho e che in Italia non me le fanno vendere. Ci sono problemi di burocrazia mal raccontata che fanno del male al Paese».


E sul punto ha fatto l'esempio della certificazione Inail che, sostiene, «serve soltanto per i dispositivi di sicurezza in ambiti di lavoro, ma questo non vuol dire che le mascherine che non ne sono in possesso non sono buone». A suo dire, i prodotti importati dalla Only erano «assolutamente buoni». Mentre per quanto riguarda il certificato di conformità emesso dalla polacca Icr Polska, che la Procura di Siracusa ritiene sia taroccato, la Pivetti, ha precisato:
 «Se fosse così che io e la società saremmo parte lesa».




2 – LA CONTABILITÀ SALATA DELLE MASCHERINE E UNA PARTE DEI SOLDI È DIRETTA ALLE CAYMAN


Contratti per oltre 350 milioni di euro fatti dalla Protezione civile per comprare mascherine, tute, guanti e altri dispositivi di protezione. Oltre 97 milioni di euro già pagati, più di un quarto dei quali sono finiti alla società di Irene Pivetti. Con qualche opacità e una certezza: la promessa di mascherine chirurgiche a 50 centesimi l' una nei negozi fatta dal governo appare difficile da mantenere. Va detto che si tratta di contratti stipulati in fretta, con la pressione della più grave emergenza sanitaria degli ultimi settant' anni. Solo che i soldi pubblici rischiano di finire un po' ovunque. Anche in paradisi fiscali, che poco c' entrano con produzione e vendita di dispositivi anti-Covid.


La Stampa e IrpiMedia hanno potuto visionare i contratti stipulati finora per l' emergenza coronavirus dall' organismo che sta gestendo la crisi. Si tratta di 91 contratti per l' approvvigionamento di dispositivi di protezione individuale (Dpi), per un totale di 356,5 milioni di euro. Al 10 aprile scorso, risultano pagati oltre 97 milioni di euro. Tra questi, forniture di mascherine per una cifra compatibile con un prezzo finale di 0,50 euro ce ne sono davvero poche. La Pluritex srl ad esempio ne ha vendute 100 mila, con un contratto del 3 marzo.


La Protezione Civile le ha pagate 70 centesimi ciascuna. Alla Imagro spa invece le stesse mascherine chirurgiche sono state pagate 10 centesimi in meno ciascuna. Il prezzo record lo strappa però la giapponese Tokyo Medical Consulting, che si fa pagare 1,67 euro l' una 260 mila mascherine chirurgiche, per un totale di 435 mila euro già liquidati.

Si tratta in questo caso di un contratto stipulato
tramite il ministero degli Esteri e l' Ambasciata d' Italia.



I soldi alla Pivetti

Certo, erano i giorni più cupi dell' emergenza, quando mezzo mondo cercava mascherine e sul mercato era davvero complicato trovarne. Certamente compatibili con il tetto di 0,50 euro in negozio sono i quasi 4 milioni di pezzi comprati dalla Mediberg, azienda italiana specializzata proprio nella produzione di dispositivi medici, che ha fissato un prezzo di 0,24 euro nei giorni caldi dell' emergenza (due contratti del 5 e 8 marzo). Difficile rientrare nel limite invece con gli 0,44 euro pagati alla Only Italia Logistics di Irene Pivetti.



Il contratto, firmato dalla stessa ex parlamentare - adesso indagata dalla procura di Siracusa -, prevedeva la fornitura di mascherine Ffp2 e chirurgiche, per un valore complessivo 25,2 milioni di euro. L' accordo è del 17 marzo scorso ed è uno dei pochi interamente pagati dalla Protezione Civile secondo i documenti consultati da La Stampa e Irpimedia.
Da solo, vale più di un quarto dei pagamenti effettuati finora.



La Protezione Civile ha accettato anche alcuni fornitori respinti invece da Consip.

Oltre alla Winner Italia, azienda produttrice di medaglie e trofei, c' è la Agmin Italy. Azienda veronese controllata dai costruttori romani Cucchiella, aveva vinto una serie di lotti nelle gare Consip per mascherine e altri dispositivi per essere poi esclusa dopo le verifiche. Agmin che peraltro è stata, nel 2018, esclusa per 3 anni dalle gare della Commissione Ue
per irregolarità in una fornitura in Bielorussia.

La particolarità del contratto con la Protezione Civile (mascherine e tute isolanti) è però un' altra. La società di Verona indica come estremi di pagamento un conto presso la British Arab Commercial Bank di Londra. Intestato allo Scipion Active Trading Fund delle Isole Cayman, paese sulla lista nera dei paradisi fiscali.

Anche se l' indicazione di un soggetto terzo per il pagamento in un appalto pubblico non è ammesso dalla normativa vigente. Per le commesse della Agmin non risultano pagamenti effettuati alla data del 10 aprile scorso.




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Lettera a Matteo Salvini

Senatore Salvini,    facile, vero, cavalcare il malcontento della gente?  Facile dire “Aprite tutto, non ne possiamo più!”  Facile soffiare sul fuoco della disperazione di un Paese in emergenza!


Senatore Salvini,

facile, vero, cavalcare il malcontento della gente?
Facile dire “Aprite tutto, non ne possiamo più!”
Facile soffiare sul fuoco della disperazione di un Paese in emergenza!

Ma che lei sappia fare solo becera campagna elettorale,
sempre, e in ogni occasione, non è più un mistero per nessuno.
Sono solo i suoi fans che le credono ancora, ma per fortuna sono sempre di meno.

Adesso, però, se lo lasci dire, lei sta veramente esagerando.
Non ha più limiti, non ha più decenza.

Perché proclamare di essere pronto ad invitare la gente a scendere in piazza a manifestare contro “questo governo vigliacco”, è di una gravità che ha dell’incredibile!

Lei, un senatore dello stato, lei un ex ministro, lei il leader dell’opposizione, in una terribile emergenza come quella che questo Paese sta attraversando, lei INCITA alla rivolta popolare!

Ma si rende conto, almeno, di quello che dice?
Si rende conto che c’è in gioco la vita di migliaia di italiani?
Di quegli stessi italiani che lei sostiene di amare tanto!
E che c’è in gioco la stabilità di uno Stato?

Guardi, senatore, se dovessi seguire il mio istinto la insulterei come non ho mai insultato nessuno.
Ma seguo la ragione e mi limito a riportarle le parole di un suo collega, ovvero il leader dell’opposizione portoghese Rui Rio:

?? “La minaccia che dobbiamo combattere esige unità, solidarietà, senso di responsabilità. Per me, in questo momento, il Governo non è l’espressione di un partito avversario, ma è la guida dell’intera Nazione che tutti abbiamo il dovere di aiutare. Non parliamo più di opposizione, ma di collaborazione. Sig. Primo Ministro Antonio Costa, conti sul nostro aiuto. Le auguriamo coraggio, nervi d’acciaio e buona fortuna perché la sua fortuna è la nostra fortuna.”

Vede, senatore Salvini, Rui Rio è un VERO leader dell’opposizione.
Lei, invece, è solo un irresponsabile ciarlatano!

Senza nessuna stima, la saluto.

Giulia Bettini




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domenica 3 maggio 2020

Fontana: Apogeo del Fallimento Leghista

Fontana: Apogeo del Fallimento Leghista

Fontana: Apogeo del Fallimento Leghista

Mascherine Ordinate a Ditte Chiuse ed Ospedali Senza Medici

Il Governatore Attilio Fontana si è lanciato lancia e resta alla carica nel calcolo del governatore leghista e del suo segretario in crisi teocratica  il responsabile assoluto di tutti i grossolani errori della giunta leghista che regge la Lombardia e che, finché tutto andava bene “tutto andava bene” sta rivelando tutte le sue incapacità.

Andiamo con ordine.

Le famose mascherine che da ieri (5 aprile, ndr) sono obbligatorie in tutta la Lombardia, su ordinanza dell’indimenticabile Governatore, arrivano nella regione con enorme ritardo, sicuramente per incapacità di comunicazione tra leghisti – un must  – e governo, ma soprattutto perché il primo ordine venne fatto, per le famose questioni dei ribassi dei prezzi, ad una ditta che aveva cessato l’attività, ma era ancora nell’elenco dei fornitori della " Improbabile "
 giunta del Pirellone oggi Fontana e già Formigoni.
Della cessata attività della ditta di cui sopra nessuno sapeva nulla in Regione, nemmeno il favoloso assessore Gallera che parla come se fosse un semidio, che anche alla deità c’è un limite. Soprattutto se sei squisitamente umano e nemmeno dei più perfetti.

Poi scoppiò il casus belli del Governo che non rifornì di mascherine la regione Lombardia, o meglio delle mascherine ordinate dalla regione Lombardia, arrivate come da ordine evaso, requisite [sic] dal governo per darle alla Protezione Civile che le ha distribuite a suo piacimento; una appena avvertibile insinuazione leghista dice e non dice che furono distribuite “a chi cazzo volevano loro”.

Come sarebbero andate realmente le cose lo dice il consigliere regionale M5S della Lombardia Massimo De Rosa: “Altro che briciole da Roma. Lo Stato paga, la Regione decide acquisti e distribuzione. I dati richiamano Fontana e Gallera alle loro responsabilità”.

Insomma il Pirellone si sarebbe mosso con grave ritardo, nonostante da Roma fosse partita tutta la macchina dell’allarme, anche dalla protezione civile – che si sarebbe presa [sic] le mascherine, quelle ordinate dalla giunta Fontana ad una ditta che non esisteva più – e il 4 febbraio 2020 dalla Federazione dei Medici di Medicina Generale: avvertimenti indirizzati all’attenzione del Governatore Fontana della roboante dichiarazione all’ADN Kronos del 27 febbraio.

Spiega ancora il consigliere del M5S in Regione Lombardia De Rosa, citato da  Lanotiziagiornale.it: “È calcolato che il fabbisogno regionale si attesti attorno ai 9 milioni di mascherine al mese. La Protezione Civile è arrivata in soccorso dell’inefficienza lombarda inviando circa 7,3 milioni di mascherine (quasi 5 milioni chirurgiche e 2,3 milioni Ffp2): l’80%”.  Nonostante ciò “La distribuzione dei DPI resta difficoltosa e le mascherine non arrivano dove dovrebbero arrivare”. De Rosa cita come esempio le residenze per anziani, ambienti ad altissimo rischio, dove il numero degli ospiti deceduti cresce quotidianamente a dismisura e gli appelli dei medici restano inesauditi.

Ma al Pirellone vanno alla guerra con Giuseppe Conte mentre Salvini invece di fare il politico che dice di essere (ai gonzi che gli credono), parla di madonne, messe, chiese aperte per le festività pasquali per affidarsi ai numi, invece di mettere in campo azioni concrete
 che salvino più gente possibile.

Poi c’è la splendida cattedrale nel deserto, dicasi ospedale in Fiera, da 21 milioni di euro in donazioni, da 600 posti, poi 500, poi 350 e quindi 24 posti reali – senza personale sanitario per farla funzionare, almeno fino a ieri – che suggella l’ennesimo capolavoro leghista nella Sanità lombarda fatta di privatizzazioni, inefficienze e di colpe al governo centrale – quando le competenze sulla Sanità sono regionali.

Se a Fontana non è chiaro si informi dal suo collega dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini che invece di andare in televisione a farsi bello, e lui potrebbe, sta in Regione a lavorare, fa poche chiacchiere e i posti letto aumentano. Anche in terapia intensiva.

E’ la differenza tra chi lavora, pur magari vedendo ciò che non va al governo centrale, ma occupandosi delle urgenze, in questo caso di salvare vite, e chi quaquaraquà dando la colpa al governo, onnipresente in televisione dicendo tutto e il contrario di tutto e parlando di sé come si parlerebbe di un semidio – inutile citare ancora Formigoni e la sua pessima fine carriera.


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Salvini chiede il Condono Tombale

Salvini chiede il Condono Tombale



Il leghista Matteo Salvini ha festeggiato il 1° maggio inneggiando a chi ruba ed evade le tasse, spiegando che lui vuole premiarli con un condono. Ed è così che la Lega dei 49 milioni rubati al popolo italiano si pone il partito che mette prima i ladri, i mafiosi e chi non rispetta le leggi. Per Salvini, chi lavora e paga le tasse è un deficiente a cui lui metterà
in conto anche i costi di chi si è arricchito rubando.

Salvini chiede il Condono Tombale

Quasi a voler prendere in giro i suoi elettori, il padano se ne esce anche con una celebrazione di quei carcerieri da cui vuole sottrarre gli evasori. Ed è surreale che lo faccia a fini propagandistici dopo aver abbandonato l'aula durante la commemorazione di Pasquale Apicella, il poliziotto ucciso a cavallo fra il 26 e il 27 aprile a Napoli, nel tentativo di sventare una rapina, dato che l'assenza di telecamere non gli avrebbe permesso di sfruttare i morti per il suo profitto personale.

Ma ad interessarlo è soprattutto il tentativo di compiacere chi ruba, con il padano
 che chiede che chi ha rubato non paghi.

Salvini chiede il Condono Tombale


Ed è promettendo soldi pubblici alla Chiesa Cattolica che il leghista torna a sostenere che i bambini che non vanno a scuola contro il contagio siano ammucchiati in oratori
dove potranno contagiarsi peggio che a scuola.

Salvini chiede il Condono Tombale


Sarà che Salvini non ha mai lavorato un solo giorno della sua vita come appurato anche dai giovani, ma non sarebbe il caso di spiegargli che il 1° maggio dovrebbe essere la festa dei lavoratori onesti e non di chi si arricchisce rubando?



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venerdì 1 maggio 2020

Primo maggio col Coronavirus

Primo maggio col Coronavirus


La festa del primo maggio, senza le tradizionali manifestazioni di piazza,
tra rassegnazione e speranza.


Inno dei Lavoratori - Coro Popolare



La festa del primo maggio, senza le tradizionali manifestazioni di piazza,
 tra rassegnazione e speranza
Tutto diventa più difficile in questi tristi giorni di coronavirus con un futuro incerto per tanti lavoratori che non sanno se riusciranno a riprendere il lavoro o se li aspetta il dramma della disoccupazione con tutte le conseguenze- sul piano familiare, sociale, personale – che ne derivano.

Improvvisamente sono scese le tenebre – ed addensandosi sulle nostre strade, piazze e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante – che hanno paralizzato ogni cosa. Una sensazione strana – per molti versi assurda e distruttiva – si respira nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono
gli sguardi vuoti da cui non traspare la limpidezza della serenità. In altre parole siamo stati investiti da una tempesta sanitaria: inaspettata e furiosa.

Ma si va, dobbiamo andare, avanti anche senza la festa del primo maggio. Senza dimenticare l’importante significato originario che riveste. Parliamo di una una ricorrenza che si celebra in molti paesi del mondo per ricordare le lotte di chi ci ha preceduto, dare dignità e diritti ai lavoratori e ricordare che senza lavoro non c’è futuro né progresso. Esso è democrazia e Libertà. Quindi una ricorrenza senza ombra di dubbio speciale.

La nostra Costituzione Repubblicana nata dalla Resistenza lo riconosce a proprio fondamento, ma anche la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, è un diritto riconosciuto sia a livello nazionale, che internazionale. Festeggiare il lavoro non è dunque solo una forma arcaica di “eroizzazione” del lavoratore, ma rinnovare di volta in volta la nostra adesione alla democrazia sempre e comunque. A coloro, e sono davvero molti, che sostengono
non abbia senso la Festa del Lavoro in un tempo in cui molti sono senza, mi permetto di ricordare che proprio oggi è più necessario dei tempi passati quando tutto sembrava volgere al meglio.

E’ fondamentale interrogarsi oggi su cosa sia il lavoro.
La prima risposta che mi viene in mente è che lavoro significhi soprattutto democrazia e libertà. Un binomio inscindibile, una profonda valenza di promozione della persona nella società. Pochi sanno che il Primo Maggio fu
abolito dal regime fascista che lo sostituì con un’improbabile “Festa del lavoro italiano” il 21 aprile (Natale di Roma), cancellando così anni di lotte e di sangue che avevano portato a quella data di respiro internazionale. Il lavoro nobilita e fa crescere le donne e gli uomini, dà loro dignità, indipendenza, capacità di scelta, opportunità di socialità.

La crisi che ha assalito la nostra economia, in questi tempi bui di Covid-19 seguita dal Lockdown -non per scelta ma per costrizione, in quanto mezzo indispensabile ad evitare il contagio quindi a salvare vite umane – mette a dura prova anche le Istituzioni democratiche, ma deve essere vissuta e compresa anche come stimolo a cercare la definizione futura di lavoro. L’attuale modello sta subendo grandi trasformazioni, ma non va buttato via il bambino
assieme all’acqua sporca.

I decenni del dopoguerra sono stati importanti per conquistare uno ad uno diritti fondamentali per il lavoratore e soprattutto l’idea che il datore di lavoro non sia il suo proprietario, ma parte di una relazione contrattuale duale, che riservi agli uni e agli altri diritti e doveri . Con il lockdown ancora non terminato, si possono già misurare i numeri del disastro ad oggi e quelli in previsione futura. Le prime stime ufficiali riportano dati macroeconomici del Paese
in grave peggioramento, con interi settori a rischio di fallimenti a catena. Ebbene in codesta situazione difficoltosa non possiamo cedere al freddo pessimismo, alla rassegnazione ma dobbiamo trovare motivi di fiducia e di speranza in un domani migliore .

In questo contesto possiamo inserire il concertone per il primo maggio promosso, come sempre da CGIL CISL e UIL giunto alla sua trentesima edizione. Lo stesso ,trasmesso da Rai3, si è sempre tenuto nella storica piazza S. Giovanni a Roma tanto cara al movimento sindacale. La canora manifestazione dal sottotitolo “Il lavoro in sicurezza: per costruire il futuro” si sposta al chiuso, diviso tra l’Auditorium della Musica e il Teatro delle Vittorie a Roma. Si parla anche di una location all’aperto, al momento ancora sconosciuta, nella Capitale. Altre manifestazione in cui i cantanti si esibiranno con le band saranno a: Firenze, alla Terrazza Martini, al Fabrique e al Museo del 900 a Milano, una località in provincia del Veneto (Bassano del Grappa), un’altra location sarà Piazza Maggiore a Bologna e infine Napoli.

Un buon Primo Maggio a loro, così come a tutti i lavoratori. In primis quelli che vivono situazioni difficili dal futuro incerto; ai giovani che stanno cercando la propria strada, ai disoccupati e ai cassaintegrati A tutti loro va il mio pensiero in questo giorno, perché non smettano mai di credere; il nostro è un paese che sta faticosamente ripartendo
anche grazie alla loro operosità intelligenza, fantasia, forza e capacità di non arrendersi mai.

Che il 1° maggio 2020 sia una data che dobbiamo pensare possa rappresentare un nuovo inizio per ciascuno di noi e l’auspicio di poter ricominciare, più e meglio di prima.
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Segretaria della Lega Fermata con 8 chili di Cocaina


Si tratta infatti, della segretaria del gruppo parlamentare della Lega a Roma.


 Erano di ritorno dal Brasile ma al posto dei souvenir sono rientrati con 8 chili di cocaina nascosti in vaschette di carne per il "churrasco".  Una coppia di italiani è stata fermata e poi arrestata all'aeroporto di Lugano in Svizzera per traffico internazionale di stupefacenti. Ma di stupefacente c'è anche che la donna fermata non è un'illustre sconosciuta. Anzi. Si tratta infatti, della segretaria del gruppo parlamentare della Lega Nord a Roma. La cocaina, come ha affermato il commissario capo dell’antidroga Armando Scano a La Regione Ticino, 
sul mercato si sarebbe trasformata in 200mila dosi.
Fermati per un controllo - Durante la perquisizione delle valigie alle Guardie di Confine non sono sfuggite quelle vaschette avvolte in carta stagnola nascoste in mezzo ai vestiti che si trovavano nelle valigie.  Le indagini sono affidate al Procuratore pubblico di Lugano Nicola Raspini. La coppia aveva raggiunto lo scalo svizzero con un volo proveniente da Zurigo. Non si esclude che abbiano scelto lo scalo ticinese sperando che i controlli fossero meno ferrei che non a Malpensa.
Da capire se lo Stupefacente
 fosse destinato al Partito 
Oppure al Mercato Italiano?



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Il consigliere circoscrizionale della Lega a Mattarello 
è stato trovato in possesso di 300 grammi di cocaina...






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