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venerdì 4 settembre 2009
Precari della scuola, schiaffo del governo
Precari della scuola, schiaffo del governo
Ricatto ed elemosina.
La cosiddetta «risposta del governo» alla crescente protesta dei precari della scuola è uno schiaffo in faccia. Vediamo perché.
Il consiglio dei ministri ha ufficializzato i contenuti della proposta portata al «tavolo tecnico» di ieri mattina, al ministero dell’istruzione, presenti alcuni sindacati. Promette al più presto una «norma di legge» per istituire i «contratti di disponibilità». In pratica, le scuole che si troveranno alle prese con qualche buco di organico (le «supplenze brevi»), dovranno attingere alla platea dei precari abilitati che negli ultimi anni hanno prestato servizio. Una convenzione con l’Inps permetterà di conferire una «indennità di disoccupazione» a copertura dei periodi di non lavoro. La durata di questa copertura è di soli 8 mesi (12 per gli ultracinquantenni). Non è stata precisata nemmeno la cifra necessaria a coprire l’intera platea, ma alcuni calcoli di fonte sindacale limitano a 15-18mila le persone che potranno rientrare in questo programma. In cambio, i pochi «fortunati» dovranno dare la propria «disponibilità» ad andare in qualsiasi posto vengano comandati. Pena la perdita del sussidio. Dal prossimo anno, in ogni caso, fine dei giochi. Come scrive una nostra lettrice, «si punta a ridurre i docenti a braccianti pugliesi dell'Ottocento, con la coppola sull'ombelico, le spalle curve, ammucchiati sulla piazza, ad aspettare il caporale di turno che gli dice: "tu sì, tu no"».
Continua invece la rissa sulle cifre dei posti tagliati quest’anno, mentre neppure il ministero nega che saranno oltre 100.000 alla fine dei tre anni. Però minimizza: «è solo l’8%». I Cobas, che hanno prodotto lo studio più dettagliato, parlano 31.379 docenti e di 14,226 Ata in meno sul solo «organico di diritto»; una situazione che sarà ovviamente aggravata prendendo in esame l’«organico di fatto».
La riduzione del personale non è dovuta alla riduzione delle iscrizioni. «Anzi – spiega una delle precarie in presidio davanti al ministero – nelle materne sono persino aumentate». Si tratta invece di una scelta politica, prima ancora che finanziaria. Si accorpano classi fino a comporne di 30-34 alunni (violando le norme contrattuali che fissano il limite a 25, per ovvie ragioni didattiche). Si costringono i precari che ricevono una cattedra ad accettare orari di lezione prolungati a 20-22 e persino 24 ore (anche qui in violazione dei contratti), generalizzando una «deroga» che valeva solo per l’insegnamento dell’italiano, altrimenti produttore di cattedre di sole 14 ore. Si è introdotto il «maestro unico» nelle elementari, riducendo anche il «tempo pieno». Si estendono a più materie «contigue» le abilitazioni già possedute dai docenti, ma soprattutto viene quasi abolito il turnover. «A fronte di 25.000 docenti andati in pensione ne verranno assunti a tempo indeterminato soltanto 8.000, per poter conservare un esercito di precari da cacciare alla bisogna», spiegano ancora i Cobas.
Le proteste intanto continuano. Anche a Bari, Messina e in altre città sono cominciati i presìdi; mentre continuano quelli già esistenti altrove, nonostante i massicci nuclei di «forze dell’ordine» inviati allo scopo di spaventare. A Roma, sotto il ministero, ce n’è stato uno molto visibile organizzato dai sindacati del «patto di base» (Cobas, RdB, Sdl), che annuncia fra l’altro uno sciopero generale di tutte le categorie per il prossimo 23 ottobre e assemblee cittadine nei prossimi giorni. Il momento più grave però si sta producendo a Palermo, dove diversi docenti – sotto il locale provveditorato – sono in sciopero della fame da quasi dieci giorni. Le condizioni di salute sono andate peggiorando nelle ultime ore e da numerose città gli stessi colleghi in lotta hanno cominciato a invitarli a soprassedere – per ora – a questa forma di protesta.
Francesco Piccioni
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