In 9 anni il Belpaese ha più che raddoppiato le sue esportazioni verso gli Stati Uniti,
ma le misure protezionistiche di Trump rischiano di frenare la crescita
Se le cose dovessero precipitare, potrebbero finirci di mezzo anche i Levi’s. Per tutelare l’industria degli Stati Uniti, il presidente Donald Trump ha deciso di rispolverare i dazi commerciali. “Proteggo i lavoratori americani, proteggo la sicurezza nazionale“, ha detto dopo aver confermato le misure per appesantire il prezzo di acciaio e alluminio importati negli States. I dazi saranno rispettivamente del 25% e del 10% e serviranno a rendere più competitiva la produzione interna.
A eccezione di Canada e Messico, sono colpiti tutti i paesi esportatori e l’Europa è nel limbo, pronta a reagire. Bruxelles potrebbe mettere in campo “tutte le misure necessarie” per tutelare la sua industria se non dovessero arrivare aperture dall’America. E non sono escluse vendette: punire con imposte-extra alcune vere icone americane vendute nella Ue, come i popolari jeans e le Harley Davidson. Quello che viene visto come un ritorno agli anni Trenta, cambierebbe la grammatica degli scambi internazionali, ma i contraccolpi peggiori sarebbero per quelle economie che puntano forte sull’Atlantico per alimentare il loro export.
Prima fra tutte, l’Italia. Nel 2017 le esportazioni italiane hanno infranto l’ennesimo record. L’Istat calcola che siano stati venduti in tutto il mondo beni per 448 miliardi di euro, con un incasso del 7,4% superiore a quello raccolto dei dodici mesi precedenti. L’Italia ha commerciato ovunque, ma i mercati extra-Unione sono andati meglio rispetto alla media.
Anche grazie all’abilità degli imprenditori negli Stati Uniti. Nel primo anno a guida Trump, sono stati chiusi affari negli States per 40,5 miliardi di euro. Un primato che ha permesso all’Italia piazzarsi all’ottavo posto nella classifica dei paesi importatori negli Stati Uniti, scavalcando la Francia.
Quella del 2017 è una performance che non ha eguali nella storia delle relazioni commerciali tra Italia e Usa. L’interscambio complessivo ha superato i 55 miliardi di euro, ma è Roma che deve difendere con i denti questo risultato. Perché se gli imprenditori italiani riescono a vendere bene nelle città statunitensi, altrettanto bravi in Italia non sono i colleghi yankee. Come rileva l’Osservatorio economico del Mise, le importazioni in Italia dagli Stati Uniti si fermano a 15 miliardi di euro e quello che impressiona, al di là del dato assoluto, è la differenza del tasso di crescita. Dal 2009 ad oggi l’export italiano negli Stati Uniti è aumentato del 137%, contro un aumento del 58% delle importazioni dagli States in Italia, passate da 9,4 a 15 miliardi.
La bilancia commerciale, ovvero il saldo aritmetico import-export, è insomma in positivo per l’Italia. Ma se nel 2009 la differenza recitava +7,6 miliardi e nel 2014 +17,2 miliardi, nel 2017 è stata sfondata per la prima volta la quota dei 25 miliardi di incasso netto. Tutto grazie alle relazioni di fatto open con gli Stati Uniti d’America.
Ovvio che siano anche questi numeri a infastidire Donald Trump. Dall’inizio del 2018 la Casa Bianca ha deciso di provare a frenare gli scambi commerciali con l’estero. Prima ha colpito Cina e Corea del Sud – rispettivamente, primo e sesto importatore negli Usa nel 2017 – e poi ha allargato la platea ai venditori di acciaio e alluminio. Ora il pericolo è l’escalation. Le tariffe, ha promesso Trump, saranno “giuste e flessibili” e alcuni partner sono riusciti a schivare i colpi del protezionismo statunitense. Al sicuro non è (ancora) l’Europa: “Se gli Stati Uniti continueranno su questa strada, l’Unione reagirà in maniera proporzionata e equilibrata“, ha detto nei giorni scorsi Cecilia Malmstrom, commissario al Commercio.
Secondo alcune stime, i contro-dazi europei dovrebbero pareggiare il valore delle accise su acciaio e alluminio negli States: 2,8 miliardi di euro. Ma se Trump dovesse spingersi poi oltre, il conto diventerebbe più salato perché nel mirino finirebbe l’automotive europeo. E se fino ad ora l’Italia era stata poco più di uno spettatore interessato, così rischia di diventare un protagonista del battagliare: gli autoveicoli sono il maggior bene esportato dall’Italia verso gli Stati Uniti. Tra gennaio e ottobre del 2017, il loro valore commerciale è stato di 3,7 miliardi di euro, l’11,3% di tutto il made in Italy sbarcato negli States in quel periodo. Per rendere l’idea, il comparto vale più di medicinali e preparati farmaceutici (secondo posto, 2,2 miliardi di giro d’affari) e macchine di impiego generale (terzo gradino del podio, per 1,9 miliardi di venduto).
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