Migranti. Prorogato il controverso memorandum Italia-Libia, le Associazioni Protestano
Rinnovo Automatico Senza le Modifiche Sollecitate al Governo dalle Associazioni
Domenica 2 febbraio il memorandum Italia-Libia, firmato nel 2017, è stato prorogato automaticamente alle stesse condizioni, per altri tre anni. Si tratta del memorandum stipulato durante il governo Gentiloni, e che i successivi governi Conte hanno mantenuto finora: esso ha "regolato" la politica tra i due Paesi in tema di immigrazione, stabilendo una stretta collaborazione con la Guardia costiera libica, i cui membri sono stati accusati ripetutamente dalle agenzie Onu di traffico e detenzione di esseri umani.
Lo stesso memorandum, negli stessi tre anni, è stato condannato dalle organizzazioni e dalle agenzie internazionali per i diritti umani per il rischio che rappresenta per la tutela dei diritti delle persone migranti. Nei giorni scorsi sia le ong sia il Consiglio d'Europa si erano appellati all'Italia chiedendo di sospendere l'accordo.
Il governo però rassicura: il rinnovo automatico non preclude l'avvio dei negoziati con Tripoli, preannunciati l'11 novembre dal premier Conte alle controparti libiche.
Il viceministro degli Esteri: «Il negoziato con Tripoli procede anche dopo il 2 febbraio. In mare tornino le navi militari. Ma stop alla criminalizzazione delle Ong»
Non è ancora partito il negoziato Roma-Tripoli per rivedere il controverso memorandum d’intesa siglato tre anni fa. Ma il viceministro degli Esteri Marina Sereni assicura: «Non è vero che dopo il 2 febbraio non ci saranno margini di manovra. C’è invece la possibilità e la volontà di rivedere il memorandum e potremo farlo anche dopo quella data. Qualsiasi ragionamento, però, non può prescindere dalla situazione sul terreno».
Finora cosa è stato fatto per tentare la rinegoziazione?
L’1 novembre, come aveva annunciato il premier Conte, abbiamo attivato il meccanismo per modificare l’intesa. Lo abbiamo fatto con una nota verbale inviata alle controparti libiche facendo sì che la procedura prosegua anche dopo il 2 febbraio.
Cosa intendete proporre alla Libia?
Il governo italiano ha avviato il lavoro istruttorio (che coinvolge sia il ministero degli Interni sia gli Esteri) per proporre modifiche. Abbiamo consultato agenzie Onu come Oim e Acnur-Unhcr e raccolto opinioni dal mondo delle Ong. Di certo al primo posto
c’è la richiesta del rispetto dei diritti umani.
Da Tripoli quali segnali sono arrivati?
A noi risulta che i libici hanno attivato una loro commissione per valutare e proporre modifiche al memorandum, ma conosceremo i contenuti solo quando verrà avviato il tavolo negoziale.
Quando accadrà?
Non dipende solo da noi. Penso che si possa fare rapidamente. Ma le condizioni sul terreno sono complicate. Purtroppo gli impegni presi alla Conferenza di Berlino non sono stati rispettati. Senza una tregua e un cessate il fuoco durevole – violato dai bombardamenti del generale Haftar e dalle interferenze di Paesi come la Turchia che riforniscono di armi e uomini il fronte del premier al-Sarraj – non è facile avviare un percorso verso la stabilizzazione.
L’Italia cosa chiederà a Tripoli?
Per noi è essenziale la radicale riforma delle modalità di trattamento dei migranti. Conosciamo le denunce dell’Onu e tutte le accuse riferite a innumerevoli violazioni dei diritti umani, sia nei centri di detenzione illegali che in quelli ufficiali. Certo non abbiamo “competenza” sulle prigioni clandestine, ma sulle strutture ufficiali proporremo una serie di questioni che riguardano le condizioni di vita.
Ma l’Onu suggerisce di chiuderli quei centri.
Credo che vadano del tutto superati. Alcuni devono essere chiusi. Altri, che le stesse organizzazioni internazionali ci dicono di difficile cessazione in tempi rapidi, vanno totalmente rivisti. Nel frattempo le persone detenute devono essere trattate secondo gli standard internazionali sui diritti umani e dobbiamo fare in modo che la vita all’interno di quelle strutture non sia segnata da violenza e disumanità. Chiederemo che le agenzie umanitarie siano autorizzate a entrare nei centri senza condizionamenti e di stabilire, fra l’altro, le caratteristiche e le credenziali di chi si occupa dei migranti. Dal singolo membro della Guardia costiera libica agli operatori nei centri di detenzione. Dobbiamo sapere chi abbiamo davanti e, pur con tutte le difficoltà che vi sono in Libia, non possiamo accreditare personaggi ambigui.
Nelle settimane scorse si era parlato di una possibile missione Ue in Libia, con Marco Minniti quale inviato speciale di Bruxelles. A che punto è questo piano?
Mi sembra che il tema dell’inviato Ue non sia più sul tavolo. Non ci sono stati sufficienti consensi per andare avanti su quella strada.
Torneranno le navi militari nel Mediterraneo?
L’ipotesi allo studio – se ne sta occupando il Consiglio affari esteri europei e vi sono riunioni tecniche a livello di ambasciatori e alti funzionari – è quella di riesaminare la missione Sophia, rifocalizzando il mandato. E per farlo occorrerà un dispositivo navale.
Tornerà anche la pace con le Ong che salvano i profughi?
Per quanto non si tratti di un tema che attiene alla Farnesina, voglio ringraziare il ministro Luciana Lamorgese che sta lavorando su questo terreno su scala europea cercando di ottenere anche dai colleghi Ue l’apertura di una fase nuova. E i primi risultati, per quanto non definitivi, si sono visti soprattutto sul tema della redistribuzione.
Però i decreti sicurezza restano in vigore. Quando verranno modificati?
Noi vogliamo, semmai, un nuovo decreto, che salvaguardi la legittima domanda di sicurezza dei cittadini ma superi i decreti Salvini, eliminando le norme insensate che avevano lo scopo di criminalizzare salvataggi.
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