Il Decennio nero dell’Italia
Silvio è tornato. E tanti si sono dimenticati chi è.
Ecco un libro per rinfrescare la memoria ed evitare di ricascarci
“Fatti e misfatti, disastri e bugie, leggi vergogna e delitti (senza castighi) dell’ometto di Stato che vuole ricomprarsi l’Italia per la quarta volta”.
Anticipiamo alcuni stralci dal capitolo “Quando c’era Lui”.
La lista nera dei disastri dei tre governi Berlusconi (1994, 2001-06, 2008-11) è talmente lunga che, da sola, occuperebbe un paio di Treccani. Ma ora Silvio Berlusconi si ripresenta per la settima volta agli elettori travestito da “usato sicuro” capace, europeista e moderato contro gli “incompetenti”, gli “antieuropeisti” e gli “estremisti”, e trova persino a sinistra chi ci casca o almeno finge di cascarci. Eugenio Scalfari ha dichiarato: “Con Berlusconi al governo le cose sono andate più o meno come andavano con gli altri governi”. Quindi è il caso di riepilogare in estrema sintesi l’inventario dei danni che è riuscito a fare ogni volta che ha avuto la ventura
di governarci e noi la sventura di essere governati da lui (…).
Vediamo come, negli anni delle vacche grasse, (non) approfittò della congiuntura favorevole. Salvo poi gridare al golpe e al complotto quando, nel 2011, tutti i nodi aggravati dalla crisi mondiale vennero al pettine.
Il decennio nero. Dai dati del Fondo monetario internazionale risulta che, fra il 2001 e il 2011, il nostro Pil reale pro capite, cioè la ricchezza prodotta da ogni singolo italiano tenendo conto dell’inflazione, sia crollato del 3,1%. La peggiore performance di tutta l’Eurozona, visto che nel Vecchio continente in quel periodo solo l’Italia ha avuto il segno “meno”. Nel decennio, 2001-2011, mentre noi precipitavamo, tutti gli altri Paesi crescevano: dai tedeschi (del 12,9%) ai greci, sì persino i greci. Non solo: se nel 2001 la differenza fra il nostro Pil pro capite e quello tedesco era di 1.610 euro, nel 2011 si era quadruplicata a 6.280 euro. Gli italiani in condizioni di povertà assoluta toccavano la cifra record di 3 milioni e mezzo. E l’occupazione cominciava a calare soprattutto fra i giovani, mentre il Cavaliere non trovava di meglio che produrre più precariato con la legge 30 del 2003. In quel decennio nero, Berlusconi ha governato 8 anni su 10.
La finanza pubblica. Nel 2011 l’ultima manovra della coppia B.-Tremonti lascia un’eredità pesante: misure senza copertura per 20 miliardi di euro. Soldi da trovare entro il 30 settembre 2012 con una riforma – neanche abbozzata – delle agevolazioni fiscali. In alternativa, scatteranno i tagli lineari. Il governo Monti si accolla gran parte del prezzo di impopolarità e trova poi, prelevandoli dai ceti più deboli, 13,4 di quei 20 miliardi, mentre il resto si trascinerà sui governi successivi.
Le tasse. “Meno tasse per tutti” e “Rivoluzione fiscale”. Sono questi gli slogan dominanti di tutte e sette le campagne elettorali berlusconiane. Peccato che poi, una volta al governo, il Cavaliere non sia mai riuscito a rivoluzionare né l’Irpef né tantomeno l’intero sistema tributario. Nel suo secondo governo, l’unico durato l’intera legislatura, la pressione fiscale (cioè l’incidenza delle tasse sul Pil) scende in cinque anni di un paio di decimali, senza che nessuno se ne accorga. Cioè (dati Istat) passa dal 40,1% del 2001 al 39,1 del 2005. Nei tre anni del suo terzo governo, senza una sola misura di austerità per fronteggiare la crisi finanziaria globale, la pressione fiscale aumenta addirittura: dal 41,3 del 2008 al 41,6 del 2011. Altro che “Meno tasse per tutti”: meno tasse solo per gli evasori e i frodatori, beneficati da continui condoni e “scudi fiscali”.
La spesa pubblica. La ragione del mega-flop fiscale è semplice: da quel grande populista che è sempre stato, B. non ha mai voluto ridurre la spesa corrente (come invece ha fatto Prodi), rendendo impossibile qualunque riduzione permanente del carico fiscale. Tra il 1999 e il 2005 (biennio D’Alema-Amato e quinquennio berlusconiano), la spesa per consumi finali della Pubblica amministrazione, dove si annidano i veri sprechi, è salita del 3,3% annuo. E si è fermata solo con il secondo governo Prodi (2006-2008). Vediamo il dettaglio, riassunto di recente da Sergio Rizzo su La Repubblica. La spesa pubblica nel 2001 superava di poco i 600 miliardi, mentre alla fine del 2011 sfiorava gli 800 (797.971), con un aumento monetario del 32,8 per cento e una crescita reale (detratta l’inflazione) dell’8,5: cioè di 62 miliardi. Soldi ben spesi? Vediamo. Di quei 62 miliardi, 57 sono finiti nel capitolo Welfare: per la stragrande maggioranza, pensioni. “Quel capitolo – scrive Rizzo – che assorbiva nel 2001 il 36,1% della spesa pubblica, aveva raggiunto nel 2011 il 40,4%. C’entra di sicuro l’esborso enorme per l’assistenza causato dalla crisi. Ma è incontestabile che la fetta più rilevante di quei 57 miliardi abbia a che fare con l’incremento della spesa previdenziale. Per giunta, mentre il conto per le pensioni saliva in modo inarrestabile, la spesa per l’istruzione si riduceva del 10,2%: 7 miliardi e mezzo reali svaniti. In quei dieci anni si è dunque investito sugli anziani disinteressandosi dei giovani”. Poi ci sono i soldi buttati. Per esempio in spese militari, aumentate del 35,2%, mentre quelle per la cultura scendevano del 31,7.
Debito pubblico. Il sedicente risanatore della finanza pubblica non ha fatto che aumentare vieppiù il debito pubblico: + 539 miliardi, quasi tutti merito suo. Per fortuna, il tanto deprecato euro, nello stesso periodo, faceva scendere gli interessi sui titoli di Stato di quasi 18 miliardi reali.
Sanità. Nel secondo governo Berlusconi il finanziamento al fondo sanitario nazionale esplode dai 71,3 miliardi del 2001 ai 93,2 del 2006 (da allora salirà in 10 anni di soli altri 20 miliardi). Motivo: le esigenze di rigore per l’ingresso nell’euro si sono esaurite e i bassi tassi di interesse consentono di aumentare i fondi alla sanità pubblica (e privata convenzionata, letteralmente scoppiata soprattutto nelle regioni governate dal centrodestra). Ma quella stagione, e ancor di più quella del terzo governo Berlusconi, verranno ricordate per ben altre ragioni: il fallimento del federalismo sanitario (voluto sia dal centrosinistra sia dal centrodestra), che avrebbe dovuto responsabilizzare le Regioni dando loro un budget e precisi standard da rispettare (i Lea: livelli essenziali di assistenza). Invece non funzionerà mai. Anzi – come spiega l’economista Gilberto Turati, specialista di politiche sanitarie dell’Università Cattolica di Roma – sotto Berlusconi si afferma il principio che, “per garantire i Lea, serve almeno la spesa dell’anno precedente, così le regole di fatto incentivano le Regioni a spendere sempre di più”. Così, per ingrassare le clientele e le mafie sanitarie, si taglia selvaggiamente sul sociale. Dal 2008 e al 2011 il fondo per le politiche per la famiglia passa da 346,5 milioni (2008) a 52,5 (2011), quello per le politiche giovanili da 137,4 milioni a 32,9, quello per la non autosufficienza che finanzia l’assistenza ai malati più gravi da 300 milioni a zero.
Scuola, università e grandi opere. Le “riforme” berlusconiane dell’istruzione pubblica, targate Letizia Moratti (2003) e Maria Stella Gelmini (2008), improntate a una filosofia “privatistico-confindustriale”, suscitano ostilità quasi unanimi di insegnanti, studenti e famiglie, senza risolvere i problemi principali del settore, anzi aggravandoli. Il terzo governo Berlusconi, poi, completa l’opera tagliando il fondo per il finanziamento ordinario dell’Università dai 7,4 miliardi del 2008 ai 6,9 del 2011. Tornerà sopra i 7 miliardi soltanto nel 2014.
Quanto invece alle inutili opere faraoniche, l’asso nella manica di Berlusconi, la Legge obiettivo, si è rivelata un disastro epocale per il bilancio pubblico. Avrebbe dovuto velocizzare la realizzazione delle infrastrutture garantendo prezzi certi? Ebbene, a fine 2011 risultavano ultimati appena il 10% dei lavori previsti, con i costi ovunque esplosi. Senza contare alcuni regalini maleodoranti tipo quelli gentilmente offerti dalla vicenda della corruzione al Mose di Venezia. Omaggi che, secondo uno studio del governo Monti, avrebbero fatto salire la spesa per gli appalti pubblici perfino del 40%.
Immigrazione. Il Berlusconi che oggi tuona contro l’immigrazione sparando cifre a casaccio (“È una bomba sociale: 630 mila clandestini”), è lo stesso che nel 2011 deliberò la partecipazione dell’Italia alla guerra in Libia contro il suo amico e compare Gheddafi, cedendo alle pressioni di Obama, Sarkozy e Napolitano, con il conseguente aumento esponenziale degli sbarchi. Ma non solo: porta la sua firma, oltreché i voti di FI, An e Lega Nord, la più grande sanatoria di immigrati “clandestini” o irregolari (circa 800 mila domande, di cui 694.224 accolte, nel solo 2002, in concomitanza con l’approvazione della legge Bossi-Fini). Nel 2003 è il governo Berlusconi a sottoscrivere senza batter ciglio la Convenzione europea detta “Dublino II”: chi sbarca in Italia resta in Italia. Nel 2009 il terzo governo B., sempre con i voti della Lega, vara una seconda mega-sanatoria di immigrati irregolari (294.744 domande accolte).
Le leggi vergogna. Che faceva Berlusconi mentre l’Italia andava in malora? Si occupava dei fatti suoi, con un’attenzione e una competenza davvero degni di miglior causa. Per scongiurare i due pericoli che nel 1993 l’avevano portato a creare Forza Italia: il fallimento delle sue aziende e la galera. Con una raffica di leggi vergogna da brivido. Noi qui riassumeremo soltanto le 60 che hanno portato vantaggi a lui, ai suoi cari, ai suoi amici (e amici degli amici mafiosi), ai suoi coimputati e alle sue aziende. Nei quattro settori chiave della giustizia, del fisco, della televisione e degli affari. Tutte leggi mai previste dai programmi elettorali di Forza Italia, o della Casa delle Libertà, o del Popolo delle Libertà, dunque mai votate dai cittadini. Infatti non riguardano tutti noi: riguardano soltanto lui e pochi altri fortunati vincitori.
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