Gli incidenti sul lavoro aumentano solo per i migranti
Rosa Mordenti
Due ricerche importanti sono state presentate oggi. La prima è la Relazione annuale Inail sugli incidenti sul lavoro, che nel 2008 sono stati 1120; la seconda racconta cosa accade ai lavoratori dopo l'incidente, dal punto di vista fisico, psicologico e sociale
Nella sua Relazione annuale, l’Inail parla di una diminuzione del numero degli incidenti mortali sul lavoro, ma non è il caso di festeggiare: nel 2008 i morti sono stati 1120. E anche quella di oggi è stata una giornata di «incidenti»: un tir è piombato su cinque operai che lavoravano alla manutenzione dell’autostrada A5 Aosta Torino, uno di loro è morto [inizialmente dato per disperso, è stato trovato sotto la cabina] e gli altri quattro sono rimasti feriti; e sono quattro i feriti nell’incendio scoppiato alla Comital di Spinetta Marengo, nell’alessandrino, dove un macchinario ha preso fuoco: Uno è in gravi condizioni, con ustioni sull’80 per cento del corpo, gli altri non sarebbero in pericolo di vita.
Aumentano, dice invece l’Inail, gli infortuni mortali tra i lavoratori immigrati. Nel 2008 l’incremento degli infortuni tra i lavoratori stranieri è stato del 2 per cento, passando dai 140.785 incidenti del 2007 ai 143.561 del 2008. Gli immigrati però continuano a presentare un’incidenza infortunistica più elevata rispetto a quella dei loro colleghi italiani: 44 i casi denunciati all’Inail ogni mille occupati, contro i 39 degli «autoctoni».
In generale, per la prima volta dal 1951 [il primo anno in cui si dispone di statistiche attendibili e strutturate] nel nostro paese il numero di infortuni mortali è sceso al di sotto dei 1.200 casi l’anno.
Non si tratta di una diminuzione dovuta a particolari iniziative politiche sindacali o delle imprese: la diminuzione, spiega l’Inail, è «storica». Si conferma cioè una tendenza che, con l’unica eccezione del 2006, è in corso da molti anni: il fenomeno degli infortuni mortali appare ridotto a un quarto, rispetto ai primi anni Sessanta, perché nel frattempo è cambiata profondamente la struttura economica dell’Italia e si è passati da una economia agricola a una economia postindustriale, e questo ha inciso anche sul numero degli infortuni. «Nel giro di circa quaranta anni – spiega l’Inail – si è passati dal tragico record storico di 4.664 morti sul lavoro del 1963, apice del boom economico, ai poco più di 1.500 di inizio millennio. Tale trend decrescente è poi proseguito negli anni Duemila: tra il 2001 e il 2008 gli infortuni mortali sono diminuiti di circa il 28 per cento. In ogni caso va detto che il calo è stato continuo e sostenuto dal 2001 [1.546 infortuni mortali] al 2005 [1.280 casi] per interrompersi per un improvviso quanto imprevisto rialzo nel 2006, che ha registrato 1.341 decessi. Fortunatamente i dati 2007 [1.207] e 2008 [1.120] hanno segnato di nuovo una decisa riduzione degli eventi mortali».
La maggior parte delle malattie professionali denunciate nel 2008 riguardano l’industria e poi i servizi. La sordità si conferma la prima malattia professionale per numero di denunce, con un’incidenza che però diminuisce di anno in anno; sono invece in aumento le patologie che colpiscono l’apparato muscolo-scheletrico, come le tendiniti e le affezioni dei dischi invertebrali, più che raddoppiate negli ultimi cinque anni. Rilevanti sono poi anche le denunce per artrosi [circa 1.900 casi] e per la sindrome del tunnel carpale, quello che si usa per muovere il mouse del computer [circa 1.500 casi]. Una particolare importanza stanno infine assumendo i disturbi psichici. E c’è il problema dei tumori: 2 mila sono le denunce pervenute nel 2008, ma il fenomeno è in crescita e «non ancora pienamente rappresentato dai numeri».
Sempre oggi è stata presentata la ricerca di Fillea Cgil e Ires «Il lavoro offeso», in un convegno promosso dalla Fillea e dal patronato Inca. Occasione di dibattito è stata l’indagine dei ricercatori dell’Ires Emanuele Galossi e Daniele Di Nunzio, la prima in Italia su cosa accade a un lavoratore dopo l’infortunio, sia dal punto di vista fisico che psicologico e sociale. Secondo la ricerca, le conseguenze vengono affrontate dal lavoratore e dalla propria famiglia «in solitudine». Prima della guarigione, i lavoratori devono spesso affrontare spese notevoli che il sistema sanitario non riconosce, e dopo i problemi riguardano il reinserimento al lavoro, perché le imprese e le istituzioni non sostengono questo percorso faticoso. La ricerca «Il lavoro offeso» si è occupata in particolare dei lavoratori dell’edilizia: ne esce un quadro drammatico, fatto di lungaggini burocratiche, conseguenze fisiche e percorsi di cura difficoltosi.
Particolarmente controverso è proprio il rapporto con l’Inail: «Da un lato è l’ente che eroga servizi e indennità finanziarie – si legge nell’indagine – dall’altro, però, le difficoltà procedurali e burocratiche, i ritardi e il costante rischio di veder sottostimato il danno subito rendono il rapporto con l’istituto più conflittuale che collaborativo. Molte volte il comportamento dell’Inail sembra mosso da una razionalità burocratica che pone in secondo piano gli interessi dei lavoratori privilegiando il rispetto formale delle procedure e il contenimento dei costi».
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