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martedì 22 dicembre 2009

Renault condannata per un suicidio sul luogo di lavoro...

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Renault condannata per un suicidio sul luogo di lavoro

Il tribunale degli affari di sicurezza sociale di Nanterre ha condannato Renault per “colpa inescusabile”. La casa automobilistica è stata considerata responsabile del suicidio di Antonio B., un ingegnere informatico di 39 anni, che il 20 ottobre del 2006 si era ucciso gettandosi dalla finestra del suo luogo di lavoro, il Technocentre di Guyancourt, nelle Yvelines (non lontano da Parigi). In questo centro di ricerca ci sono stati altri suicidi. Antonio B. era oppresso da richieste esagerate di produttività e non ha sopportato l’annuncio del suo trasferimento d’ufficio in Romania.

“Hanno reso giustizia a mio marito – ha dichiarato la moglie dopo la sentenza – è stato riconosciuto cosa ha subito, sopportato da Renault. Spero che questa sentenza sia un segnale forte per tutte le imprese”. La moglie ha denunciato le imprese che “sacrificano tutto sull’altare della redditività” . Ha affermato che , con questo giudizio, “i lavoratori salariati sanno che la giustizia è dalla loro parte”. L’avvocata della famiglia di Antonio B. ha commentato: “spero che si accetti finalmente di rimettere l’uomo al centro di tutte le decisioni”. Secondo l’avvocata, la sentenza dice che “bisogna cessare di invocare la vulnerabilità della gente per spiegare il loro gesto” fatale. ”Non vengo al lavoro per apprendere che ci sono stati dei drammi, per vedere della gente suicidarsi - ha commentato il sindacalista Alain Gueguen di Sud, che lavora al Technocentre – per una volta abbiamo vinto su qualcosa di molto simbolico”.

Alla Renault, prima di France Telecom, aveva avuto luogo una serie di suicidi. In causa erano anche qui i metodi di management: pressioni per aumentare la produttività, tempi strettissimi per completare i lavori, messa in concorrenza dei lavoratori. Antonio B., ha raccontato la moglie, negli ultimi tempi si portava il lavoro a casa, perché le ore passate al Technocentre non bastavano più. Era criticato dai suoi superiori se non portava a termine un carico di lavoro sempre crescente. Carlos Ghosn, il pdg di Renault, aveva dovuto ammettere che qualcosa non stava funzionando nel management. Degli aiuti psicologici erano stati proposti ai dipendenti. Adesso, l’avvocata della Renault, afferma che la società “ha preso atto della decisione” giudiziaria. “Esamineremo la motivazione e ci decideremo sull’eventualità di fare appello”. Renault ha un mese di tempo per fare appello della sentenza, che l’ha condannata ad aumentare la rendita che deve versare alla famiglia di Antonio B. e a pagare un euro simbolico di indennizzo.

di Anna Maria
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venerdì 18 dicembre 2009

Fiat, ancora sul tetto a Pomigliano d'Arcp ...

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Fiat, ancora sul tetto a Pomigliano d'Arcp

Sono ancora sul tetto i lavoratori precari della Fiat auto di Pomigliano D’Arco [Napoli], che hanno passato la notte all’addiaccio sopra all’edificio del comune e continuano a occupare l’aula consiliare. Martedì prossimo alle 16 è convocato a Roma il tavolo con l’azienda e le parti sociali.

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giovedì 10 dicembre 2009

Eternit Spa da oggi in tribunale........

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OROSCOPO
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Eternit Spa da oggi in tribunale
Wwf

Al via il più grande processo mai celebrato in Europa in tema di sicurezza sul lavoro e inquinamento ambientale. Oltre duemila le vittime accertate dell’esposizione all'amianto, indeterminato il numero di lavoratori e popolazione colpita. Anche il Wwf è parte civile.

E’ iniziato oggi davanti al tribunale penale di Torino il più grande processo in tema di sicurezza sul lavoro e inquinamento ambientale provocato dall’amianto mai celebrato in Europa. Al banco degli imputati siedono i vertici della multinazionale Eternit Spa esercente gli stabilimenti di Casale Monferrato, Cavagnolo, Bagnoli e Rubiera, accusati di omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro e disastro doloso. Oltre 2.000 le vittime colpite da asbestosi e mesotelioma pleurico, causato dall’esposizione all’amianto dal 1952 al 2008: numeri talmente fuori misura da rendere necessaria la notifica del decreto che dispone il giudizio per pubblici annunzi, ovvero pubblicandolo su vari siti internet istituzionali, con diffusione di un comunicato stampa dell’ufficio di presidenza del tribunale di Torino e, addirittura, con pubblicazione nella gazzetta ufficiale.
Il colpevole si conosce già: l’amianto. Così come si conoscono i luoghi in cui questo terribile materiale ha mietuto le sue vittime, che sono state colpite per decenni non solo all’interno degli stabilimenti ma anche in aree pubbliche e private al di fuori e nelle stesse abitazioni dei lavoratori, dove quotidianamente facevano ingresso gli indumenti da lavoro non sottoposti a pulizia in ambito aziendale. Ecco perché la pubblica accusa parla di indeterminato numero di lavoratori e popolazione colpita, ed ecco perché sono diverse centinaia le parti civili, compreso il Wwf, che hanno occupato le tre maxi aule messe a disposizione dal Tribunale in cui si celebra il processo.
Le lunghe indagini condotte dal pubblico ministero Guariniello hanno accertato una serie di omissioni nella gestione dei cicli di produzione e una serie di danni conclamati che si sono verificati in un’area ben più vasta rispetta a quello del singolo stabilimento. Basti infatti pensare che per il solo inquinamento relativo a Casale Monferrato il ministero dell’ambiente, che ha individuato l’area interessata direttamente dall’inquinamento di amianto, ha dovuto perimetrare 738,95 chilometri quadrati ricadenti nei territori di ben 48 comuni. Si tratta di territori interessati non solo dalla massiccia presenza di materiali in eternit [cioè di amianto-cemento con cui sono state fatte tettoie, tubature, cassoni dell’acqua, coibentazioni, ecc.], ma anche dalla diffusione degli scarichi della lavorazione di questo. Quest’area è oggi Sito di importanza nazionale [Sin] soggetto a bonifica ed è già stato avviato un complesso intervento con uno stanziamento di 35,5 milioni di euro. Complesso il piano degli interventi, che interessa non solo le aree di pertinenza dello stabilimento Eternit, ma addirittura anche un pezzo della sponda del Po dove lo stabilimento scaricava; migliaia poi gli interventi puntuali di rimozione di materiali che hanno reso necessaria anche la predisposizione di una discarica ad hoc.
Nel nostro ordinamento l’amianto è stato messo al bando con un’apposita legge solo nel 1992 e solo nel 1998 sono state individuate [sempre per legge] le prime aree da sottoporre a bonifica. Oggi i Sin da bonifica individuati per legge o per decreto ministeriale sono 7: oltre a Casale Monferrato, sempre in Piemonte c’è anche Balangero [in provincia di Torino], ci sono poi Emarese in provincia di Aosta, Broni in provincia di Pavia, Bari, Bagnoli a Napoli e Targia a Siracusa.
Il problema dell’amianto è troppo spesso sottovalutato poiché questo materiale ha avuto anche nel nostro Paese un’enorme diffusione dal dopoguerra sino agli anni ‘70. Si può dire che sia presente in ogni città e gli interventi di rimozione, pur essendo rigidamente normati, sono spesso lenti e in molti casi non ancora effettuati. Le conseguenze di questa forma d’inquinamento sono ormai conosciute, anche se l’evoluzione di queste non è perfettamente nota. Basti pensare infatti che è stato stimato che l’apice delle forme tumorali a causa dell’amianto sarà riscontrabile tra il 2015 e il 2020.
Il processo di Torino non costituisce solo la risposta dovuta dallo Stato nei confronti di una situazione così grave, ma anche un monito per tutti coloro che continuano ad essere ciechi e sordi rispetto ai criteri di precauzione che devono sempre essere adottati quando non si è in grado di escludere scientificamente che determinate materie o sostanze possano compromettere la salute e l’ambiente.

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Editoria. Legacoop chiede di ripristinare il diritto........

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Editoria. Legacoop chiede di ripristinare il diritto soggettivo
Legacoop

Dopo il colpo di mano del ministro dell'economia Giulio Tremonti, sono 95 le testate che rischiano di chiudere e migliaia i lavoratori che potrebbero trovarsi disoccupati.

La Direzione Nazionale di Legacoop, rivolge un pressante appello al Parlamento al Governo e in particolare al Ministro Tremonti affinché rivedano la decisione di anticipare al 2010 la soppressione del «diritto soggettivo» per i contributi all’editoria cooperativa. Sarebbe così possibile avere un anno di tempo per avviare una vera e profonda riforma per il settore dell’editoria. È appena il caso di ricordare che senza la certezza del contributo e della sua disponibilità non è possibile non solo impostare la programmazione delle attività, ma neppure svolgerle per l’impossibilità delle banche di anticipare le risorse necessarie, e, soprattutto, non è possibile redigere i bilanci in modo credibile e in grado di essere certificati, condizione questa per avanzare la domanda all’accesso ai contributi. Non va dimenticato che la cooperativa di giornalisti, così come è stata disegnata dalla legge, è una forma di impresa particolarmente rigida negli aspetti gestionali e soprattutto nei limiti alla sua capitalizzazione e nella possibilità di accesso alle risorse finanziarie di rischio.
Molte cooperative sono in grande difficoltà per le condizioni di mercato, provocate dalla crisi in atto che ha ulteriormente falcidiato le modeste risorse pubblicitarie acquisibili; alcune aziende hanno già avviato le pratiche per la dichiarazione dello stato di crisi, difficile da superare per la impossibilità oggettiva di un credibile piano di rilancio. In queste condizioni la chiusura di molte cooperative, aderenti o meno a Mediacoop, sarà difficilmente evitabile e riguarderà larga parte degli operatori che hanno scelto la cooperativa per svolgere la propria attività informativa per la piena libertà ideologica e di autogoverno che garantisce [si tratta di 95 testate cooperative, non profit e di partito, tra quotidiani e periodici per un ammontare complessivo di 2000 giornalisti e 2500 poligrafici].
Legacoop chiede che si ripari subito a questa decisione, che sopprime il «diritto soggettivo», inserita in modo imprevisto e immotivato nel maxi emendamento alla Finanziaria proposto dalla maggioranza. Ciò senza attendere un successivo provvedimento riparatorio, soprattutto in presenza delle dichiarazioni convergenti attribuite al ministro Tremonti e al Presidente Fini in queste ore . Solo così si può evitare il sospetto che la motivazione che ha determinato questa decisione sia quella dell’accrescimento della discrezionalità dell’Esecutivo e della emarginazione del Parlamento. Occorrono nuove regole, certe, per definire criteri oggettivi di accesso ai contributi, riaffidandole alle competenze del Parlamento in modo che si possano realizzare contemporaneamente risparmi per le finanze pubbliche ma anche la eliminazione degli effetti distorsivi che la legislazione ha accumulato in questi anni. Solo così è possibile, – come da quattro anni richiesto da Mediacoop – salvaguardare le imprese meritevoli per qualità del servizio informativo erogato, per stabilità e adeguatezza delle redazioni e per una certa e documentata presenza nelle edicole ed escludere quelle che tali requisiti minimi non hanno e che con il loro comportamento discreditano una platea di attori che sono i soli ad interpretare il ruolo di editore puro.

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mercoledì 2 dicembre 2009

La guerra dell'auto e il lavoro

. Ricarica GP
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La guerra dell'auto e il lavoro


«Siamo stati chiari, dopo la fine del 2011 Termini Imerese non produrrà più auto». Chiaro mica tanto, l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne. Uscendo dall’incontro di questa mattina con il ministro per lo sviluppo economico, Claudio Scajola, Marchionne annuncia uno sviluppo diverso per lo stabilimento siciliano, ma rimanda tutto al 21 dicembre, quando presenterà a governo e parti sociali il piano messo a punto dalla Fiat. E allora, giusto alla vigilia di Natale, forse anche i lavoratori dell’auto italiana sapranno qualcosa del loro futuro e, magari, anche quelli di Termini Imerese conosceranno che cosa è quel qualcos’altro diverso dall’auto che dovrebbero produrre dopo la fine del 2011.
Se non fosse che dall’altra parte c’è un’industria come la Fiat e un ministro come Scajola, potrebbe essere l’occasione per preparare il terreno a un’«industria della mobilità», volano certamente di più occupazione e più stabile di quella dell’auto. Sull’«auto insostenibile» ha scritto di recente Gaetano Lamanna, Spi Cgil nazionale, parlando appunto dell’industria della mobilità in alternativa a quella dell’auto «in un’ottica nuova e attenta ai problemi della sostenibilità ambientale e della riconversione graduale di questo importante comparto dell’industria». E’ un tema che dovrebbero affrontare con più attenzione anche i sindacati di categoria, che, per difendere i posti di lavoro non solo oggi ma anche nel futuro prossimo, dovrebbero pensare a qualcosa di diverso che non sia solo l’auto privata. Ma, oggi, tutti chiedono nient’altro che incrementare di molto la produzione di auto in Italia, almeno 900 mila vetture l’anno dice il governo. «Un numero non astronomico», risponde Marchionne, che ha ostentato indifferenza sul tema degli incentivi: è il governo a decidere, ha detto secco. Invece, per la Fiom, 900 mila auto sono un obiettivo modesto, una produzione sottodimensionata rispetto alle capacità produttive in Italia: «Significa una drastica riduzione della produzione in Italia. Sicuramente con questi numeri non si salva Termini Imerese. Da quello che circola, un terzo o quasi di queste 900 mila auto sarebbero nuove Panda. Come piano, in proiezione pluriennale, è inconsistente».

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