Viviamo in due mondi paralleli, quello della cosiddetta società civile, dove apparentemente c’è uno stato di diritto, e quello delle fabbriche dove lo stato di diritto finisce.
La FIAT è l’emblema di questo mondo parallelo. All’interno dei confini dei suoi stabilimenti non c’è più diritto di critica, diritto di parola, possibilità di organizzarsi per difendere i propri interessi di parte operaia, sono tollerati solo i sindacalisti filoaziendali, di fatto non c’è più neanche il diritto di sciopero, perché chi sciopera, chi organizza gli scioperi, chi esprime simpatia per gli scioperi, è immediatamente oggetto di “pressioni”, trasferimenti, attenzioni particolari di capi e vigilanti, fino ai provvedimenti disciplinari e al licenziamento. Se colpiscono un operaio combattivo non lo fanno mai ufficialmente perché lotta per difendersi dagli alti ritmi, dal consumo veloce sulle linee del suo corpo e della sua mente, per cercare di aumentare i miseri salari. No, le motivazioni ufficiali sono sempre altre: scarso rendimento, abbandono del posto di lavoro, messa in discussione dell’ “obbligo di fedeltà”, a cui bisogna sottomettersi, detto per inciso, anche lontano dallo stabilimento,
lontano dalla cosiddetta “proprietà” FIAT.
Il mese scorso un reparto dello stabilimento di Pomigliano, lo Stampaggio, fece alcuni giorni di sciopero contro un cambiamento della turnistica imposto dall’azienda che li costringeva a lavorare il sabato e parte della domenica in regime ordinario con il recupero infrasettimanale del giorno libero perso. Gli operai giustamente scioperarono sulla parola d’ordine: no al lavoro gratis di sabato. La FIOM diede loro la copertura sindacale.
Lo sciopero di poche centinaia di operai scatenò le reazioni rabbiose dell’azienda fino a che la FIOM fece rientrare gli scioperi. La cosa però, non si è chiusa lì. Gli operai che furono coinvolti nell’agitazione hanno continuato a subire pressioni di ogni tipo
e l’attenzione particolare dei capi e dei vigilanti.
Quelli che sono stati individuati come punti di riferimento della massa operaia, hanno avuto attenzioni ancora più particolari.
Giovanni Balzano, uno di questi operai, che, pur spostato da tempo su altre lavorazioni, continuava ad avere rapporti con gli operai dello Stampaggio, e rappresentava un punto di riferimento per la sua capacità di non piegare la testa di fronte alla dirigenza, capace di criticare a viso aperto le condizioni di lavoro impossibili, il clima da caserma che vigeva in fabbrica, è stato licenziato in questi giorni.
Era stato isolato su una postazione dove non aveva contatti con gli altri operai, su un macchinario difettoso che non gli permetteva di poter raggiungere gli obiettivi produttivi che gli erano imposti, ma senza testimoni intorno. Spesso impossibilitato anche ad allontanarsi per i suoi bisogni fisiologici. Costantemente tallonato da capi e vigilanti. Costretto ad un clima di tensione costante per mettere alla prova la sua capacità di autocontrollo.
Ha resistito finchè ha potuto, poi, isolato, non tutelato da nessuno, ha dovuto soccombere. L’azienda ha costruito la sua tesi nel corso del tempo fino a quando
non ha deciso che era arrivato il momento di colpire.
La mancanza di un’organizzazione compatta degli operai rende questi operai completamente scoperti rispetto allo strapotere dell’azienda. I sindacati interni, per il 90% sono al servizio della FIAT per i quali i licenziamenti sono sempre giustificati. Nello stabilimento di Pomigliano, l’unico sindacato che si presenta come difensore dei diritti dei lavoratori è la FIOM. Giovanni Balzano è un iscritto FIOM. Ma qui dobbiamo chiederci: cosa ha fatto la FIOM per tutelarlo?
Un sindacato al servizio degli operai difende principalmente gli operai più combattivi, quelli che non si tirano indietro di fronte alle prepotenze aziendali. Come si poteva tutelare Balzano? Certo la forza della FIAT è grande e quelli non allineati non hanno vita facile compresa la FIOM. Ma se si era capito che a questo operaio si stava preparando il trappolone, bisognava organizzargli intorno una rete di difesa. Predisporre testimonianze a suo favore, tutelarlo per la postazione che gli avevano dato per fregarlo, con pressioni sui medici aziendali, sui responsabili del funzionamento del macchinario, assicurando una presenza di un delegato sindacale ogni volta ce ne era bisogno.
Da quello che si sa, poco su questo versante è stato fatto.
I casi come questo, anche in stabilimenti non della FIAT sono ormai innumerevoli. Nella stessa zona un altro caso emblematico è il licenziamento di un gruppo di operai della più grossa ditta di trattamento di rifiuti della zona, una ditta del gruppo Bruscino. Anche qui, una battaglia di tipo sindacale che vedeva schierati un gruppo di operai e un delegato CGIL contro il passaggio da una delle ditte del gruppo ad una cooperativa di comodo, ha avuto come epilogo il licenziamento di otto operai. Anche qui però, la causa ufficiale addotta dall’azienda, non è stata la lotta sindacale che questi operai avevano fatto, ma nuove esigenze produttive che
rendevano inutile la mansione lavorativa di questi operai.
Anche qui il sindacato non li ha difesi fino in fondo. Non c’è stata nessuna mobilitazione a loro favore, nessun passaggio che sottolineasse il fatto che venivano licenziati per la lotta e non perché non c’era più bisogno del loro lavoro.
Parliamo della FIOM, della CGIL, ma ne potremmo nominare
anche diversi della galassia degli alternativi.
Nello scontro, ancora sotterraneo, ma che sempre più spesso viene in superficie, tra operai e padroni si conferma sempre di più la mancanza di un’organizzazione degli operai veramente operaia. Che li organizzi, li unisca, li mobiliti contro il padronato, questo sì organizzato, per difendere sia gli interessi minimi che quelli generali.
Questa organizzazione non esiste al momento, né a livello politico e neanche a livello sindacale, è ora che gli operai più consapevoli e combattivi ci mettano mano e la costruiscano. La lotta contro i licenziamenti per rappresaglia che diventano sempre più numerosi e insopportabili può essere una buona base di partenza.
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