«Le tutele già ci sono, ma si parla di novità»
«Sul lavoro il governo mente»
Sul lavoro il
governo mente. Lo ha detto un gruppo di giuslavoristi in una nota
diffusa dalla Cgil dell’Emilia Romagna. Secondo i giuslavoristi
sarebbero state «false» le affermazioni diffuse dagli organi
d’informazioni secondo cui «il Governo Monti, per far digerire la
pillola delle modifiche peggiorative a tutele esistenti per i lavoratori, avrebbe prospettato l'esistenza di due interventi nell'opposta direzione».
«IL GOVERNO MENTE»
I due provvedimenti a cui si fa riferimento sarebbero «l'estensione
alle imprese sotto i 16 dipendenti dell'istituto della reintegra in
ipotesi di licenziamento discriminatorio; la previsione secondo cui i
contratti a tempo determinato non potranno essere reiterati per più di
36 mesi, convertendosi, oltre tale limite temporale, in contratti a
tempo indeterminato».
«Entrambe le affermazioni sono false» hanno scritto i docenti Umberto
Romagnoli, Luigi Mariucci, Piergiovanni Alleva e Giovanni Orlandini
assieme a una cinquantina di noti legali di tutta Italia, «in quanto
tali disposizioni già esistono nel nostro ordinamento».
NESSUNA TUTELA IN PIÙ.
La prima, hanno sostenuto i giuslavoristi, è contenuta nell'art.3 della
legge 108/90, che testualmente dispone: «Il licenziamento determinato
da ragioni discriminatorie è nullo indipendentemente dalla motivazione
addotta e comporta, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal
datore di lavoro, le conseguenze previste dall'art. 18 della legge 20
maggio 1970, n. 300».
La seconda, sempre secondo il documento diffuso dalla Cgil, è
disciplinata «dall'art. 5 comma 4 bis del Dlgs. 368/01, il quale recita:
'Qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo
svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro tra lo stesso
datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i
36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai
periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto ed un altro,
il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato'».
ART 18
LA CGIL
MOBILITAZIONE
La Cgil “farà tutto ciò che serve per contrastare la riforma del mercato del lavoro. Farà le mobilitazioni necessarie, non sarà una cosa di breve periodo”. E’ furibonda il segretario della Cgil Susanna Camusso che chiude così la due giorni di confronto serrato con il Governo sulla riforma del mercato del lavoro. Una mezza ammissione di sconfitta della sua linea da “roulette russa”, ma anche il bisogno di cambiare il passo in una situazione che ha visto ancora Corso d’Italia nell’angolo. E’ “la terza volta, dopo la riforma delle pensioni e le liberalizzazioni”, che “i provvedimenti del governo si scaricano sui lavoratori”. “Davvero una strana idea della coesione sociale”, aggiunge Camusso. Fermo restando, però, che “bisognerà sostenere chi in Parlamento proverà a modificare” questa riforma del lavoro, “facendo sentire che c'è un Paese che la vuole cambiare”.
Il Governo ha preteso il massimo esercitando sull’Art. 18 la raffinata arte dell’immobilismo perpetuo. E Cisl e Uil gli hanno strizzato l’occhiolino. E’ trionfante il segretario della Cisl Raffaele Bonanni quando annuncia che “la Cisl si assume la responsabilità sulla riforma del mercato del lavoro per non lasciare solo il Governo a decidere così come ha fatto sulla questione delle pensioni”.E’ questo quel che è accaduto ieri a palazzo Chigi mentre mezza Italia protestava contro l’attacco ai diritti. Tanto che Camusso si è vista costretta a sollevare nuovamente la questione dell’unità sindacale. “Il fatto che avevamo una ipotesi comune e l'abbiano abbandonata è un problema”. Come si coniughi questo dato con il sostegno al Pd è un mistero. Proprio stamattina, da una parte Stefano Fassino e, dall’altra, Beppe Fioroni hanno espresso due opinioni completamente divergenti sulla proposta del Governo. Staremo a vedere.
Che cosa è che non ha permesso la firma della Cgil in calce ad un testo che per il momento rimane un “verbale”? Innanzitutto, la pretesa del Governo di avere i “licenziamenti facili”. Li chiama proprio così la Cgil. E aggiunge: “Il governo non ha mai accettato alcuna modifica sulla proposta di riforma dell'articolo 18”. Tempi processuali più accelerati? “L'hanno inserito nella riforma della giustizia e immagino per questo tempi rapidi ed efficaci”, ironizza Camusso. Ed elencando i cambiamenti sull'articolo 18 relativi ai licenziamenti disciplinari e per motivi economici ribadisce come “l'effetto deterrente dell'articolo 18 sia profondamente annullato”. L’altro capitolo difficile è quello sulla precarietà. Così se da una parte c’è “qualche elemento positivo sulle forme d'ingresso”, la riforma presentata dal Governo non “cancella la precarietà”, e quella che “il ministro Fornero chiama flessibilità cattiva, è solo un primo passo”. Così come sugli ammortizzatori sociali. Dopo una giornata di incontri tecnici ad alto livello “non abbiamo ancora in mano un testo uno e siamo andati avanti e indietro per ipotesi differenti poi contraddette a seconda dei tavoli”.
Monti e Fornero, appoggiati da Napolitano e con l'accordo segreto con PDL, PD e Terzo Polo, aboliscono l'articolo 18. Non c'era riuscito Berlusconi 10 anni fa
RESPINGERE SUBITO CON LO SCIOPERO GENERALE IL DIKTAT DEL GOVERNO SUL LAVORO
I lavoratori già in piazza spontaneamente o su invito della FIOM
MONTI VATTENE!
Con il settimo incontro svoltosi martedì 19 marzo, siamo dunque giunti alle battute finali di questa finta trattativa imbastita dal governo Monti con le associazioni padronali e i sindacati confederali sulla “riforma del mercato del lavoro”. La proposta messa sul tavolo dal presidente del consiglio e dalla Fornero, al di la delle balle, “lo facciamo per il bene del paese” e “per dare un futuro ai giovani”, è persino peggiore delle anticipazioni avanzate nelle volte precedenti con al centro l'abolizione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, la liberalizzazione dei licenziamenti individuali e la demolizione degli “ammortizzatori sociali” ciò in un ottica liberista e padronale. Forte dell'appoggio, aperto e assolutamente fuori delle norme di una repubblica parlamentare, del nuovo Vittorio Emanuele III, Giorgio Napolitano, che ha seguito minuto per minuto questa vicenda, esercitando anche indebite pressioni sulle parti in causa, e con in tasca l'accordo segreto stretto di recente con i partiti che compongono la sua maggioranza parlamentare, PDL, PD e Terzo Polo, Monti ha potuto dire arrogantemente: questa è la riforma, prendere o lasciare.
E' stata una finta trattativa, va ribadito. Lo ha confessato Monti quando ha affermato che “non ci sarà nessun accordo tra governo e parti sociali, ci consultiamo, dialoghiamo, ma il nostro interlocutore principale è il parlamento”. Come a dire sui temi del lavoro non c'è più bisogno di “concertare” con i sindacati. Infatti per la controriforma sulle pensioni non aveva sentito nemmeno il bisogno di sentire il parere dei rappresentanti dei lavoratori; una cosa mai successa in passato. E' di fatto un cambio di relazioni industriali di stampo mussoliniano e fascista, sul modello inaugurato dal nuovo Valletta, Sergio Marchionne, per gli stabilimenti Fiat, che unisce l'abbattimento dei diritti contrattuali dei lavoratori alla cancellazione dei diritti e dell'agibilità sindacali. D'altronde, non si era mai vista una trattativa sindacale accompagnata dalla minaccia sistematica da parte del tandem liberista Monti-Fornero: comunque andremo avanti, comunque la riforma la faremo con o senza il consenso sindacale. E ciò costituisce un arretramento grave nell'ambito degli spazi democratici e del potere contrattuale che riguarda non solo la CGIL ma l'insieme del movimento sindacale italiano. Non vederlo e non contrastarlo immediatamente e fermamente rappresenta un vero e proprio suicidio per i diretti interessati.
Giù la maschera. Il vero e principale obiettivo della “riforma del mercato del lavoro” targata Monti-Fornero è l’abolizione dell'art. 18, è la libertà di licenziamento. La formula proposta per raggiungere questo obiettivo è quello di eliminare l'obbligo del reintegro nel posto di lavoro per i licenziamenti per ragioni economiche e per motivi disciplinari. Lasciando la norma solo per i licenziamenti discriminatori. Se passa questa modifica, la tutela deterrente contro i licenziamenti “senza giusta causa” e “senza giustificato motivo”, viene sostanzialmente cancellata, e le conseguenze per le lavoratrici e i lavoratori saranno devastanti, specie in un momento come questo di recessione produttiva e di crisi aziendali. Con la libertà di licenziare con un semplice indennizzo economico, anche quando il giudice lo sentenzierà come ingiustificato e illegittimo, si afferma il totale dominio del padrone in fabbrica e si rende debole il lavoratore che non potrà difendere i propri diritti. Demolire la tutela sui licenziamenti individuali significa nel contempo indebolire l'insieme dei diritti sindacali dei lavoratori.
Il PMLI e il suo organo, “Il Bolscevico”, l’hanno detto sin dall'inizio; il governo Monti della grande finanza, della Ue e della macelleria sociale si muove in perfetta continuità con il precedente governo del neoduce Berlusconi. Il quale anche lui, 10 anni orsono, tentò di cancellare l'articolo 18. Gli fu impedito dalla mobilitazione straordinaria delle lavoratrici, dei lavoratori, dei pensionati e degli studenti culminata con la grande e storica manifestazione nazionale del 23 marzo 2002 al Circo Massimo di Roma. Ora ci prova Monti godendo dell'appoggio, tra gli altri, del PD liberale di Bersani. Anche i sindacati collaborazionisti, la CISL di Bonanni, la UIL di Angeletti e l'UGL hanno dato il loro sostanziale consenso, tradendo così in modo plateale gli interessi dei loro stessi iscritti e dei lavoratori tutti.
La CGIL però non ci sta. Resistendo alle enormi pressioni esercitate da Napolitano, dal PD e da una rumorosa e mistificatoria campagna mediatica ha detto chiaro e forte no. Il segretario generale, Susanna Camusso ha affermato: “I lavoratori sono gli unici che subiscono i provvedimenti del governo. E' stato così con le pensioni, è così con la riforma del mercato del lavoro. All'articolo 18 viene tolto completamente la sua funzione di deterrente verso i licenziamenti”. La risposta della CGIL non potrà che essere la mobilitazione. “Faremo tutto quello che serve – ha aggiunto – per contrastare questa riforma. E non sarà una cosa di breve periodo. Dobbiamo decide come accompagnare questa stagione rispetto alla quale faremo tutte le necessarie proposte per essere alla testa di un movimento che porti il lavoro come tema centrale”. Non siamo mai stati teneri con la Camusso, però non possiamo che condividere questa linea di opposizione e di lotta. Già il direttivo nazionale della Cgil ha proclamato 16 ore di sciopero di cui 8 per uno sciopero generale. Benissimo! Ma esso va indetto subito con una manifestazione nazionale a Roma.
Una mobilitazione forte e ampia dei lavoratori è già iniziata. Specie nella fabbriche metalmeccaniche, in particolare del Nord e del Centro Italia. Ci sono stati scioperi e manifestazioni spontanei o su invito della FIOM, con cortei e spesso blocchi stradali e dei binari dei treni. La parola d'ordine è: L'art.18 non si tocca! E' una mobilitazione alla quale va data continuità e va generalizzata coinvolgendo i lavoratori di tutte le categorie, i precari, i pensionati, i disoccupati, gli studenti e le larghe masse popolari.
Ci vuole un movimento di popolo per bloccare le relazioni industriali mussoliniane che massacrano i lavoratori e i sindacati, che cancellano i diritti democratici delle masse. Che tutte le forze politiche, sindacali, sociali, culturali, religiose antifasciste e democratiche si uniscano per mandare a casa Monti, degno successore di Berlusconi, e la Marchionne del governo Monti, Elsa Fornero.
(Articolo de “Il Bolscevico”, organo del PMLI, n. 12/2012)
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