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E’ evidente come la corsa al liceo che ha caratterizzato le scelte scolastiche dei nostri giovani degli ultimi anni abbia prodotto e stia producendo molti guasti.
Scuola e lavoro si parlano e si frequentano poco. E i guai sul terreno dell`occupazione giovanile sono anche il frutto di questa incomunicabilità. Basta girare un po` per le associazioni degli industriali o degli artigiani e si ascoltano racconti che hanno dell`incredibile. C`è l`istituto tecnico di Gallarate che per un motivo o per l`altro forma solo una piccolissima parte dei giovani che potrebbero trovare lavoro nel distretto aeronautico del Varesotto.
O il caso dell`istituto professionale per il legno che nella zona di Manzano (distretto udinese della sedia) rischia di chiudere e che comunque attira una sparuta pattuglia di giovani di quel territorio, conosciuto in tutto il mondo proprio per l`abilità nel lavorare il legno. Anche gli istituti alberghieri della provincia di Roma soffrono di una crisi di vocazioni da parte degli italiani e hanno cominciato a formare giovani immigrati di seconda generazione.
Al di là della casistica è evidente come la corsa al liceo che ha caratterizzato le scelte scolastiche dei nostri giovani degli ultimi anni abbia prodotto e stia producendo molti guasti. Ma oltre a sottolineare l`errore compiuto da chi in nome di un`astratta uguaglianza delle chance ha scommesso sulla licealizzazione dei percorsi formativi, cosa si può fare in concreto per riprendere in mano la situazione?
Innanzitutto riqualificare gli istituti tecnici. Oggi non esiste una seria indagine che ci sappia dire qualcosa di credibile sul loro livello qualitativo e che magari li compari con gli istituti tecnici degli altri Paesi della Ue, tedeschi in primis. In occasione di un dibattito pubblico ho rivolto al ministro Mariastella Gelmini proprio questa domanda e ho ricevuto una risposta sconsolata: «Credo che il livello complessivo non sia adeguato».
In parole povere c`è molto da fare e prima si comincia meglio è. Se gli istituti tecnici si presentano con i segni di un`offerta sciatta, è chiaro che diventa più difficile convertire le opzioni non solo dei ragazzi ma prima ancora delle loro famiglie. Un altro ragionamento (urgente) da fare riguarda la programmazione dei fabbisogni formativi. Si tratta di un sistema che «ragiona» su base nazionale quando invece ci sarebbe la necessità di calarsi nelle realtà territoriali.
La provincia è lo spazio giusto per cercare di programmare la formazione dei giovani in costante raccordo con le organizzazioni datoriali. Ovviamente la rete degli istituti tecnici deve dotarsi anche di una certa flessibilità organizzativa, se una specializzazione risulta superata dagli eventi (leggi: dai cambiamenti del modello produttivo) occorre smontarla e riprogettarla ex novo.
Si obietterà che per l`Italia questa è fantascienza ma nell`economia del post-crisi non ci sarà più spazio per pigrizie e rigidità. L`ultima (e decisiva) considerazione riguarda la comunicazione nei confronti dei giovani. La rivalutazione del lavoro manuale non può essere un`operazione condotta sul filo della retorica, per essere efficace deve basarsi su un vero dialogo tra politica, padri e figli.
di Dario Di Vico
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