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mercoledì 28 luglio 2010

Resilienza sul lavoro



R come resilienza, ovvero la capacità di affrontare le difficoltà positivamente e trasformarle in opportunità. Si tratta di una caratteristica importante e molto ricercata anche nelle grandi aziende. Ma si nasce resilienti o si diventa?

Il significato reale di resilienza viene abbinato ad una caratteristica dei metalli, cioè alla loro capacità di subire urti senza rompersi e quindi, per l'uomo, la capacità di affrontare difficoltà e problemi. E in un buon lavoratore questa è una dote che fa la differenza. Proprio in un momento di crisi economica è fondamentale ideare, innovare, scoprire alternative senza farsi spaventare.
All’interno di un’azienda le persone che hanno questa caratteristica fanno vivere i problemi come fossero un tesoro e non vengono trovate delle soluzioni, bensì delle alternative, cioè trovare un punto di forza e trasformare le difficoltà in sfide.

Una dote
Secondo alcune ricerche la resilienza è una caratteristica tipicamente femminile, solo per un fattore di predisposizione, ed è una caratteristica determinante in una carriera di successo. Per allenarsi ed essere resilienti bisogna innanzitutto puntare sull’introspezione, cioè riflettere su ciò che accade e ritornare sulle esperienze, per capire cosa è andato male e cosa bene. Altra dote da sviluppare è la creatività e la voglia di inventarsi nuove situazioni e mai accontentarsi della prima idea. Bisogna poi sapere accettare le sfide e cercarle, buttarsi anche se non si hanno tutte le capacità e inventarsi. Infine coltivare l’empatia la fiducia e la capacità di relazionarsi positivamente. Sorridere per contagiare gli altri e scambiarsi opinioni e rinnovarsi insieme.
Trovare nuove idee
Nel lavoro quanto nella vita
L’importanza di imparare ad essere resilienti non riguarda solo l’ambito lavorativo, ma anche la vita personale. Chi affronta Risolvere puzzleproblemi famigliari dolorosi, ma anche sport agonistici, se è resiliente non verrà intaccato da quell’ansia che talvolta ci soffoca nelle difficoltà. La resilienza è più della semplice capacità di resistere alla distruzione proteggendo il proprio io da situazioni difficili, ma è anche la possibilità di reagire positivamente a scapito delle difficoltà e la voglia di costruire utilizzando la forza interiore propria degli essere umani. Non è solo sopravvivere a tutti i costi, ma è
avere la capacità di usare l’esperienza nata da situazioni difficili per costruire il futuro.
Imparare la resilienza
Per imparare ad affrontare le situazioni con resilienza, bisogna gestirle in 6 step:
  1. Definire la questione in modo preciso, raccontandola, scrivendola, narrandola. Bisogna prendere consapevolezza del centro del problema e superare lo stress che ci soffoca
  2. Nuove ideeSbriciolare il problema scomponendolo in piccoli sottoproblemi
  3. Chiedersi quali sono le difficoltà oggettive e quelle che invece riguardano noi stessi e le nostre personali difficoltà
  4. Valutare le risorse a disposizione, sia personali che quelle dei nostri collaboratori
  5. Ripensare ai problemi superati in passato: i ricordi positivi servono ad infonderci coraggio e ci predispongono all’azione
  6. Trovare una soluzione senza accontentarsi, perché sicuramente dietro l’angolo ce ne può essere un’altra

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martedì 27 luglio 2010

CERCANO PERSONE X FILM



Si svolgeranno a San Miniato, presso i locali di San Miniato Promozione, Piazza del Bastione 1, i provini per il film low-badget “Ridere fino a volare” di Adamo Antonacci e Fabio Bianchini.

Per il film, destinato alle sale cinematografiche in Toscana e distribuito dalla CG Home Video, che si girerà prossimamente a San Miniato, vengono cercate le seguenti figure:

Attori:
- Donna orientale 25/30 anni, graziosa e dal fisico scattante.
- Bambina 5/7 anni, occhi chiari e particolarmente espressivi. Buona dizione.
...- Primario ospedale pediatrico: uomo 60/65 anni. Aria piacente e bonaria. Barba bianca e occhiali da vista.
- Fotografo, uomo sui 40 anni, mediterraneo con parlata del sud.

Generici, piccoli ruoli:
- Avventori spettacolo streap: uomini da 20 a 70 anni, alcuni con aria distinta, altri dall’aria sporcacciona.
- Ragazze streap: due ragazze particolarmente avvenenti, in grado di ballare la lap dance.
- Paesani di San Miniato: persone di tutte le età con volti semplici e bonari.
- Personaggi snob sulla barca: due uomini sui 40 anni, aria molto distinta, vagamente effemminati.
- Barboni: uomini di tutte le età, con facce particolari.
- Famiglia orientale: uomini, donne e bambini con tratti tipicamente orientali (vanno bene sia cinesi, sia filippini, sia coreani).
- Carcerati: uomini dai 30 anni in su con facce da ergastolani.
- Matti: uomini dai 30 anni in su con fisionomia e mimica che ricordi il tipico malato di mente.
- Curia/Prelati/Cardinale: uomini dai 20 ai 70 anni, con volti bonari, altezzosi, ieratici.
- Bambini scuolabus: 20 bambini con età dai 6 ai 10 anni.
- Alunni in classe: 20 bambini di 9 anni.
- Degenti ospedale pediatrico: bambini dai 3 ai 10 anni.
- Impresari di spettacolo: 4 uomini sui 50 anni, distinti, giacca e cravatta, anche sovrappeso.
- Segretarie: 4 donne dai 20 ai 50 anni.
- Capitano dei carabinieri: bell’uomo sui 50, capelli brizzolati, pizzetto, fisico atletico.
- Facce particolarmente simpatiche e buffe, caratteristi, fenomeni da baraccone e personaggi con attitudini particolari.

Si cercano inoltre sosia dei due attori protagonisti Alessandro Gelli e Jerry Potenza di etnia africana, asiatica, sudamericana, germanica (le foto degli attori sono visionabili anche su Facebook digitando “Ridere fino a volare”).

I provini si svolgeranno a San Miniato (Pisa), presso la sede di San Miniato Promozione in Piazza del Bastione n. 1 dalle ore 9,30 alle ore 19,00 nei giorni:
- 29 luglio 2010: riservato ai soli attori e solo su appuntamento.
- 30 luglio 2010: riservato ai soli generici.
- 31 luglio 2010: riservato ai soli bambini.
Per info ed appuntamenti: 349 3232330
Per inviare materiale: riderefinoavolare@gmail.com


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domenica 25 luglio 2010

I cassintegrati della Vinyls occupano l'Asinara da 150 giorni


http://www.isoladeicassintegrati.com/


I cassintegrati della Vinyls occupano l'Asinara da 150 giorni
Adesso sono passati centocinquanta lunghi giorni. Erano partiti con l’idea di occupare una banca, gli operai della Vinyls di Porto Torres. Hanno fatto molto di più. Sono saliti sulla cima di una torre aragonese, e poi l’hanno occupata. Si sono auto-reclusi in un carcere, e ci sono rimasti. Hanno piantato croci bianche nei prati, per disegnare nella vita di tutti i giorni, il cimitero del loro disagio.
Chiedono solo lavoro, ma continuano a restare in cassintegrazione. Hanno i mutui sospesi, come le loro vite. Per rompere la cortina dell’indifferenza hanno occupato aeroporti, strade regionali, piazze. Hanno traversato il mare. Sono andati davanti a Montecitorio. Hanno protestato in ogni modo. Hanno assaltato la piazzetta di Portocervo, hanno bruciato la bandiera delle Cayman (quella degli evasori che fingono di non possedere i propri yacht), hanno duellato con i ministri in televisione, dimostrando di saperne di più. Sono diventati famosi: Tino, Andrea, Gianmario, Pietro e naturalmente tutti gli altri.
Ma adesso sono centocinquanta giorni. Centocinquanta infiniti giorni. Qualcuno di loro – come Andrea Spanu, non si è mosso nemmeno un minuto dall’isola dell’Asinara, e adesso ci ha portato anche la sua famiglia. Qualcun altro come Tino Tellini, ha girato l’Italia e ha scritto un libro. Il più simpatico e tosto, Pietro Marongiu ha parlato dal palco di Piazza Navona, applaudito come un leader. In quattro si sono candidati. Tutti hanno posto all’opinione pubblica del nostro paese una semplice domanda: è giusto che l’Italia rinunci al proprio patrimonio industriale? È possibile che si riduca a comprare all’estero la plastica che continua a consumare (sempre di più, e sempre più cara, da quando la loro fabbrica ha cessato di produrla?).
Ai cassintegrati dell’Asinara, che hanno scelto di andare in carcere per spiegare a tutti che senza lavoro la loro vita è un carcere hanno detto tutti belle parole. Non gli ha risposto nessuno. Non Silvio Berlusconi, che un tempo prometteva grandi miracoli con la sua diplomazia Certosa, non il ministro Scajola, che ha pensato bene di iniziare la ricerca del lestofante che gli ha comprato la casa a sua insaputa (non risulta ancora che lo abbia trovato) dimettendosi proprio il giorno prima dell’incontro fissato al ministero per risolvere la crisi della chimica. Non è stata una grande perdita: parlando dei cassintegrati li aveva collocati a Nuoro, invece che a Porto Torres: quando si dice la conoscenza dei problemi.

Adesso, nell’Italia della crisi e delle vertenze che tengono appese le vite, nell’Italia in cui si sale sui tetti per salvare il proprio lavoro, era stato nominato un ministro per l’Attuazione del federalismo, ma non un sostituto al ministero dello Sviluppo economico. È come avere una nave senza capitano, mentre infuria la tempesta. Adesso, nell’Italia in cui la Fiat ricatta i suoi lavoratori e minaccia delocalizzazioni, gli operai della Vinyls sono rimasti impressi nei nostri cuori come una metafora, come un ammonimento, come una profezia. Forse alla fine saranno sconfitti. Ma intanto non mollano. Non a caso hanno recuperato un bellissimo slogan di Ernesto Che Guevara: “Chi lotta può perdere. Ma chi non lotta ha già perso”. Centocinquanta giorni, tre stagioni, qualcuno è ormai diventato un frammento dell’isola dimenticata, un’attrattiva turistica, una curiosità per le scolaresche: “Ecco, guardate, bimbi: gli operai cassintegrati”. Centocinquanta giorni, se li stanno dimenticando tutti, gli operai dell’Asinara. Quasi tutti. Questo giornale, testardo come loro, no.

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sabato 24 luglio 2010

LA FINE DEL POSTO STABILE

La fine del posto stabile
Solo al 6% dei neolaureati

Scende a minimi assoluti la quota dei giovani che entrano in azienda con un contratto a tempo indeterminato. Sei anni fa erano più del triplo. Lo stage diventata la prima modalità di inserimento. Per chi viene assunto, la prima paga oscilla tra i 22 mila e i 26 mila euro. La migliore retribuzione nel chimico e farmaceutico. I risultati dell’indagine di Gidp sul rapporto tra imprese e giovani che escono dagli atenei italiani. TABELLA: i contratti proposti. LA RETRIBUZIONE: dall’inserimento a 3 anni

E’ ormai una fortuna. Rara e preziosissima. Tanto che quando viene proposto, dal direttore delle risorse umane, viene quasi da non crederci. O pensare di avere inteso male. Quest’anno hanno avuto la possibilità di firmare un contratto a tempo indeterminato solo il 5,46 per cento dei neolaureati entrati in azienda. Un’involuzione sempre più marcata che sembra non arrestarsi. Solo sei anni fa, erano più del triplo (il 20 per cento). Ora, invece, al termine della selezione, quando si è stati scelti, a quasi il quaranta per cento dei giovani capita di vedersi offerto un tirocinio. E a chi va bene, un contratto a tempo determinato. Le evidenze sono quelle dell’indagine di Gidp, l’associazione di responsabili delle risorse umane, che verrà presentata questo pomeriggio a Milano nella sede di Assolombarda.

Dopo l'introduzione negli anni di norme che hanno favorito forme atipiche di lavoro, il contratto a tempo indeterminato sembra diventare sempre più raro come prima opportunità. La crisi economica, reale causa di un ulteriore restringimento delle chance per posti fissi o, almeno in parte, occasione da cogliere per ridurre i costi a scapito delle risorse umane, sembra stia rendendo sempre meno frequente quello a cui molti guardano ancora come a un legittimo bisogno. Mentre altri, spesso da posizioni di privilegio, lo considerano un mito da superare e alcuni, anche tra chi governa, sembra oscillare tra posizioni contradditorie (come la dichiarazione di Tremonti a ottobre dell’anno scorso).

Ricerche sempre più brevi. Le selezioni per un neolaureato in questi mesi, almeno quelle che ancora ci sono, non durano molto. Secondo i dati dell’indagine, che ha coinvolto un focus group di 120 direttori del personale, una buona parte di queste viene chiusa in meno di un mese. E’ immaginabile che sia soprattutto perché, di questi tempi, non è di certo difficile per un datore di lavoro riuscire a intercettare un numero corposo di candidature. Quasi un’azienda su dieci, non impiega neppure quindici giorni. Solo una percentuale molto esigua (meno del due per cento) ha bisogno di un periodo che può oscillare tra tre e sei mesi.

Università e candidature. Il bacino a cui attingono con più frequenza le imprese sono gli uffici di placement universitari. Ritenuti anche gli strumenti più efficenti. Circa il sedici per cento seleziona e valuta i curriculum che arrivano attraverso le candidature spontanee. Da qui però non sempre le aziende riescono a pescare il candidato ideale tanto che nessun responsabile delle risorse umane indica questa modalità come quella più efficace. Cresce la quota delle aziende che utilizza le “vetrine” dei career site realizzati nell’ambito del sito aziendale. Così come sembra prendere sempre più piede la scelta dei siti internet specializzati nella pubblicazioni di annunci e recruiting. Poco meno di un'azienda su dieci preferisce partecipare ad eventi e fiere lavoro.

Titoli preferiti. Più della metà delle imprese al momento di svelare quale titolo di laurea deve possedere la figura da assumere, risponde ingegneria o economia. A conferma che i due titoli di laurea, seppure indeboliti anche loro rispetto agli anni scorsi, continuano a mantenere almeno un poco di spendibilità sul mercato. Quanto meno maggiore di quella di altri titoli. Dietro i due, seguono informatica (8 per cento) e giurisprudenza (5,5 per cento).

Lingue e motivazioni. Tra i requisiti che possono colpire l’attenzione del datore del lavoro, c’è soprattutto la conoscenza delle lingue straniere (lo indica quasi un direttore del personale su quattro). Decisiva sembra anche essere, almeno per il dieci per cento delle imprese, una certa disponibilità alla mobilità territoriale. Tra gli aspetti più di natura psicologica sembra avere un peso rilevante la motivazione (lo dice il 20 per cento delle imprese). Importanti anche la rapidità con cui si raggiunge il titolo di laurea meno invece il voto conseguito e il titolo della tesi. Così come non sembra essere decisivo, o lo è per pochi, il fatto che il titolo sia stato conseguito in un ateneo particolare. Avere fatto un master può essere decisivo per l’8 per cento dei selezionatori mentre l’Erasmus piace al 4,7 per cento dei datori di lavoro.

La lunga stabilizzazione. Nell'ultimo anno, scrivono gli autori dell'indagine, il 38% delle imprese campione ha assunto oltre la metà dei neolaureati in stage. Il sedici per cento non ne ha assunto nessuno. A chi avrà superato positivamente il periodo di stage verrà proposto nel 30% dei casi un contratto a tempo determinato, mentre il contratto di inserimento sarà offerto al 17,45%, la stessa percentuale presenterà l’opzione di apprendistato professionalizzante e ancora il 17,45% il contratto a tempo indeterminato. Un alto nove per cento passerà per un altro contratto di collaborazione mentre l'8 per cento per un contratto temporaneo tramite un'agenzia d lavoro.

Le aree più dinamiche. Le funzioni aziendali che mostrano maggiore dinamismo occupazionale per chi esce dagli atenei, sono soprattutto l’area dell’amministazione, finanza e controllo. Complessivamente viene indicata dal più del 15 per cento dei datori di lavoro. Seguono il commerciale, la progettazione e il marketing. Nelle prime posizioni ci sono anche la produzione, la ricerca e sviluppo, l’It e le risorse umane.

Poco accompagnamento. E’ alquanto composito lo scenario che viene restituito dall’indagine in merito al tema del percorso di inserimento per le nuove figure assunte. Se è vero che quasi il 30 per cento lo prevede in azienda da almeno un anno, è altrettanto vero che il 35 per cento non ha alcun percorso di inserimento e che un altro 13 per cento lo ha introdotto da appena un anno.

Stipendi e confronti. La paga d’entrata invece oscilla tra i 22 mila euro e i 26 mila. Più bassi i livelli retribuitivi dei metalmeccanici e più alti quelli del chimico e farmaceutico. Con l’andare del tempo le retribuzioni legate al settore del commercio sembrano guardagnare un poco di terreno. Dopo tre anni raggiungono i 27.839 euro e quasi chiudono il divario in particolare in rapporto agli stipendi dei loro coetanei che lavorano nel credito che dopo tre anni sono arrivati a una retribuzione lorda annua pari a 29 e 300 euro. Più elevato di tutti invece lo stipendio lordo per chi lavora in aziende attive nel chimico e nel farmaceutico con più di 34 mila euro.

FONTE

Grazie ai governi di centrodestra e centrosinistra ci ritroviamo in questa situazione.
invece di tifare per il bipolarismo della precarietà perchè non raccogliamo le firme per dei referendum per abolire le norme che hanno prodotto questo schifo?
Dopo l'acqua, il lavoro!
di FEDERICO PACE
Fonte : Controlacrisi


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lunedì 19 luglio 2010

I SABOTATORI



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Sabotatori, li ha chiamati la Marcegaglia, ultimi incendiari di un mondo in estinzione, ha gorgheggiato Sacconi e, per completare il coro osceno, non potevano mancare Bonanni (CISL) nonché Angeletti (UIL) inneggianti all’ultima eroica impresa de fu liberal Marchionne. Ci riferiamo, naturalmente, al licenziamento di un impiegato FIOM a Mirafiori e di tre operai, due dei quali delegati dello stesso sindacato, alla SATA di Melfi. La grave colpa? Nel primo caso, l’aver utilizzato la posta elettronica aziendale per diffondere il comunicato degli operai polacchi della FIAT con cui invitavano i loro compagni di Pomigliano a non piegare la testa di fronte al ricatto padronale. Nel secondo caso, il presunto (molto presunto) blocco di un robot durante un corteo interno. Se a Mirafiori si può parlare di ingenuità, che però la dice lunga sulla sottovalutazione e persino incomprensione della natura di classe del potere padronale – assai diffuse, purtroppo, tra il “popolo di sinistra” — gli operai di Melfi hanno reagito contro l’accelerazione della cadenza lavorativa, proprio mentre un terzo di loro è in cassa integrazione. Molti commentatori hanno, e giustamente, visto in qui licenziamenti una risposta della FIAT al deludente, per l’azienda, risultato del referendum nello stabilimento napoletano, un modo per ribadire urbi et orbi che, nonostante tutto, il comando padronale non è stato scalfito da un pugno di riottosi operai, che in fabbrica si fa come dice il padrone o si va fuori dai…. Di quale democrazia, di quale Costituzione si va cianciando? Quella è roba per intorpidire le menti, come il whisky cattivo distribuito agli indiani per abbrutirli e metterli fuori combattimento. Tale è il ruolo della democrazia borghese, e quando il giochino si inceppa, quando di carote non ce ne sono più o sono troppo avvizzite per tacitare le masse, ecco che, puntuale, rispunta il buon vecchio bastone. Fuor di metafora, quando la concorrenza internazionale, per effetto della crisi, si fa sempre più aspra, gli spazi di mediazione si riducono, fino a scomparire, è il capitalista non esita un secondo a imporre in qualunque modo, forza inclusa, i propri interessi. In breve, per l’ennesima volta si dimostra che i metodi autoritari e fascisti sono “solo” l’altra faccia dei metodi più “urbani” della democrazia borghese: che prevalgano gli uni o gli altri, dipende dal contesto economico-sociale.

È facile capire le motivazioni che hanno fatto cadere la maschera da “buono”a Marchionne and Co., altrettanto facile “sputtanare” il ruolo dei sindacati “escort-colf-cani da riporto” della Confindustria (gli appellativi si sprecano) quali CISL-UIL-UGL-FISMIC. Meno agevole, invece, risulta, per tanti, inquadrare quello (di ruolo) della FIOM, visto che tra i sindacati di categoria è stata l’unica a non accettare supinamente tutte le richieste o, meglio, imposizioni della FIAT, e i suoi militanti sono, in questa fase, sulla “linea del fuoco” del conflitto e i più colpiti dalla repressione aziendale, con scuse per di più ridicole. E’ solo la FIOM, infatti, che chiama ai sacrifici della lotta una classe operaia già pesantemente colpita da settimane di cassa integrazione. E la classe operaia sta rispondendo generosamente con scioperi e iniziative che, tra le altre cose, mettono in evidenza l’enorme potenziale che, nonostante la difficile situazione o, anzi, proprio per questo, potrebbe sprigionare, se solo fosse indirizzato sui giusti binari. I giusti binari, però, non sono quelli tracciati dalla FIOM. Infatti, una lotta di classe coerente, indipendentemente dall’impegno generoso, dai sacrifici anche duri di chi sciopera – lo ribadiamo per la milionesima volta, a scanso di equivoci e di pregiudizi interessati – non solo deve colpire gli interessi dei padroni, ma, contemporaneamente, deve collocarsi nella prospettiva più generale del superamento del capitalismo. La FIOM; invece, è ben lontana da questa prospettiva, anzi, marcia nella direzione opposta. Le solite esagerazioni di noi comunisti, auspicabilmente in estinzione (sempre per omaggiare Sacconi)? Mica tanto. In una lettera aperta a Marchionne, volantinata davanti a Mirafiori, la FIOM scrive:

Non si tratta di contrapporre lavoratori e imprenditori, ma di prendere atto delle differenti condizioni e delle diverse responsabilità collaborando per il futuro con condivisione e non per coercizione.

Insomma, in fondo, padroni e operai hanno sì interessi e ruoli un po’ diversi, ma non contrapposti. Dunque, ognuno al suo posto, ma diamoci da fare per il bene dell’azienda, con spirito collaborativo. Detto in altri termini ancora, se il sig. Marchionne mi lascia dire la mia, io, FIOM, concedo i diciotto turni, l’aumento dei carichi di lavoro e altre cose ancora.

Secondo noi, invece, il punto da cui partire, anzi, da rifiutare, è proprio quello che la FIOM pone come perno dei rapporti tra classe operaia e padronato, cioè una sostanziale comunanza di interessi tra operai e padroni. No, è vero esattamente il contrario e la vicenda del premio di risultato ne è solo un esempio in più: mentre i manager, a partire da Marchionne, si assegnano compensi milionari, viene prima tagliato e poi soppresso il premio di risultato, un tempo erogato ai dipendenti prima delle ferie estive (1200 euro nel 2008, 600 nel 2009 e zero quest’anno). Dunque, se non si ha chiaro il concetto, niente affatto astratto, che gli interessi degli operai sono opposti e inconciliabili con quelli dei capitalisti, lo sciopero, la mobilitazione si riducono a essere come il movimento frenetico dei criceti in gabbia, che corrono corrono sulla ruota per addentare una nocciolina, ma sempre in gabbia rimangono.

Insomma, non ci pare che vi sia una gran differenza tra il “siamo tutti sulla stessa barca” della lettera di Marchionne agli operai di Pomigliano e l’invito alla collaborazione “con condivisione” della lettera FIOM. E quando Epifani si inquieta perché i licenziamenti per rappresaglia possono innescare un duro conflitto sociale dagli esiti imprevedibili, non fa, classicamente, il pompiere della possibile ripresa della lotta di classe? Invece, è vitale che si ricominci a lottare su di un terreno di classe, fuori dai sindacati, con lotte autonome, dirette dalle assemblee dei lavoratori, le uniche abilitate a decidere come e in che modo condurre il conflitto; assemblee che eleggano direttamente i propri organismi di lotta (in qualunque momento revocabili), che cerchino di collegare i vari stabilimenti FIAT, i lavoratori dell’indotto e, perché no?, quelli polacchi, tanto per cominciare. Non è una strada facile, certo, ma è l’unica che possa concretamente contrastare il nostro nemico di classe; alternative non ce ne sono.

Se padroni, governi, sindacati ultraconniventi sabotano gravemente le nostre condizioni di esistenza, la FIOM-CGIL sabota le possibilità che la nostra classe si scrolli di dosso gli effetti intossicanti dell’ideologia borghese, la paura, la sfiducia in se stessa e si metta sulla strada di un coerente percorso di lotta anticapitalistico: sabotatori, appunto.

Fonte : Leftcom





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sabato 17 luglio 2010

LAVORO IN CALABRIA

LAVORO IN CALABRIA..QUANDO LA REALTA' SUPERA LA FANTASIA
http://www.leftcom.org/files/images/2010-07-14-cashiers-in-chains.preview.png
Riceviamo e volentieri pubblichiamo una lettera inviataci da un compagno di Reggio Calabria che descrive le pazzesche condizioni di lavoro a cui vengono sottoposti i precari nell’estremo sud della Penisola. Dove il capitalismo made in Italy mostra il suo volto più brutale e disumano. Dove la questione mafia è strettamente connessa alla questione disoccupazione e super-sfruttamento. Ma di questo i pennivendoli di regime — compresi quelli “di sinistra” — non amano parlare.
Lavoro sottopagato, contributi non versati, turni raddoppiati. Questo cliché sembra ormai sorpassato per il Meridione, in particolare per la Calabria. Con una crisi mondiale galoppante anche quel poco di piccola e media impresa presente al sud si deve adeguare per mantenere una parvenza di concorrenza sul mercato. E per fare ciò deve andare oltre uno schema già sperimentato e vecchio di decenni.
Che ci fosse da tempo il lavoro nero in Calabria è una cosa che molti danno ormai per scontata, ma, negli ultimi anni sta prendendo piede una forma di sfruttamento che farebbe invidia ai servi della gleba. Andiamo ad analizzare le diverse forme di lavoro presenti sul territorio. Naturalmente si parla di piccola e media imprenditoria, poiché su quella di grandi dimensioni i controlli sono maggiori, anche se non mancano i soliti escamotage contrattuali.
Numerosi sono gli esercizi commerciali che espongono il cartello “cercasi commessa”. Eppure, con la fame di lavoro che c’è in questa regione, gli annunci restano esposti a volte per anni. Se qualcuno provasse a chiedere al titolare del perché non si trova forza lavoro, otterrebbe come risposta: “i ragazzi di oggi non vogliono fare sacrifici”. Eppure basterebbe chiedere direttamente a coloro che hanno lavorato all’interno dell’esercizio qual è la reale motivazione della “fuga”.
In pratica lo schema in linea generale è questo. A seconda della dimensione imprenditoriale due unità lavorative su cinque sono “formalmente” inquadrate ed incorrono solo nello sfruttamento tipico di qualche ora non pagata. Per i restanti la procedura è come segue. Intanto va detto che è stato fissato convenzionalmente fra i titolari di varie attività una specie di “cartello”. Ossia chiunque cerchi lavoro non deve percepire oltre 400 euro al mese per sei/otto ore di lavoro, senza alcuna tutela contrattuale. Inizialmente c’è da fare un mese di prova non retribuito né certificato, anche se si è già esperti del settore. Dopodiché, in genere, per il secondo e terzo mese si percepisce “regolarmente” la somma pattuita, mentre per il quarto gli viene comunicato a voce dal titolare: “mi spiace ma questo mese dovrò tardare il pagamento”. Il quale avverrà dopo circa venti giorni dalla scadenza.
Il quinto mese gli viene ripetuta la stessa solfa, ma si continua a lavorare per necessità. Solo che stavolta il pagamento non arriva e attendi passivamente anche il sesto o addirittura il settimo mese. E alla richiesta formulata al padrone circa le spettanze pregresse, spesso ci si sente rispondere: “adesso i soldi non li ho, se vuoi aspetti altrimenti vai via” (avanti un altro). Una denuncia è fattibile, ma in una realtà come quella calabrese sovente è difficile che non ci siano ripercussioni a seguito di tale gesto. In pratica ci si trova ad aver lavorato otto ore al giorno senza malattia, contributi, ferie e permessi, per circa sette mesi percependo (in nero) 800 euro. Un sistema, quello descritto, che in dieci anni è passato dal 30% a circa il 60-70% delle piccole e medie imprese.
Se si analizzano categorie di lavoratori più qualificate il quadro che emerge non è certo ottimistico. Prendiamo per esempio la professione del giovane giornalista che si trova a militare da qualche anno in questo settore. Per i neoiscritti all’albo l’attività di collaborazione nei migliori casi prevede mediamente, per le unità in più presenti nelle diverse redazioni (sempre secondo lo schema di due unità su cinque), da 400 a 600 euro al mese per otto/dieci ore di lavoro. Per i meno fortunati cinque euro per ogni articolo (da 50 a 200 euro al mese), per i restanti gratis, spinti da necessità di stabilizzarsi, aspettative, speranze. Alcune redazioni locali addirittura invitano neoiscritti a presentare curriculum. Giustamente, più siamo meglio riusciamo.
Da sottolineare che una somma minima di contributi di settore deve essere versata comunque perché si è iscritti all’albo, e in ogni caso la maggior parte delle volte viene versata, attraverso qualche espediente, dai soli giornalisti. Una testimonianza che “la legge bavaglio” è solo una ciliegina sulla torta della dipendenza dell’informazione.
Infine un altro esempio. Per alcuni padroni più audaci c’è una formula davvero singolare. Assumono (in nero) un’unità alle solite 400 euro e dopo un paio di mesi arriva la proposta di essere registrati a 800 euro al mese, sempre per otto ore circa di lavoro. “Eccellente” verrebbe da dire. Ma come si dice “non è tutto oro quello che luccica”, il trucco c’è ma non si vede. Degli 800 euro sanciti in busta paga, chiedono indietro (in contanti) 300/400 euro! Così si mettono in regola pagando formalmente il “minimo sindacale” — che è già una miseria — ma in realtà danno al lavoratore solo la metà di quanto è stabilito nel contratto! Il pizzo sugli stipendi: ecco l’ultima perla di un capitalismo sempre più selvaggio e criminale.
Fonte : Leftcom



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giovedì 15 luglio 2010

Fiat: Fiom, venerdì 4 ore sciopero gruppo contro licenziamenti

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Fiat: Fiom, venerdì 4 ore sciopero gruppo contro licenziamenti
Roma - Contro il licenziamento di un impiegato delegato sindacale a Mirafiori e la sospensione di due delegati sindacali e di un lavoratore a Melfi la Fiom proclama 4 ore di sciopero per venerdì 16 luglio di tutti i lavoratori del Gruppo automobilistico. È una nota delle tute blu della Cgil a comunicare la decisione giudicando l'atteggiamento di Fiat «grave e inaccettabile» e annunciando di voler ricorrere a tutti gli strumenti giuridici di tutela dei diritti dei delegati e dei lavoratori. «Chiediamo alla Fiat di ritirare i licenziamenti ed i provvedimenti di sospensione e di rispettare gli accordi aziendali in vigore nel Gruppo stipulati unitariamente per la tutela del salario e il controllo sulla organizzazione del lavoro», chiedono i metalmeccanici della Cgil che accusano Fiat, dopo la vertenza su Pomigliano, di aver scelto «la strada dello scontro frontale sui diritti procedendo a sospensioni e licenziamenti di delegati e lavoratori iscritti alla Fiom». «La Fiat considera inaccettabile che i delegati possano informare i lavoratori e contestino con lo sciopero gli aumenti dei carichi di lavoro, a Melfi in contemporanea al ricorso alla Cassa integrazione, al di fuori delle regole e degli accordi sindacali in vigore. Se qualcuno avesse ancora dubbi, Pomigliano non è un caso isolato», prosegue la nota ribadendo le critiche alle incertezze sull'erogazione del premio di risultato. «La Fiat pensa di tagliare ulteriormente il salario dei lavoratori, già falcidiato dal ricorso alla cassa integrazione, rendendo incerta l'erogazione del saldo del Premio di Risultato, che in ogni caso sarà inferiore a quanto corrisposto nel 2008 e nel 2009», concludono. (Adnkronos)

http://www.liberazione.it/news-file/Fiat--Fiom--venerd--4-ore-sciopero-gruppo-contro-licenziamenti---LIBERAZIONE-IT.htm

Fiat-Melfi




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mercoledì 14 luglio 2010

Giovani senza lavoro e senza formazione

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E’ evidente come la corsa al liceo che ha caratterizzato le scelte scolastiche dei nostri giovani degli ultimi anni abbia prodotto e stia producendo molti guasti.




Scuola e lavoro si parlano e si frequentano poco. E i guai sul terreno dell`occupazione giovanile sono anche il frutto di questa incomunicabilità. Basta girare un po` per le associazioni degli industriali o degli artigiani e si ascoltano racconti che hanno dell`incredibile. C`è l`istituto tecnico di Gallarate che per un motivo o per l`altro forma solo una piccolissima parte dei giovani che potrebbero trovare lavoro nel distretto aeronautico del Varesotto.



O il caso dell`istituto professionale per il legno che nella zona di Manzano (distretto udinese della sedia) rischia di chiudere e che comunque attira una sparuta pattuglia di giovani di quel territorio, conosciuto in tutto il mondo proprio per l`abilità nel lavorare il legno. Anche gli istituti alberghieri della provincia di Roma soffrono di una crisi di vocazioni da parte degli italiani e hanno cominciato a formare giovani immigrati di seconda generazione.



Al di là della casistica è evidente come la corsa al liceo che ha caratterizzato le scelte scolastiche dei nostri giovani degli ultimi anni abbia prodotto e stia producendo molti guasti. Ma oltre a sottolineare l`errore compiuto da chi in nome di un`astratta uguaglianza delle chance ha scommesso sulla licealizzazione dei percorsi formativi, cosa si può fare in concreto per riprendere in mano la situazione?



Innanzitutto riqualificare gli istituti tecnici. Oggi non esiste una seria indagine che ci sappia dire qualcosa di credibile sul loro livello qualitativo e che magari li compari con gli istituti tecnici degli altri Paesi della Ue, tedeschi in primis. In occasione di un dibattito pubblico ho rivolto al ministro Mariastella Gelmini proprio questa domanda e ho ricevuto una risposta sconsolata: «Credo che il livello complessivo non sia adeguato».



In parole povere c`è molto da fare e prima si comincia meglio è. Se gli istituti tecnici si presentano con i segni di un`offerta sciatta, è chiaro che diventa più difficile convertire le opzioni non solo dei ragazzi ma prima ancora delle loro famiglie. Un altro ragionamento (urgente) da fare riguarda la programmazione dei fabbisogni formativi. Si tratta di un sistema che «ragiona» su base nazionale quando invece ci sarebbe la necessità di calarsi nelle realtà territoriali.



La provincia è lo spazio giusto per cercare di programmare la formazione dei giovani in costante raccordo con le organizzazioni datoriali. Ovviamente la rete degli istituti tecnici deve dotarsi anche di una certa flessibilità organizzativa, se una specializzazione risulta superata dagli eventi (leggi: dai cambiamenti del modello produttivo) occorre smontarla e riprogettarla ex novo.



Si obietterà che per l`Italia questa è fantascienza ma nell`economia del post-crisi non ci sarà più spazio per pigrizie e rigidità. L`ultima (e decisiva) considerazione riguarda la comunicazione nei confronti dei giovani. La rivalutazione del lavoro manuale non può essere un`operazione condotta sul filo della retorica, per essere efficace deve basarsi su un vero dialogo tra politica, padri e figli.

di Dario Di Vico


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martedì 13 luglio 2010

Oggi e domani sciopero in Grecia - Palermo. Da 11 anni senza contratto, sit-in lavoratori

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Oggi e domani sciopero in Grecia
Oggi in Grecia scioperano i dipendenti del ministero della cultura contro la riforma delle pensioni, approvata recentemente dal Parlamento. I dipendenti delle amministrazioni locali occuperanno simbolicamente per 3 ore i municipi del paese. L’Acropoli invece è stata chiusa per quattro ore, fino a mezzogiorno,
Nel pomeriggio sospenderanno il lavoro per 4 ore giudici e procuratori, mentre domani manifesteranno agenti di polizia, vigili del fuoco e guardia costiera.

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Palermo. Da 11 anni senza contratto, sit-in lavoratori Ciapi davanti assessorato Lavoro
Sit in di protesta oggi, dalle 10.30, davanti la sede dell’assessorato al Lavoro dei lavoratori Ciapi – un ente di formazione – da undici anni in attesa del rinnovo dei contratti. «Nonostante i numerosi incontri durante i quali ai sindacati e ai lavoratori sono state date rassicurazioni per la soluzione della vertenza – dice Franco Campagna di Fp Cgil – non si registra nessun passo avanti».
La vicenda sulla quale e’ stata presentata anche un’interrogazione parlamentare all’Assemblea regionale siciliana dai deputati Pd Lupo e Marziano, riguarda il caso di 80 dipendenti dei Ciapi di Palermo e di Priolo Gargallo con il contratto scaduto nel 1999, rinnovato nel 2007 e nel 2008, ma mai reso esecutivo. «Il nuovo contratto per essere esecutivo ha bisogno del parere vincolante della Giunta di governo regionale – dice Campagna – ma ancora l’argomento non risulta all’ordine del giorno».

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Istat, 3 milioni di lavoratori «sommersi»

Istat, 3 milioni di lavoratori «sommersi»

Le unità di lavoro non regolari in Italia sono 2,966 milioni, pari al 12,2 per cento dell’input di lavoro complessivo. A confermarlo è l’Istat nel rapporto sull’economia sommersa, che per il dato sul lavoro nero è aggiornato al 2009. Nel 2008, anno a cui si riferisce il dato sul sommerso, le unità di lavoro irregolare [ottenute dalla somma delle posizioni lavorative a tempo pieno e delle prestazioni lavorative a tempo parziale, principali e secondarie, trasformate in unita’ equivalenti a tempo pieno] erano circa 2 milioni e 958 mila [11,9 per cento]. «Se le prestazioni lavorative sono non regolari, e quindi non direttamente osservabili – spiega l’Istat – producono un reddito che non viene dichiarato dalle unità produttive che le impiegano. Nel 2008 l’incidenza del valore aggiunto prodotto dalle unità produttive che impiegano lavoro non regolare risulta pari al 6,5 per cento del Pil, in calo rispetto al 2000 quando ne rappresentava il 7,5 per cento».



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giovedì 8 luglio 2010

Milano, tensione al corteo degli operai


"Feriti in cinque per le manganellate"

Scontri durante la protesta per la Mangiarotti. La questura: "Non si sono fermati nel punto prestabilito"
 

Momenti di tensione nel centro di Milano, quando il corteo degli operai della Mangiarotti nuclear a pochi passi dalla prefettura è stato caricato dagli agenti in tenuta antisommossa e cinque lavoratori sono rimasti feriti. A denunciare l'episodio è un delegato Fiom della Rsu dello stabilimento milanese che rischia la chiusura per il trasferimento della produzione a Udine. Ma fonti della questura smentiscono le cariche facendo invece cenno ad "azioni di contenimento": i manifestanti non si sarebbero fermati nel punto prestabilito.

FOTO Le manganellate sugli operai
"Il percorso del corteo era stato autorizzato - ha affermato Rosario Schiettini, delegato della Fiom nell'azienda che produce componenti per l'industria nucleare - ma all'imbocco di corso Monforte uno schieramento di forze dell'ordine ci ha impedito di arrivare fino al portone della prefettura. Sono partite le cariche e cinque operai sono stati colpiti dalle manganellate: uno di loro è stato portato via in ambulanza".

La giornata di mobilitazione degli operai della Mangiarotti era iniziata davanti al consolato francese per impedire che la committente Areva chiedesse il trasferimento delle commesse dallo stabilimento di Milano. Dopo un colloquio fra un gruppo di sindacalisti e il diplomatico francese, il corteo a cui hanno partecipato anche una delegazione dei lavoratori della Maflow di Trezzano sul Naviglio e alcuni esponenti dei centri sociali, ha tentato di raggiungere la prefettura per chiedere al rappresentante provinciale del governo il rispetto di una sentenza che impone alla proprietà di mantenere la produzione nello stabilimento milanese. Dopo gli scontri una delegazione di rappresentati sindacali è riuscita a ottenere un'udienza in prefettura.



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martedì 6 luglio 2010

Precari Scuola Sannita


Precari Scuola Sannita



DANIELA BASILE ASSESSORE E RAPPRESENTANTE DELLA SOCIETA' CIVILE
Cari amici da una settimana presidiamo alla Rocca dei Rettori insieme ai lavoratori dei consorzi senza che nessuno se ne sia reso conto. 979 precari della scuola sono stati licenziati e abbandonati dalle Istituzioni tutte. Lo scorso anno , quando alcune colleghe salirono sul tetto accorsero tutti i politici VIP NAZIONALI. Vennero promisero mari e monti, fecero le foto con le pagliacce del tetto, sfruttarono i malcapitati e dopo di che sparirono. Gabriele annunciò l'arrivo di milioni che avrebbero salvato addirittura 8000 precari della Regione, il Comune stanziò 50000 euro da utlilizzare per l'impiego di lavoratori precari disoccupati, la Provincia insieme alla Regione ne stanziò 200000 per Benevento, Viespoli garantì una soluizione e De Girolamo promise un incontro con la Gelmini. Non hanno mantenuto alcuna promessa e ora che non facciamo notizia fingono di non vederci. Abbiamo chiesto ufficialmente un consiglio comunale aperto al Sindaco Fausto Pepe per discutere della crisi e dei possibili interventi da due mesi senza ricevere risposte. Questo è il prospetto generale: indifferenza assoluta. Opponiamoci al silenzio e chiediamo con fermezza il riconoscimento di una parte del conflitto sociele in Giunta. Inviate mail ai giornali, scrivete sulla bacheca del sindaco e chiedete un mutamento.
Comitato insegnanti e Ata Sanniti
comitato a sostegno di Daniela Basile Assessore

  http://www.facebook.com/precari.s.sannita

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sabato 3 luglio 2010

Manovra, Cgil: «Il 'refuso' lo pagheranno i lavoratori»

Manovra, Cgil: «Il 'refuso' lo pagheranno i lavoratori»

«Nessun limite all’incremento dell’età pensionabile; la cancellazione di fatto delle pensioni sociali; lavorare di più, per più tempo e per prendere alla fine meno». Sono questi, secondo la Cgil, alcuni dei «peggioramenti» previsti dal nuovo testo dell’emendamento alla manovra economica. In una nota il sindacato elenca i punti, relativi agli effetti sul sistema pensionistico, critici dell’emendamento a firma del relatore Antonio Azzollini. «Il cosiddetto ‘refuso’ – si legge nella nota – sfuggito ad altissimi dirigenti del Ministero dell’Economia, del Gabinetto del Ministro del Lavoro e alla Presidenza dell’Inps, sull’anzianità contributiva, ovvero 40 anni più uno, viene pagato dai lavoratori e soprattutto dalle lavoratrici pubbliche e private attraverso l’anticipazione al 2015 della revisione triennale dell’età pensionabile e dei requisiti di anzianità contributiva, pari a più tre mesi, alla quale segue quella già prevista per il 2016, pari a tre o quattro mesi in più». La Cgil spiega inoltre che «si fa riferimento ad un decreto ‘direttoriale’ dei ministri dell’Economia e del Lavoro per l’adeguamento obbligatorio dell’età pensionabile e degli altri requisiti, mentre la legge 102/2009 prevedeva un Dpr, esaminato dalle Commissioni parlamentari e sottoposto agli organi di controllo. Si tratta perciò di due atti radicalmente diversi: quello che il governo prevede sfugge però a qualsiasi discussione e controllo parlamentare». Inoltre il sindacato di Corso d’Italia punta il dito contro il fatto che «rimane la mancanza di qualsiasi limite all’incremento dell’età pensionabile che in tal modo cresce indiscriminatamente mentre si vanno progressivamente abolendo le pensioni sociali in relazione all’aumento dell’età e alla mancanza di limiti. Così come rimane confermato il taglio ai finanziamenti dal 2011 dei patronati di tutte le parti sociali, sindacali e datoriali». Infine, prosegue il sindacato nella nota, «per le lavoratrici del pubblico impiego, agli effetti perversi dell’aumento dell’età pensionabile da 61 a 65 anni, va sommata la finestra di 12 mesi contenuta nella manovra e l’adeguamento dell’età di 3 mesi dal 2015 e di tre o quattro mesi dal 2016. Pertanto una lavoratrice che nel 2010 ha 59 o 60 anni di età si vede precipitata a 67 anni nel 2018 e, allo stesso tempo, con la pensione calcolata sul coefficiente corrispondente a 65 anni. Coefficiente inoltre che nel frattempo sarà stato rivisto al ribasso per ben due volte, nel 2013 e nel 2016, così come è già avvenuto nel 2010, con un calo dell’8,5 per cento ai 65 anni».


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