LETTERA DI ALCUNE LAVORATRICI COOP A LUCIANA LITIZZETTO
"Cara Luciana, lo sai cosa si nasconde dietro il sorriso di una
cassiera che ti chiede di quante buste hai bisogno? Una busta paga che
non arriva a 700 euro mensili dopo aver lavorato sei giorni su sette
comprese tutte le domeniche del mese. Le nostre famiglie fanno una
grande fatica a tirare avanti e in questi tempi di crisi noi ci siamo
abituate
ad accontentarci anche di questi pochi soldi che portiamo a casa.
Abbiamo un'alternativa secondo te?
Nei tuoi spot spiritosi descrivi la
Coop come un mondo accattivante e un ambiente simpatico dove noi, quelle
che la mandano avanti, non ci siamo mai. Sembra tutto così attrattivo e
sereno che parlarti della nostra sofferenza quotidiana rischia di
sporcare quella bella fotografia che tu racconti tutti i giorni.
Ma
in questa storia noi ci siamo, eccome se ci siamo, e non siamo contente.
Si guadagna poco e si lavora tanto. Ma non finisce qui. Noi donne siamo
la grande maggioranza di chi lavora in Coop, siamo circa l'80%. Prova a
chiedere quante sono le dirigenti donna dell'azienda e capirai qual è
la nostra condizione.
A comandare sono tutti uomini e non vige certo
lo spirito cooperativo. Ti facciamo un esempio: per andare in bagno
bisogna chiedere il permesso e siccome il personale è sempre poco
possiamo anche aspettare ore prima di poter andare. Il lavoro precario è
una condizione molto diffusa alla Coop e può capitare di essere mandate
a casa anche dopo 10 anni di attività più o meno ininterrotta. Viviamo
in condizioni di quotidiana ricattabilità, sempre con la paura di
perdere il posto e perciò sempre in condizioni di dover accettare tutte
le decisioni che continuamente vengono prese sulla nostra pelle.
Prendi il caso dei turni: te li possono cambiare anche all'ultimo
momento con una semplice telefonata e tu devi inghiottire. E chi se ne
frega se la famiglia va a rotoli, gli affetti passano all'ultimo posto e
i figli non riesci più a gestirli. Denunciare, protestare o anche solo
discutere decisioni che ti riguardano non è affatto facile nel nostro
ambiente. Ci è capitato di essere costrette a subire in silenzio
finanche le molestie da parte dei capi dell'altro sesso per salvare il
posto o non veder peggiorare la nostra situazione.
Tutte queste cose
tu probabilmente non le sai, come non le sanno le migliaia di clienti
dei negozi Coop in tutta Italia. Non te le hanno fatte vedere né te le
hanno raccontate. Ed anche a noi ci impediscono di parlarne con il
ricatto che se colpiamo l'immagine della Coop rompiamo il rapporto di
fiducia che ci lega per contratto e possiamo essere licenziate.
Ma
noi non vogliamo colpire il marchio e l'immagine della Coop, vogliamo
solo uscire dall'invisibilità e ricordare a te e a tutti che ci siamo
anche noi. Noi siamo la Coop, e questo non è uno spot. Siamo donne
lavoratrici e madri che facciamo la Coop tutti i giorni. Siamo
sorridenti alla cassa ma anche terribilmente incazzate. Abbiamo paura ma
sappiamo che mettendoci insieme possiamo essere più forti e per questo
ci siamo organizzate. La Coop è il nostro posto di lavoro, non può
essere la nostra prigione. Crediamo nella libertà e nella dignità delle
persone. Cara Luciana ci auguriamo che queste parole ti raggiungano e ti
facciano pensare. Ci piacerebbe incontrarti e proporti un altro spot in
difesa delle donne e per la dignità del lavoro. Con simpatia, un gruppo
di lavoratrici Coop".
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Al di là degli spot televisivi e della pubblicità positiva veicolata dai
suoi testimonial, pare che la Coop, la cooperativa di supermercati
presente in tutta Italia, non sia particolarmente attenta ai diritti dei
lavoratori e, soprattutto, delle lavoratrici. E’ quanto emerge da una
lettera che le commesse Coop iscritti al sindacato Usb hanno inviato a
Luciana Litizzetto, la comica che sponsorizza i prodotti della
cooperativa in tv. Da Casalecchio di Reno, la località dalla quale è
partito il lavoro della Coop, le lavoratrici hanno deciso di scrivere
alla Litizzetto per denunciare la condizione a cui l’impiego presso i
supermercati le costringe.
Le lavoratrici in questione sono, come si comprende bene dalla
lettera, impiegate precarie che vivono nel timore di non vedersi
rinnovare il contratto di lavoro.
Alla denuncia hanno risposto con prontezza i dirigenti Coop, i quali
hanno smentito quanto riportato dalle impiegate ed hanno giustificato la
loro politica dicendo: “La strategia occupazionale di Coop, anche in un
periodo di profonda crisi e di calo dei consumi, mira in primo luogo,
come è evidente dai dati precedentemente evidenziati, a perseguire una
politica di stabilizzazione del personale”.
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Qualche giorno fa, in una lettera aperta indirizzata alla testimonial
delle Coop, le lavoratrici le avevano fatto notare che la realtà non era
quella rappresentanta nei suoi spot. L'azienda smentisce ma di fatto
conferma la denuncia dell'Usb.
"Il lavoro precario è una condizione molto diffusa alla
Coop e può capitare di essere mandate a casa anche dopo 10 anni di
attività più o meno ininterrotta. Viviamo in condizioni di quotidiana
ricattabilità, sempre con la paura di perdere il posto e perciò sempre
in condizioni di dover accettare tutte le decisioni che continuamente
vengono prese sulla nostra pelle". Così scrivevano pochi giorni fa un
gruppo di lavoratrici delle cooperative ‘rosse’ aderenti al sindacato
USB a Luciana Littizzetto, testimonial da alcuni anni del noto marchio
della grande distribuzione. Accusata di passare alla Coop solo per
incassare i lauti compensi che la catena le garantisce in cambio delle
sue descrizioni accattivanti ma assai poco corrispondenti alla realtà.
Le lavoratrici raccontano che i turni "possono cambiare anche
all`ultimo momento con una semplice telefonata e tu devi inghiottire. E
chi se ne frega se la famiglia va a rotoli, gli affetti passano
all`ultimo posto e i figli non riesci più a gestirli". Altro che ‘la
Coop sei tu’. Negli spot – dicono le cassiere all’ex insegnante torinese
approdata al cinema e alla tv - "descrivi la Coop come un mondo
accattivante e un ambiente simpatico dove noi, quelle che la mandano
avanti, non ci siamo mai. Sembra tutto così attrattivo e sereno che
parlarti della nostra sofferenza quotidiana rischia di sporcare quella
bella fotografia che tu racconti tutti i giorni. Ma in questa storia noi
ci siamo, eccome se ci siamo, e non siamo contente". E poi ancora:
"Cara Luciana, lo sai cosa si nasconde dietro il sorriso di una cassiera
che ti chiede di quante buste hai bisogno? Una busta paga che non
arriva a 700 euro mensili dopo aver lavorato sei giorni su sette
comprese tutte le domeniche del mese. Le nostre famiglie fanno una
grande fatica a tirare avanti e in questi tempi di crisi noi ci siamo
abituate ad accontentarci anche di questi pochi soldi che portiamo a
casa. Abbiamo un`alternativa secondo te?".
Per ora la spalla di
Fabio Fazio in ‘Che tempo che fa’ non ha proferito parola, non ha
risposto alle lavoratrici dell’azienda che sponsorizza. Lo farà domenica
durante lo show? Vedremo.
Intanto però il can can mediatico
suscitato dalla denuncia delle commesse della grande distribuzione ha
obbligato l’azienda stessa a rispondere. Negando tutto.
«Pur
comprendendo le difficoltà di chi si trova in una condizione di lavoro
precario - ha comunicato in una nota il gruppo di Casalecchio -
riteniamo assolutamente infondate le informazioni contenute nella
lettera aperta sia per quanto attiene i salari corrisposti, non certo
compatibili con gli standard retributivi di un lavoratore a tempo pieno,
sia anche per le modalità organizzative del lavoro». Ed ha aggiunto
«che la strategia occupazionale di Coop, anche in un periodo di profonda
crisi e di calo dei consumi, mira a perseguire una politica di
stabilizzazione del personale».
Una smentita – oltretutto
minimalista – che non è piaciuta al sindacato di base autore della
denuncia. “La smentita del gruppo Coop in merito a quanto dichiarato
delle lavoratrici nella lettera indirizzata a Luciana Littizzetto, suona
paradossalmente a conferma di quanto denunciato dalle dipendenti”
afferma Maria Teresa Pascucci, dell’USB Lavoro Privato.
“L’azienda mette in rilievo il numero dei contratti a tempo
indeterminato, ma non fa riferimento al diffusissimo uso del lavoro
part-time – evidenzia Pascucci - che nella stragrande maggioranza dei
casi non certo è una libera scelta della lavoratrice, ma è l’unica
opportunità per poter essere assunta. Part time a cui vengono applicate
le clausole flessibili ed elastiche, che non consentono una pur minima
organizzazione dei tempi di vita e non permettono di cercare un altro
lavoro per avere un reddito dignitoso”.
“In questo quadro –
prosegue la sindacalista - la condizione tipica di una cassiera di
ipermercato è quella di 20 ore di lavoro settimanali, con 625/700 Euro
di salario mensili, come è dimostrabile dalle buste paga delle
lavoratrici. Relativamente alla sproporzione tra ruoli dirigenziali
occupati da personale maschile in una azienda dove è prevalente la
presenza delle donne, il problema si avverte man mano che si sale nella
gerarchia. Infatti ai vertici le percentuali fornite dalla Coop si
assottigliano e le donne spariscono quasi del tutto. Prendiamo due
esempi: nelle 9 grandi cooperative del sistema Coop ed in Coop Italia
tutti i presidenti sono di sesso maschile. Se prendiamo poi a
riferimento il sistema cooperativo della regione Campania, riscontriamo
che l’Amministratore Delegato è un uomo e i direttori dei tre
Ipermercati e dei due Supermercati sul territorio sono tutti e cinque
uomini”.
“Relativamente al tema delle molestie – continua la
rappresentante USB - sono documentabili casi che confermano quanto
denunciato nella lettera. Peraltro sappiamo bene che in questo campo i
casi denunciati sono la punta dell’iceberg, difficile da combattere
perché in assenza di prove la denunciante rischia il licenziamento.
Inoltre con la parola molestie le lavoratrici non hanno fatto
riferimento esclusivamente a quelle di tipo sessuale, ma a comportamenti
che generano sensazione di disagio o di fastidio fisico o morale”.
“La fotografia che emerge dunque dalla lettera delle lavoratrici Coop è
purtroppo realistica”, conclude Pascucci, che invita “l’azienda a non
nascondere la polvere sotto il tappeto, ma a cogliere l’occasione
fornita da un gruppo di dipendenti coraggiose per riaprire la
discussione, trasparente e democratica, sul futuro della cooperazione
nella grande distribuzione nel nostro paese”.
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