La protesta dei dipendenti della compagnia aerea israeliana El Al
Tagli selvaggi a educazione e welfare e ondata di privatizzazioni. Le parti sociali minacciano lo sciopero generale. Le discriminazioni del mercato del lavoro interno.
Gerusalemme - Il pacchetto di riforme economiche lanciato dal nuovo governo Netanyahu sta spaccando il Paese. Il principale sindacato israeliano, costola del partito laburista, Histadrut minaccia lo sciopero generale contro i tagli selvaggi che l'esecutivo sta pensando di applicare all'educazione, i trasporti, il welfare e le infrastrutture statali per ridurre un buco di bilancio da 35 miliardi di shekel (7 miliardi di euro).
La federazione, che rappresenta oltre 800mila lavoratori per lo più nel settore pubblico, ha lanciato il guanto di sfida alla coalizione guidata dal premier Netanyahu: o negoziato o sciopero. Il segretario del sindacato, Ofer Eini, è stato chiaro: le forze sociali partecipino al processo di riforme e il governo mitighi i tagli o sarà il caos.
Nel mirino del sindacato c'è il ministro delle Finanze Yair Lapid, l'anchorman tv a capo del partito Yesh Atid, fazione ultranazionalista vera vincitrice del voto di fine gennaio. Lapid ha presentato all'esecutivo un piano di riforme economiche fondato su tagli aggressivi al budget statale: target del ministro le spese sociali, quelle per la sicurezza, per l'educazione e le esenzioni IVA, oltre ai sussidi a favore delle famiglie ebree ultraortodosse, finite nel mirino di Lapid da ben prima della campagna elettorale. Infine, il congelamento degli stipendi del settore pubblico e la riduzione dei finanziamenti a favore delle scuole private ultraortodosse. La proposta del ministro sarà discussa da governo e parlamento nelle prossime settimane e dovrebbe arrivare al voto definitivo prima del prossimo 9 giugno.
A far infuriare il sindacato Histadrut non sono solo i contenuti delle riforme economiche, ma anche la totale esclusione delle forze sociali dal dibattito. Tanto da chiamare subito allo sciopero generale: Eini ha fatto appello ai sindacati minori - rappresentanti di medici, insegnanti, lavoratori delle ferrovie, degli aeroporti, dei porti e delle banche - perché aderiscano alla protesta, prevista per le prossime due settimane, per costringere il governo al negoziato e all'emendamento della riforma economica. Intanto i dipendenti della compagnia aerea El Al sono già scesi sul piede di guerra, bloccando i voli all'aeroporto Ben Gurion per due giorni sostenuti dai dipendenti di altre compagnie. Hanno protestato contro il cosiddetto pacchetto Open Skies: un accordo con l'Unione Europea per aprire nuove rotte a basso costo che colleghino Israele ai Paesi europei. Nuove rotte per nuove compagnie: una liberalizzazione che secondo Histadrut provocherà un crollo del tasso di occupazione nel settore.
Privatizzazioni, liberalizzazioni e tagli. Un mix distruttivo secondo il sindacato. "La riforma comprende tagli di stipendio, l'aumento della pressione fiscale contro pensionati e lavoratori e una serie di iniziative unilaterali prese senza consultare Histadrut - ha scritto Ofer Eini in una lettera indirizzata al premier e al ministro delle Finanze - Ci opponiamo con forza a questa azione unilaterale e mobiliteremo il settore pubblico e i pensionati. Se la nostra richiesta di dialogo non sarà subito soddisfatta, prenderemo tutte le misure a nostra disposizione per difendere i diritti dei lavoratori e ridurre l'impatto dei tagli sui lavoratori e il settore pubblico".
Immediata la reazione del ministro Lapid che martedì 21 aprile aveva già detto di essere pronto alla 'guerra' e aveva rispedito al mittente le minacce: la riforma non conterrà solo tagli, ma anche la possibilità di rivedere gli accordi sindacali precedentemente firmati con Histadrut. Ovvero i contratti collettivi non sono intoccabili.
A quella di Lapid, è seguita a ruota la risposta di Netanyahu: le minacce di sciopero generale non sembrano toccarlo più di tanto. Mercoledì 22 marzo, in un discorso alla Knesset per il 153esimo anniversario della nascita di Theodor Herzl, il fondatore dell'ideologia sionista, il premier ha detto che "la minaccia di sciopero non sarà un deterrente, continueremo a lavorare per il bene del popolo". Al centro della riforma economica non ci sono solo i tagli alla spesa ma anche una nuova ondata di privatizzazioni che secondo il primo ministro permetteranno l'abbassamento dei prezzi di beni e servizi. "Herzl aveva una solida visione economica e sociale - ha proseguito Netanyahu - Parlava di educazione, welfare ed economia e credeva nell'imprenditoria privata. Io credo molto nelle riforme e nello smantellamento dei monopoli ed è proprio quello che vogliamo fare".
L'impronta che il premier Netanyahu intende dare all'economia israeliana è lo specchio dell'ideologia sionista, questo il contenuto del messaggio lanciato di fronte al parlamento: un Israele capitalista retto su un sistema di libero mercato, competizione economica e un forte settore privato in sostituzione dell'impresa pubblica.
Che la visione economica israeliana si sia ampiamente trasformata negli anni successivi alla nascita dello Stato di Israele è chiaro: nato su basi economiche socialiste, a partire dagli anni Ottanta Israele ha abbracciato in pieno la visione neoliberista e capitalista, trasformando così la struttura stessa della società. Oggi le differenze tra ricchi e poveri sono sempre più consistenti, un gap visibile concretamente camminando per le principali città israeliane, passando da un quartiere popolare ad uno residenziale.
Un gap che nel 2011 aveva provocato la nascita di un movimento sociale di base, i cosiddetti 'Indignados israeliani', che avevano occupato le piazze di Tel Aviv con tende di protesta per chiedere l'abbassamento dei prezzi degli affitti a favore della classe media e delle nuove coppie. La protesta, durata qualche mese, aveva volutamente evitato di trattare argomenti politici, qualil'occupazione militare della Cisgiordania e l'espansione coloniale nei Territori, due delle principali ragioni dell'impennata della spesa pubblica. Gran parte del budget israeliano va a finanziare colonie e sistema di difesa e sicurezza, togliendo risorse a educazione, sussidi e benefici per le classi medio-basse.
"Israele ha modificato le sue basi economiche a partire dagli anni Ottanta - ci spiega Yonathan Balaban, membro del sindacato indipendente Koach LaOvdim, nato cinque anni fa per rappresentare i lavoratori non sindacalizzati, tra cui immigrati e palestinesi - Il 1985 è l'anno di inizio di una serie di politiche neoliberiste e di privatizzazioni che hanno provocato come uno tsunami il crollo del potere dei sindacati. Fino al 1985, infatti, oltre l'80% dei dipendenti pubblici e privati era iscritto al sindacato, una percentuale altissima. Gran parte di loro era iscritta a Histadrut, sindacato nato nel 1920 come braccio del partito laburista e per decenni legato a doppio filo al partito. Era l'unico sindacato presente e la sua vicinanza ai laburisti, a capo del governo quasi ininterrottamente fino agli anni Ottanta, aveva provocato un indebolimento della lotta per la difesa dei lavoratori.Histadrut faceva gli interessi del governo laburista e la sua struttura non era affatto democratica". "Dopo il 1985 e l'ondata di privatizzazioni che ha stravolto l'economia israeliana - continua Balaban -il sindacato ha perso il suo ruolo centrale nella definizione delle politiche economiche e sociali. E ha perso iscritti: il numero dei lavoratori sindacalizzati è crollato sotto il 30% del totale nel settore pubblico, sotto il 20% in quello privato".
"Le politiche neoliberiste applicate negli ultimi trent'anni hanno provocato un gravissimo indebolimento dei diritti dei lavoratori: le discriminazioni sono consistenti e hanno creato dipendenti di serie A e dipendenti di serie B, donne, immigrati e palestinesi in primis. Le donne sono relegate in settori considerati 'femminili' e ricevono in media il 30% di salario in meno di un dipendente maschio che svolge lo stesso lavoro. Stessa differenza tra lo stipendio di un ebreo israeliano e quello di un palestinese israeliano. Il problema è a monte: la popolazione araba è tagliata fuori da molti settori, accessibili solo dopo aver prestato il servizio militare. I palestinesi non fanno il militare per legge e così perdono terreno. E anche se possiedono diplomi e lauree, entrano nel mercato del lavoro israeliano sempre nei settori più bassi e quasi mai nel settore pubblico (solo il 5% dei dipendenti pubblici è palestinese)".
Le prossime settimane daranno il polso della situazione e il vecchio sindacato, Histadrut, sarà chiamato ad assumere misure decise. Mostrando di essere una forza sociale alternativa al governo, e non un semplice carrozzone statale.
di Chiara Cruciati - L'Indro
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