Se il lavoro diventa una lotteria
Accontentarsi di un lavoro sicuro purchessia è sicuramente un sogno modesto, che limita lo sviluppo delle proprie capacità e ambizioni. Ma per molti, oggi, più che mai sembra l' unico sogno possibile.
Li vediamo e ne parliamo perché il meccanismo dei concorsi li rende fisicamente visibili: nelle migliaia di domande che arrivano tutte assieme, nelle migliaia di corpi che fisicamente affollano i luoghi in cui si svolgono le prove. Molti sono giovani, ma tanti non lo sono più e sperano che il concorso segni un punto di svolta in una storia lavorativa frammentata e comunque sempre all' ombra della precarietà. Tutti sono attratti dalla sicurezza offerta dal pubblico impiego. Ma molti, giovani e meno giovani, decidono di fare il concorso soprattutto perché spinti dalla frustrazione di ricerche vane nel mercato privato, di contratti di lavoro temporanei, spesso sottopagati, quando non in nero, condizioni spesso umilianti.
Tutti sanno benissimo che anche questa volta le possibilità di farcela sono bassissime, anche quando si è in possesso delle qualifiche richieste e si ha la competenza professionale necessaria e magari anche qualche cosa in più. Troppo elevato è lo scarto tra numero di posti e concorrenti. Più che concorsi, dove ciascuno è messo in grado di competere ad armi pari e in condizioni trasparenti con tutti gli altri, è come comprare un biglietto della lotteria, sperando contro ogni probabilità statistica che sia quello vincente. Per questo c' è anche chi si presenta ai concorsi pur non avendo i requisiti minimi, o pur sapendo di non avere le competenze adatte (succede anche nei concorsi universitari). Se è una lotteria, perché non tentare la fortuna? Anche se è una lotteria costosa, per chi la bandisce e per chi ci partecipa e il numero dei concorrenti non fa aumentare l' importo del monte premi, ma riduce solo le possibilità di vincere.
Era probabilmente sbagliato anche negli anni Cinquanta e Sessanta ironizzare sul mito del posto fisso, possibilmente statale e sui partecipanti ai concorsi pubblici, immortalati dal film di Olmi "Il posto": ritratto insieme crudele e impietoso dell' Italia del boom economico, in cui la sicurezza sembrava un sogno modesto, da piccoli travet, ma anche a portata di mano. La sicurezza di un reddito è ciò che, per la maggioranza di chi non vive di renditae non ha altro capitale che la propria capacità di lavoro, fa differenza tra poter costruire qualche modesto progetto di vita o rassegnarsi a vivere alla giornata, spesso dovendo contare sulla solidarietà famigliare.
C' è molta arroganza in chi, sicuro nella propria posizione sociale, ironizza sul desiderio di sicurezza altrui. Tanto più oggi. Dopo anni di slogan sulla meschinità, mancanza di (auto) imprenditorialità, incapacità di cambiare di chi si accontenta di un posto sicuro, molti - troppi - hanno sperimentato direttamente sulla propria pelle o nella propria famiglia che il dinamismo del mercato del lavoro ha distrutto più posti di lavoro di quanti non ne abbia creati e che l' "occupabilità" per molti è altrettanto irraggiungibile della occupazione. Lungi dal passare da un' occupazione all' altra, molti giovani e meno giovani hanno sperimentato la disoccupazione di lunga durata, contratti brevissimi seguiti da periodi senza lavoro, spesso anche senza alcuna rete di protezione. Accontentarsi di un lavoro sicuro purchessia è sicuramente un sogno modesto, che limita lo sviluppo delle proprie capacità e ambizioni. Ma per molti, oggi, più che mai sembra l' unico sogno possibile. Più che ironizzare o scandalizzarsi, occorrerebbe riflettere su come costruire un orizzonte minimo di sicurezza senza dover assumere tutti a vita. E dove l' occupabilità non sia la versione nobile della disoccupazione.
- CHIARA SARACENO
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