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L'agonia di Porto Marghera, Davide: per 52 giorni su un tetto e nessuno ci ha ascoltato
di Rinaldo Gianola
Il dramma della crisi a Porto Marghera, lo storico polo industriale, ha i volti e le voci degli operai che perdono il posto. Le loro storie non le sentirete mai al tg della sera.
«Mi chiamo Devis Sottile, ho 37 anni, sono sposato. Ho un figlio di pochi mesi. Vivo a San Donà di Piave. Da quindici anni lavoro come operaio alla Sirma, azienda che produce materiale refrattario, di proprietà del gruppo Gavioli. All’inizio eravamo 760, poi siamo dimagriti. Ma non abbiamo mai avuto grossi problemi. L’anno scorso il padrone ci diceva che voleva portare la società in Borsa. All’improvviso è arrivata la chiusura. Ci hanno sbattuto fuori. I più giovani sono i più colpiti, tra poche settimane non avrò nemmeno la cassa integrazione. Siamo stati per 52 giorni sul tetto della fabbrica, nessuno ci ha ascoltato. Noi lavoratori abbiamo creato una cooperativa con i nostri soldi per rilevare l’azienda. Ma non ci vogliono. La politica se ne frega, le istituzioni parlano parlano..... La sindaca del mio paese, Francesca Zaccariotto, una leghista, è stata eletta presidente della Provincia di Venezia e si è subito aumentata lo stipendio di 811 euro. Potrebbe essere la mia cassa integrazione. Mi sono iscritto a cinque agenzie interinali: due a Mestre, tre a San Donà. L’unica chiamata è stata per una sostituzione di pochi giorni a Ferragosto. Non so come andare avanti: forse vendo la casa, ma chi è interessato se ne approfitta. Non è giusto. La sera, a tavola, non so cosa dire a mia moglie».
«Sono Davide Stoppa, ho 33 anni. Ho moglie e un figlio di 19 mesi. Vivo a Santa Maria di Sala. Lavoro alla Montefibre da dodici anni. Prima avevo fatto altri lavori, anche il falegname e l’autista. Mi piace lavorare in fabbrica, stare con i miei compagni, siamo 280, moltissimi sotto i 40 anni. I giovani, gli interinali sono già stati cacciati. Il proprietario, il gruppo Orlandi, non vuole più rispettare i patti sottoscritti, si vuole liberare di noi. E pensare che il piano industriale prevedeva lo sviluppo delle fibre al carbonio, ritenuto strategico dal governo per l’industria italiana. Come si fa a credere a questi imprenditori, un giorno firmano un accordo e il giorno dopo se ne vanno? Non c’è più rispetto per i lavoratori. Se c’è la crisi affrontiamola insieme, ma non si può lasciare a casa la gente senza spiegazioni. La crisi serve per fare un’altra pulizia. A Marghera i padroni sognano di chiudere le fabbriche e di fare speculazioni: palazzi, fiere, festival. Oggi non si trova neanche un posto di lavoro, chi lo perde non sa dove sbattere la testa. Meno male che mia moglie fa l’impiegata. Io sto a casa e mi sento in colpa. Dovrei lavorare, mantenere la famiglia e sono qui in cassa integrazione. Finchè dura».
Sono ventimila quelli che hanno perso il lavoro nel Veneto dall’inizio dell’anno. Oltre 4mila posti sono stati cancellati tra Venezia e Mestre. Altri cinque-seimila occupati potrebbero presto restare a casa se a Marghera chiuderà il «ciclo del cloro» con ripercussioni occupazionali sul quadrilatero della chimica, che comprende anche Ravenna, Mantova, Ferrara. Già, «il ciclo del cloro».
Sembra di giocare al piccolo chimico, ma siamo, invece, nel mezzo di una delle più grandi concentrazioni industriali e operaie del paese. Marghera: una lunga storia di investimenti, successi e drammi, una storia unica, paradigma del contrasto perenne e irrisolto tra sviluppo industriale e ambiente, una storia di lotte e di democrazia. Quante crisi, quante battaglie ha vissuto Marghera? Ormai ce le siamo quasi dimenticate: la Montedison e l’Eni, Eugenio Cefis, Mario Schimberni, la «chimica mondiale» di Raul Gardini, il miracolo della plastica e il peso del petrolio, l’eroico operaio Gabriele Bortolozzo che portò in Tribunale gli avvelenatori, il Capannone delle assemblee operaie.
E oggi un’altra crisi, e ogni volta che c’è una crisi, una ristrutturazione, qui si perde un pezzo di industria, migliaia di posti. Quasi ci fosse un destino ineluttabile. È un’agonia lenta e dolorosa: i lavoratori resistono, i sindacati s’impegnano, ma, diciamo la verità, è come se fossero abbandonati, isolati. Lungo il Ponte della libertà, che accompagna il viaggiatore verso la città più bella del mondo, bisogna voltare lo sguardo giù verso il mare, la laguna. Qui si consuma uno dei tanti drammi sociali dell’autunno italiano.
«Vuoi sapere come va?» interroga Sergio Chiloiro, il segretario della Camera del lavoro, piegato a leggere la lista aggiornata delle aziende che chiudono o in crisi. «Ecco come va: qui un tempo lavoravano 50mila persone, oggi sono 13-14mila. Sono stati chiusi interi settori industriali, dal caprolattame alla Dow Chemical, è stata ridimensionata la Solvay, ci siamo seduti a tutti i tavoli, abbiamo firmato accordi, gestito esuberi e ristrutturazioni. Ma non basta mai. Non basta perchè non è mai stata detta la parola definitiva da parte del governo a una domanda: Marghera deve restare un luogo d’industria e di lavoro oppure puntiamo su alberghi, barche e servizi? Noi pensiamo che Marghera deve avere un futuro industriale, per il bene di quest’area e del Paese».
La situazione oggi è più grave del passato perchè mentre una volta i lavoratori usciti da un’azienda venivano ricollocati in un’altra impresa di Marghera, oggi questo “salvataggio” non è possibile. Non si investe più, nessuno ci mette un soldo anche se si potrebbero fare affari. L’Eni, il maggior protagonista, vorrebbe rinunciare alla chimica che pesa sui conti e necessita di investimenti, il governo non riesce a orientarne le scelte. Nel recinto di Marghera c’è il porto, lavorano ancora la Fincantieri (cantieristica) e l’Alcoa (alluminio), c’è l’energia, restano un po’ di meccanica e indotto. «Manca un piano di sviluppo, il governo e la politica si dividono e oscillano tra l’abbandono e la difesa di Marghera a giorni alterni, l’ultimo progetto serio è stato “Industria 2000” di Bersani» commenta il sindacalista dei chimici Riccardo Colletti, 45 anni, che lamenta «la mancanza di credibilità degli imprenditori: all’Unindustria eleggeranno uno delle agenzie interinali e prima c’era un albergatore...».
Ci sono casi aziendali incredibili. Non solo i fatti più noti della Sirma, della Montefibre o del commissariamento della Vinyl che potrebbe tornare in mano al trevigiano Sartor o finire al bolognese Francesco Bortolini. Loredana De Checchi della Cgil racconta della «Centro Pulitura Metalli, 48 dipendenti: il proprietario annuncia la chiusura prima dell’estate, ci sono le condizioni per la cassa integrazione, ma l’azienda si dimentica di comunicare lo stato di crisi. Arriva settembre, i lavoratori sono convinti di avere la cig, ma invece restano senza reddito». Intanto pontificano il governatore ex Publitalia, Galan, e il ministro Brunetta che sognerebbe la poltrona di sindaco, anche se non lo sopporta nessuno da queste parti. Mentre Marghera affonda e la disperazione colpisce migliaia di famiglie, circolano idee “geniali” come quella di trasformare il polo chimico in zona residenziale, alberghiera, con una fiera della nautica (d’altra parte qui costruirono il Moro di Venezia, illusione galleggiante dei Ferruzzi). Ovviamente ci vuole una bella bonifica, magari con fondi pubblici. Sembra di risentire l’ex ministro delle Partecipazioni statali, Gianni De Michelis, il re delle discoteche, che voleva far attraversare Venezia da metropolitane sopraelevate. In laguna dicono che De Michelis sia diventato consulente di Brunetta. Ora è tutto più chiaro.
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